di COSTANTINO de BLASI
La settimana scorsa qui avevamo sostenuto che il tunnel nel quale l’economia italiana, e per conseguenza quella delle famiglie, è precipitata assomiglia più a un pozzo che a una galleria. A distanza di pochi giorni si aggiungono elementi ufficiali da parte dell’Istat e di alcuni istituti di ricerca che, se possibile, prefigurano uno scenario ancora più fosco.
I dati del primo trimestre descrivono una situazione nella quale le ottimistiche parole del ministro dell’Economia Padoan suonano beffarde. “Una manovra correttiva non è necessaria” dice l’inquilino di via XX settembre, mentre presiede il summit dei ministri economici europei.
La realtà, purtroppo, conferma tutte le perplessità espresse in questi mesi di osservazione e negli articoli con i quali abbiamo commentato gli ultimi 2 anni italiani.
L’economia non cresce, e non è una novità, e il tendenziale proietta il PIL entro una forbice del -0,2% e il +0,3%, contro il trionfante +0,8% previsto dal DEF. In questa situazione il rapporto debito/Pil potrebbe alla fine dell’anno raggiungere il suo nuovo record del 135,9% (un punto più delle previsioni) allontanando gli obiettivi di pareggio per i quali è già stata chiesta ed ottenuta una deroga. Fortuna che, come abbiamo già avuto modo di spiegare In questo articolo, il Fiscal Compact non è quel mostro che viene descritto.
Ma da cosa dipende la perenne stagnazione economica del Belpaese? Come sempre, prima di tutto, dall’aumento della spesa pubblica primaria che crescerà nel prossimo triennio di altri 40 miliardi. Per coprire questo aumento anche il “riformista” Renzi non vede altra soluzione che aumentare le entrate fiscali e contributive che balzano in avanti di quasi 80 miliardi nello stesso periodo, alla faccia di slide e riforme annunciate con cadenza mensile. Ovvero per ciascun euro di spesa in più i cittadini dovranno pagarne quasi due di maggiori tasse. Il dramma è che questa fosca previsione appare addirittura ottimistica se messa in rapporto con le errate previsioni del Documento di Economia e Finanza sulla crescita del prodotto interno lordo. Insomma Renzi per mettere in ordine i conti, come tutti i suoi predecessori, si affida all’antica e spuntata arma dell’avanzo primario (maggiori entrate- maggiori spese).
L’effimera, o presunta, vittoria sulla flessibilità rivendicata dopo il vertice dell’Eurogruppo assume così il sapore amaro della beffa per almeno 3 ragioni:
- L’austerità non è mai stata scritta in nessun trattato europeo, perché gli sforamenti sul deficit in presenza di seria e accertata volontà di riforme che facciano crescere l’economia sono sempre stati tollerati;
- Austerità significa maggiori tasse solo nella versione italiana del termine perché la volontà politica dei governi è questa e non altra;
- A parte il miliardo scarso per l’edilizia scolastica (ma il governo ne aveva promesso tre) non c’è traccia di investimenti significativi che giustifichino l’attacco alla violazione tedesca del patto di bilancio degli inizi del secolo.
La rivoluzione promessa dall’ex sindaco sembra arenata solo sulle differenti puntate del patto del Nazareno, come se dalla riforma del Senato e della legge elettorale dipendesse la possibilità delle famiglie di mettere insieme il pranzo con la cena.
Renzi ha la lingua sciolta e l’abilità comunicativa di un Mastrota qualunque, ma a parte questo non si scorge ancora differenza fra il rampante giovane toscano e l’austero bocconiano in loden.