di MATTEO CORSINI
Uno degli effetti della politica monetaria espansiva è quello di far apparire ex ante profittevoli degli investimenti che altrimenti non lo sarebbero e che finiranno per essere fallimentari quando l’espansione terminerà. Si tratta di quelli che Ludwig von Mises definiva “malinvestimenti”.
Quello che l’esperienza giapponese ha insegnato a partire dagli anni Novanta (che Europa e Stati Uniti hanno sperimentato circa due decenni dopo) è che l’uso di politiche monetarie ultra-espansive per contrastare gli effetti dello scoppio di una bolla generata da precedenti politiche monetarie espansive favorisce il mantenimento in vita di aziende che non riuscirebbero a rimanere solvibili in assenza di tassi di interesse compressi al ribasso. Aziende che, però, non possono far altro che sopravvivere, senza svilupparsi e senza essere profittevoli. In quanto tali, definite zombie.
In definitiva, la politica monetaria espansiva determina una errata allocazione di risorse, a tutto detrimento della produttività del sistema economico. Su questo concetto vi è consenso anche tra economisti non austriaci.
Un recente working paper della Banca dei Regolamenti Internazionali realizzato da Beatriz González, Galo Nuño Barrau, Dominik Thaler e Silvia Albrizio utilizza però il concetto di “capital misallocation” per giungere a conclusioni opposte.
Il modello (neo keynesiano) sviluppato dagli autori, “
prevede che uno shock espansivo di politica monetaria migliori l’allocazione del capitale e quindi aumenti la produttività totale dei fattori.” Quindi quello che definiscono il “
canale di capital misallocation della politica monetaria” avrebbe addirittura effetti benefici.
Salvo riconoscere che, alla fine, le banche centrali dovrebbero comunque dare priorità a tutelare la stabilità dei prezzi al consumo.
Il paper non manca di fornire prove empiriche a supporto delle conclusioni degli autori. Non è la prima volta che osservo che questi modelli sono stilizzati a tal punto da non essere quasi mai verosimili e, soprattutto, che chi padroneggia la matematica e la statistica può torturare i dati senza lasciare traccia della tortura facendo dire ai dati stessi ciò che vuole che dicano. Gli stessi autori, peraltro, riconoscono che il modello “astrae da diversi meccanismi rilevanti che guidano le dinamiche aziendali, come default endogeni, vincoli patrimoniali variabili in base alle dimensioni, rigidità nel mercato del lavoro, o rendimenti di scala decrescenti, tra i molti altri.”
Secondo gli autori, grazie alla politica monetaria espansiva le aziende più produttive farebbero più investimenti rispetto a un contesto privo di stimolo monetario e aumenterebbe pertanto la loro quota di investimenti rispetto a quelli delle aziende meno produttive. Questo favorirebbe un aumento della produttività totale dei fattori.
Il punto di partenza è che il capitale risulterebbe male allocato perché non ne affluirebbe abbastanza alle imprese più produttive. Il fatto è che le aziende produttive non hanno bisogno di stimoli monetari per finanziare gli investimenti, e anzi il mercato allocherebbe spontaneamente nei loro confronti le risorse che restano nelle imprese zombie prorpio grazie alle politiche monetarie espansive. Il tutto senza gli effetti collaterali di queste ultime, che prima o poi si manifestano sempre e costringono le stesse banche centrali a fare retromarcia, come dovrebbe aver dimostrato anche la storia recente.