Come molti libertari, quando oltre venti anni fa mi imbattei nei libri di autori che avversavano lo Stato e lo statalismo rimasi affascinato nel leggere cose che, seppure in modo non così chiaro e sistematico, in qualche modo pensavo da tempo. Una delle cose che già negli anni precedenti mi risultava indigesta, era il modo con il quale i costituzionalisti approcciavano la Costituzione. Mi sembrava che, nella maggior parte dei casi, questi signori considerassero quel testo come un sacerdote considera il Vangelo.
Eppure non c’era, né poteva esserci, nessun messaggio divino nella Costituzione, che era stata scritta all’indomani della seconda guerra mondiale ed era un compromesso tra lo statalismo cattolico e quello socialista-comunista, solo lievemente temperato dalla marginale componente liberale dell’assemblea costituente. Insomma, ben prima di leggere Lysander Spooner avevo serie perplessità sulla Costituzione, sul ruolo dello Stato e sui costituzionalisti. Nel frattempo non ho cambiato idea, l’ho solo messa maggiormente a fuoco.
Trovo quindi abbastanza patetico quando un costituzionalista, richiamando sentenze della Corte costituzionale censuranti l’operato del legislatore che calpesta lo Statuto del contribuente (scritto dal legislatore stesso) per fare più cassa, scrive lunghi articoli per spiegare l’origine dell’obbligo tributario e la sua corretta implementazione. Per esempio, Enrico De Mita (fratello del più noto politico democristiano Ciriaco) scrive:
- “Il dovere tributario è un dovere inderogabile di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione, preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali, i quali richiedono ingenti quantità di risorse per divenire effettivi, sia quelli sociali, sia gran parte di quelli civili. L’imposizione ha indubbia funzione redistributiva e, in tal senso, l’inderogabilità del dovere di solidarietà è funzionalizzata alla realizzazione dell’articolo 3, secondo comma, della Costituzione”.
Per quanto questi signori si sforzino di sostenere il contrario, la realtà dei fatti è che qualsiasi diritto istituito per legge che preveda l’obbligo per qualcuno di pagare tasse a favore di altri, pone il pagatore di tasse in condizione di schiavitù. Lo stesso concetto di imposizione fiscale, per quanto lo si sacralizzi, è riconducibile in ultima analisi al furto (o alla rapina, se si preferisce). Una azione che, se compiuta da un privato o da un gruppo di privati, è considerata (giustamente) un reato. Dovrebbe esserlo anche la tassazione.
Risulta inconsistente e illusorio richiamare il legislatore, in sostanza, a non farsi prendere la mano. Come definire la “irragionevole compressione dei diritti soggettivi perfetti del contribuente”? Chi stabilisce cosa è ragionevole e cosa no? Ogni volta che non c’è volontarietà nei rapporti tra soggetti diversi, diventa del tutto arbitrario parlare di ragionevolezza.
E quale credibilità può avere la cosiddetta suddivisione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario, quando si tratta pur sempre di parti diverse di uno stesso Stato? Si possono scrivere interi libri per analizzare gli abiti del re, ma il re resta nudo.
L’anarchia per me non è concepibile, occorre un organizzazione statale per la difesa, la giustizia, gli esteri, attività non demandabili a privati ed è proprio quando i primi gruppi di cacciatori-coltivatori si riunirono per mutuo soccorso che nacque in antichità lo Stato. Un organizzazione statale vuol dire gente che invece che coltivare, fare artigianato, allevare si dedica alla difesa ma deve mangiare e quindi nascono le tasse.
L’odiosità delle tasse, la loro ingiustizia in Italia è dovuta essenzialmente al fatto che non è possibile come in Svizzera avere referendum abrogativi e propositivi su temi fiscali e secondo non possiamo neppure dire la nostra sulla nostra destinazione, credo che la maggior parte di noi sia contrario a vedere i propri soldi destinati a pensione regalate, fannulloni, clandestini, disoccupati pigri, forestali calabresi, banche mal gestite,ecc. Anche dire che attraverso il voto si sceglie come destinare i soldi sappiamo che non è vero: promesse, imposizioni di Bruxelles, ricatti, bacini di voto, lobbies, ecc. il risultato lo abbiamo davanti: come si diceva in un libro dei primi anni novanta tutti gli sprechi, gli errori, le regalie, i privilegi prima o poi finiscono nel debito pubblico che praticamente è la somma di tutto quel che è di sbagliato in Italia, non per nulla ha avuto accelerazioni con il governo Monti e il governo Conte2, due tra i governi più fallimentari che la storia ricordi.
e con le nostre tasse o tasche abbiamo pagato milioni a un giullare per farci dire da un palco che la nostra costituzione è la più bella del mondo… sono ridicoli.. e ci considerano stupidi!
Ancora più ridicola è la “complicità” del nostro illustre (?) De Mita con l’art. 53 della Costituzione, che orridamente dispone la progressività del nostro disgraziato sistema tributario. Il professorone giustifica la progressività come “giusta sofferenza” per chi è più ricco, sofferenza che trova un limite solo nella “sopportabilità” dell’imposta.