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Liberalismo, neoliberalismo e i politicanti ciarlatani

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di ARMANDO RICCARDO STRINGHINI

I risultati storici del Liberalismo non sono mai stati superati. Ha proclamato l’individualismo e garantito la sicurezza della proprietà privata, ha allertato sul pericolo che incarna lo Stato, rafforzando così la libertà individuale. Combattendo il protezionismo e determinando la fine del mercantilismo diffuse il libero commercio, consentendo una crescita economica mai vista prima e favorendo l’obsolescenza del colonialismo. Ha conquistato le libertà civili per le donne e gli ebrei, la fine della schiavitù, la libertà di espressione, di associazione e di religione, e la fine della tortura e della crudeltà nelle leggi penali.

Purtroppo, dalla Prima Guerra Mondiale in poi il liberalismo fu sostituito in modo crescente da pratiche di governo interventiste e autoritarie, in particolare in economia, determinando crisi e disoccupazione di dimensioni e durata mai viste in epoca liberale. Si tratta di una fase storica che onorò il liberalismo con il titolo di nemico comune del nazismo, del fascismo, del comunismo, del socialismo… e del keynesismo. E così è ancora oggi. Le forze politiche e culturali che discendono da queste nefaste forme storiche di socialismo ripetono più o meno le stesse cose di allora.

Le forme del socialismo non si riducono a quella marxiana della abolizione ‘giuridica’ della proprietà privata e della pianificazione centrale. Comprendono la varietà nazista della “economia di comando”, quella ‘progressista’ che vanifica la proprietà tramite l’alta tassazione e il dirigismo, e le combinazioni possibili di tutto questo, che annullano la libertà economica. Le conseguenze ricadono sempre sulle teste di quelli che si dice di voler favorire.

E il “Neoliberalismo”?

Postfascismi e sinistre postmarxiste attribuiscono da sempre al liberalismo (specie quello economico) tutti i mali e sostengono che sia superato e socialmente ingiusto. In realtà, dopo la Seconda Guerra Mondiale c’è stato un graduale recupero di libertà economica nel movimento di merci e capitali a livello internazionale (“globalizzazione”), che ha favorito una riduzione della povertà. Paesi periferici ne hanno beneficiato, mentre ci sono stati alcuni disagi in paesi cosiddetti “centrali”.

Il liberalismo economico oggi è un fantasma che, per cause politiche clientelari, non riesce ad incarnarsi all’interno dei singoli paesi, sviluppati e non, come sarebbe auspicabile. Le singole nazioni, con poche eccezioni, hanno economie iper regolamentate e iper tassate, spesso troppo indebitate, con settori protetti dalla concorrenza e regole del gioco troppo instabili, soggette all’arbitrio di chi governa.

Un po’ per ignoranza e un po’ per qualunquismo opportunista, a partire dagli anni Settanta del XX secolo le sinistre più o meno marxiste e in seguito alcune destre di origini più o meno fasciste chiamano il liberalismo “Neoliberalismo”, attribuendo alla parola un significato variabile secondo le circostanze e le convenienze retoriche. Questi significati camaleontici nulla hanno a che fare con il giusto significato che ha nell’ambito del pensiero economico la parola “Neoliberalismo”, che è quello di una “terza via” tra il ‘laissez faire laissez passer’ liberale classico e i sistemi economici comunista e/o nazista.

Il vero Neoliberalismo fu posto in essere alla fine della Seconda Guerra Mondiale nella Germania Occidentale, e diede origine al cosiddetto “miracolo economico tedesco”. La sua teorizzazione fu conosciuta anche come “ordoliberalismo”, “economia sociale di mercato”, o “scuola di Friburgo”. Ma di questo i politicanti ciarlatani se ne fregano.

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