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L’assassinio proditorio della giustizia tributaria italiana

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di LUCA MARIA BLASI

A pochi giorni da Ferragosto, un Governo dimissionario ha proposto, e un Parlamento sciolto ha frettolosamente approvato, una riforma che decreta sostanzialmente la morte della giustizia tributaria in Italia, a causa dell’abbassamento della qualità dei giudici e dell’aumento della loro dipendenza dal MEF.

Agli attuali giudici, magistrati di carriera e professionisti esperti nominati con atto apicale complesso (delibera del Consiglio Superiore della Giustizia tributaria, decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze e infine Decreto del Presidente della Repubblica),  previo superamento di un concorso per titoli (non solo culturali, ma soprattutto di servizio, come ad esempio l’aver amministrato o avuto la responsabilità del controllo dei conti di una società) subentreranno infatti neomagistrati privi di qualsiasi esperienza, nominati con semplice  Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze per superamento di un classico concorso teorico, sulla falsariga di quello per la magistratura ordinaria, gestito però dal MEF, ossia una delle parti in causa –  di regola, tramite l’Agenzia delle entrate  – del giudizio tributario.

Minore  qualità e minore terzietà, dunque: ne faranno le spese tutti i contribuenti, ma soprattutto le imprese, il cui comportamento fiscale verrà valutato da chi non ha la minima idea di cosa sia la gestione di un’azienda, possedendo solo una formazione teorica, sostanzialmente plasmata dal MEF. Peraltro, il modo scelto  per rivoluzionare l’organico è offensivo, a causa  delle assurde discriminazioni operate tra i giudici attuali con riguardo al regime transitorio.

Il transito automatico degli attuali giudici nel nuovo ruolo è infatti limitato solo a coloro che provengano dalle magistrature, e per un massimo di 100 posti.  Un vero pastrocchio, che provocherà un contenzioso incredibile ad ogni livello, nazionale e comunitario: si operano infatti artificiose discriminazioni tra gli attuali giudici tributari –  tra i quali non esistono distinzioni –  in base alla categoria di provenienza originaria, favorendo smaccatamente i magistrati.

Gli attuali  giudici tributari non togati –  in massima parte avvocati e commercialisti – se vogliono diventare magistrati tributari, devono infatti assoggettarsi al nuovo concorso, con il contentino di una riserva di posti del 30% per le prime tre tornate, peraltro sulla base di requisiti di partecipazione limitanti e ulteriormente discriminatori (es. essere giudici da almeno 6 anni: e perché non 5 o 3?). Altrimenti, rimarranno in servizio per 5 anni di meno (congedo abbassato da 75 a 70 anni) e verranno pagati col solito sistema a cottimo, ossia molto meno dei nuovi magistrati; che paradossalmente, però, proprio loro formeranno, e che con loro siederanno  nei collegi ad emettere le stesse sentenze, diversamente retribuite.

E come se tale declassamento non bastasse, vedono appesantirsi gli obblighi connessi alla funzione, senza alcun vantaggio sul già risibile trattamento economico, dovendo sottoporsi periodicamente ai nuovi obblighi di formazione continua e di verifica di merito. Insomma, per i non togati stessi oneri dei togati, ma diversi onori. Un trattamento ingiusto e ridicolo, manifestamente incostituzionale.

Tutto questo casino solo per non aver voluto il transito automatico di tutti gli attuali giudici tributari nella nuova magistratura:  quanto di più ovvio, quando si fa una riforma radicale. Ciò non avrebbe comportato un aggravio di spese  per lo Stato, considerato che il ruolo unico degli attuali giudici si estinguerà per raggiungimento di tutti del nuovo limite di età entro massimo 15 anni.

La cosa, naturalmente, non finirà qui. Questa assurda punizione degli attuali giudici, specie non togati, provocherà una fortissima reazione. È stato già proclamato uno sciopero  per settembre e fioccheranno ricorsi.

In definitiva, una riformaccia varata in fretta e furia per prendere i fondi del PNRR, ossia nuovo debito per i nostri figli, che affosserà  la giustizia fiscale di merito, la sola che funzionasse (l’intasamento esiste solo in Cassazione, per motivi di organico). Credo che ne riparleremo presto.

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