di MATTEO CORSINI
Commentando sul Sole 24 Ore le bozze del nuovo Patto di stabilità europeo, Adriana Cerretelli conclude che l’ipotesi di compromesso “è il prezzo da pagare a un’Europa che, a più di 20 anni dalla nascita dell’euro, continua a convivere nell’immarcescibile sfiducia reciproca, nell’avversione al rischio-partnership che pure contraddice la ragione sociale alla base della sua costituzione.”
Difficilmente potrebbe essere altrimenti, dato che interdipendenza e competizione sono i due ingredienti delle interazioni comunitarie tra gli Stati membri dell’Unione. E data l’esperienza storica, non è difficile capire il perché ci sia sfiducia reciproca.
Come è noto, da un lato ci sono gli Stati meno indebitati che non vogliono rischiare di doversi fare carico delle conseguenze delle finanze scassate di altri membri; dall’altra ci sono quelli che vorrebbero considerare “investimenti” da non conteggiare nel deficit un numero crescente di voci di spesa, magari da finanziare con debito comune.
Cerretelli si chiede: sarà il nuovo Patto “davvero innovativo e provvisto di tutti i mezzi, fiscali e finanziari, per rincorrere con successo Stati Uniti, Cina e India, cioè i sistemi più avanzati per innovazione, produttività e competitività globali?” A suo parere “non trasmette l’immagine di una governance agile, moderna e trasparente, quella che dovunque serve a incoraggiare e programmare qualsiasi tipo di investimenti.”
Il che è anche condivisibile,
ma pensare che il Patto di per sé sia elemento determinante per favorire innovazione, produttività e competitività significa ritenere che il motore dello sviluppo sia a trazione pubblica, quando la storia dimistra che non è così. Da questo punto di vista, andrebbero in realtà criticate le tonnellate di direttive e regolanmenti che ingessano e ostacolano l’iniziativa privata in Europa. Quelli sono elementi che rendono più difficile la competizione per le imprese europee.
Quanto al successo di Stati Uniti e Cina, in particolare, ci sarebbe da discutere. Gli Stati Uniti hanno smesso da tempo di essere patria del libero mercato e stanno accumulando migliaia di miliardi di nuovo debito pubblico ogni anno. La Cina, dal canto suo, è alle prese con la venuta al pettine dei nodi di una crescita basata su un settore immobiliare dai piedi d’argilla e drogata da un debito non sempre contabilizzato in modo trasparente.
L’Europa ha certamente bisogno di migliorare su tante cose, ma non seguendo gli esempi sbagliati.