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Lascio l’Università pubblica, dove la polizia del pensiero non ammette libertà

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di MARCO LUIGI BASSANI*

Proprio oggi, dopo oltre un quarto di secolo, abbandono l’Università di Milano. In questa sede ho insegnato Storia delle dottrine politiche a un’intera generazione di studenti dal finire del secolo scorso, credo con un certo decoro.

Non ho alcuna intenzione di nascondere i motivi ultimi che mi hanno spinto a questo passo. Sono stato sanzionato dalla mia università, fra l’indifferenza e l’esultanza dei colleghi, per aver condiviso un meme (ossia un’immagine con didascalia) nell’autunno del 2020. Il meme non conteneva né parolacce, né volgarità, ma solo una verità acclarata: Kamala Harris, la vicepresidentessa degli Stati Uniti, aveva iniziato la propria carriera come amante di Willie Brown, all’epoca Sindaco di San Francisco, quando lei aveva 29 anni e lui 60, e quindi non risulterebbe molto credibile come icona femminista.

Dopo un paio di giorni sulla stampa è iniziato il linciaggio mediatico contro di me. La notizia vera era che il Rettore dell’Università, prof. Elio Franzini, sulle pagine milanesi della Repubblica aveva immediatamente promesso che mi avrebbe punito in quanto “sessista”. Nell’atto di accusa formale si sosteneva che il post “contenuto [fosse] sessista e altamente offensivo nei confronti non solo della diretta interessata ma dell’intero genere femminile”. Inoltre, utilizzando liberamente uno strumento di dibattito pubblico avrei arrecato grave nocumento all’immagine dell’Istituzione e dello stesso Rettore (che solo pochi mesi dopo sarebbe stato coinvolto con rinvio a giudizio in un’inchiesta giudiziaria su concorsi universitari truccati).

Cosa mi stava dicendo la mia università? Che non esiste alcun rapporto fra sesso e politica? Difficile. Forse più semplicemente che non se ne può parlare se il personaggio coinvolto è dalla parte giusta della storia (e non una Minetti qualsiasi).

Se io avessi fatto una lezione dal titolo “sesso e politica nella storia, da Messalina e Cleopatra a Kamala Harris” avrei potuto dire ciò che volevo e sarei stato inattaccabile. Invece, avendo condiviso la vignetta sul mio profilo Facebook il Rettore ha deciso di occuparsene scatenando una campagna mediatica.

Se la risposta governativa alla pandemia degli ultimi anni ha palesato la fragilità di un sistema costituzionale ormai percepito come accessorio, negli ultimi anni ho provato sulla mia pelle la impalpabilità del concetto stesso di Stato di diritto.

In Italia è ancora vivo il ricordo del giuramento di fedeltà preteso dai docenti dal regime politico precedente l’attuale; pertanto, fino ad oggi, direi fino al mio caso, la libertà dei professori era stata abbastanza tutelata. Nel Dopoguerra sono stato il primo professore ad essere stato condannato per aver “condiviso”, neanche “manifestato”, un’opinione.

Dopo un processino di fronte ad un silenziosissimo Consiglio di disciplina alla metà di maggio del 2021, sono stato condannato alla sospensione e alla privazione di un mese di stipendio. Dal punto di vista simbolico la punizione è draconiana: ti impediamo di guadagnarti da vivere se non ti sottometti al nuovo catechismo civile. Limitando la mia libertà di manifestazione del pensiero ne è stato colpito uno per educarne cento, la tecnica delle Brigate Rosse, il che è proprio come deve operare il nuovo umanesimo totalitario.

La vicenda non è del tutto conclusa: dopo aver perso nel giugno del 2023 il ricorso amministrativo (con una sentenza giunta in tempo record) attendo senza troppa trepidazione l’appello al Consiglio di Stato. In ogni caso, abbandono l’università non per l’episodio in sé, ma perché la solidarietà che ho ricevuto è stata risibile: non pochi colleghi hanno incominciato a trattarmi come se fossi un pedofilo e coloro che mi esprimevano simpatia chiedevano parallelamente di non metterli in imbarazzo rendendo pubblico il loro appoggio.

Se si chiude una porta se ne apre però un’altra. Da domani sarò professore presso Pegaso, la più importante università online di lingua italiana. Le rassicurazioni in termini di libertà che ho ricevuto sono piene e incondizionate. Chi mi assume si preoccupa solo delle mie qualità di docente e studioso (devo dire mai messe in discussione neanche dalla mia antica università) e non della mia adesione ai dogmi del politicamente corretto.

È davvero triste constatare che all’ombra della pubblica istruzione ha prosperato un sistema che più che sviluppare pensiero critico a tutti i livelli ha reso le aule universitarie una “madrasa” del Pd. Viviamo un incubo prodotto dalla statizzazione dell’intero comparto dell’istruzione: il fatto di avere reso scienza e cultura merci distribuite e prodotte da impiegati pagati (poco) per mezzo della fiscalità generale ha reso gli intellettuali veri e propri funzionari pubblici. Con tanta libertà condizionata quanto i padroni del discorso sono disposti a concedere.

L’allocazione delle risorse pubbliche decide il corso degli studi, la fama, le carriere individuali e ovviamente crea un enorme conformismo al ribasso. E le recenti censure alle autorevolissime (Prodi, Rubbia, Zichichi) voci critiche sulla tesi del riscaldamento globale di origine antropica ci fanno comprendere che anche nel campo delle “scienze esatte”, ammesso che ve ne siano, non si può stare tranquilli.

Il tutto accade senza alcun tipo di coercizione palese, grazie semplicemente alla vittoria straripante di una polizia del pensiero, che colpisce pochi, spaventa molti ed è, almeno in apparenza, avversata da tutti. I professori sono di fatto “la guardia del corpo intellettuale degli Hohenzollern”, ma mentre nella Berlino dell’Ottocento ciò era vanto e merito, oggi questa esaltazione del potere ha luogo senza troppe chiassate. Si tratta solo di un piccolo prezzo che un manipolo di pusillanimi è disposto a pagare per sopravvivere con misere paghe pubbliche.

*Lettera aperta del professor Bassani agli studenti [Pubblicata dal quotidiano Libero]

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1 COMMENT

  1. Un fatto di tre anni fa, portato all’attenzione dai vari soviet studenteschi che pattugliano il web in cerca di prede. Un tempo costoro giravano fisicamente con cortei, striscioni e spranghe, oggi fanno le stesse cose, ma virtualmente, tramite gli smart perennemente connessi.
    Tra l’altro Il meme in questione venne subito rimosso, non so se dal prof che pensò di avere esagerato o da fessbuc.

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