di GIOVANNI BIRINDELLI
Il libertario è intellettualmente solo per definizione. Mentre quasi tutti vedono nella democrazia l’opposto della tirannia, lui vede in essa lo strumento più letale di tirannia. Mentre quasi tutti vedono nello stato la soluzione ai problemi economici, egli vede in esso la loro origine.
Non è, si badi bene, una questione di opinioni diverse. La posizione del libertario e quella degli “altri” non stanno sullo stesso piano. Non hanno pari dignità. Il libertario applica la logica, gli “altri” no. La posizione del libertario è scientifica, quella degli “altri” (anche quando si definiscono “scienziati sociali”) è una superstizione.
Le interpretazioni del pensiero libertario sono molte, ma i paradigmi di quel pensiero sono sempre e solo due, uno etico l’altro economico: il principio di non aggressione e la soggettività del valore. Applicando la logica a questi due paradigmi si arriva a una teoria della giustizia e a una teoria economica. Per rifiutare queste teorie occorre rifiutare il principio di non aggressione e la soggettività del valore (e occorre rifiutarli insieme). Nessuno al mondo è mai riuscito a farlo. Nella storia del pensiero sociale non esiste una sola persona che, mantenendo la coerenza logica del suo pensiero, abbia retto il confronto con un libertario.
Le elezioni sono la celebrazione della vittoria della superstizione sulla scienza, della tirannia sulla libertà, del declino economico inconsapevole sulla prosperità concreta e reale. Esse sono la celebrazione della solitudine intellettuale del libertario. Il trionfo del male sul bene, della “collettività” sull’individuo.