Dopo ogni riunione dei consigli direttivi della Fed e della BCE, arriva puntuale il commento di Donato Masciandaro sul Sole 24 Ore. Più o meno lo spartito è sempre lo stesso: critica severa nei confronti della Fed e lodi sperticate per la BCE a guida Draghi (si vedrà che atteggiamento sarà adottato nei confronti di Christine Lagarde a partire da novembre).
Non sto qui a entrare nel merito della politica monetaria da una prospettiva austriaca. Piuttosto, credo che Masciandaro abbia dimostrato nel corso del tempo una relativa incoerenza, anche se suppongo che lui si giustificherebbe adducendo contesti economici diversi. Per esempio, riferendosi al taglio dei tassi deciso dalla Fed il 31 luglio, Masciandaro ha scritto:
“Con la mossa di ieri la Fed ha reso felice sia il presidente Trump che Wall Street. A parole, la dialettica tra il presidente Powell e il presidente Trump appare accesa. Ma se guardiamo i fatti, la Fed ha fatto quello che Trump chiede da tempo, preoccupato per il ciclo elettorale. Per quel che concerne i rapporti tra la Fed e Wall Street, la scelta di Powell e del suo consiglio non rappresenterebbe una novità. Dall’epoca di Greenspan le decisioni della Fed hanno accomodato i desideri dei mercati finanziari. L’effetto finale è stato la Grande Crisi. Ma chi se ne ricorda? Poi magari sia Trump che Wall Street continueranno a lamentarsi. Ma è la strategia del piangere e godere, come la saggezza napoletana ben ricorda con un suo adagio”.
A parte il fatto che ormai le dosi di stimoli monetari sembrano non soddisfare mai abbastanza gli operatori finanziari tossici di liquidità (e neppure Trump), nulla da eccepire. Ma, soprattutto se si considera l’assecondare le aspettative degli operatori di mercato, si può dire che la BCE negli ultimi otto anni non abbia fatto la stessa cosa? A mio parere no.
E allora perché in un caso si critica (giustamente) l’operato della banca centrale e nell’altro no? Si tratta di giudizi o pregiudizi?