I padani sono evidentemente una razza inferiore ed hanno quindi in un’epoca buonista come l’attuale lo sfortunatissimo ruolo di rappresentare l’eccezione che conferma la regola: tutti sono uguali e fratelli, tutto è degno e rispettabile, eccezion fatta per quei quattro baluba autoctoni che ancora ballonzolano nella valle del Po e dintorni.
Della rapina epocale che stiamo subendo si è già detto più volte, così oggi lasciatemi mettere da parte per un attimo i soldi e concedetemi di far quattro chiacchiere sull’identità ed in particolare su lingua e “dialetti”, la prima nobile per definizione, gli altri da buttare per costrizione italica. Questo luogo comune condiziona ancor oggi molti di noi, anche ferventi indipendentisti sono titubanti ad utilizzare la loro maderlengua specie in pubblico, specie fuori dai confini della loro piccola patria, in fin dei conti rimane sempre il dubbio che l’i-tagliano sia superiore, inarrivabile, imbattibile e chi più ne ha più ne metta. Ma è davvero così? Per capirlo dobbiamo fare l’esempio del “cornetto”, un nome che prima di tutto è un dilemma!
Per anni ed anni, raccontando l’andamento dell’inflazione, ho sentito i telegiornali far l’esempio del costo del “cappuccio con cornetto a Roma”, per anni mi sono chiesto che cavolo fosse il cornetto che a Roma puciano (padanismo che un buon i-tagliano non dovrebbe usare) nel cappuccino. Poi ho avuto una professoressa romana, non mi sono più posto domande, ma ho spesso rinunciato a capire cosa dicesse, sarà per questo che di frequente mi urlava: “Aooooh, ma ce sei o ce fai?” Ed io non capivo neppure quello, una volta devo averle persino chiesto “ma ci sono o ci faccio cosa?” Ancora oggi ringrazio Dio che mi ha dato due genitori che quando me lo meritavo mi dicevano semplicemente “bambo” e “scemo” senza tanti inutili giri di parole! Che bella la semplicità padana, ma torniamo al cornetto, che non è la misteriosa entità che i romani puciano nel cappuccino, bensì la verdura che i padani fanno bollire e che poi condiscono con olio e sale.
Ovviamente in i-tagliano corretto, come non si dovrebbe usare il verbo puciare, così non si dovrebbe utilizzare neppure il termine cornetti, che deriva dal padano cornèt, bensì il più nobile fagiolini! Ma da dove giunge queste nobile termine i-tagliano degno di soppiantare il nostrano cornetto vegetale e tramutarlo in una dolce entità puciabile?
Come saprete tutti Dante è considerato il padre della bella favella i-tagliana, in realtà molti meno sanno che l’i-tagliano che utilizziamo oggi non è certamente il fiorentino trecentesco parlato da Dante, bensì il fiorentino dell’800 rivisto e corretto dal Manzoni che non ha caso andò a sciacquare i panni in Arno. Come ci ricorda Natalia Ginzburg ne “La Famiglia Manzoni” nel 1827 in viaggio tra Livorno e Firenze il nostro Alessandro scopre il vero nome dei cornetti e lo impone prima alla famiglia cui scrive subito una lettera e poi all’i-taglia intera, ma lasciamo che sia il libro della Ginzburg a spiegare l’evento.
“Durante il viaggio essendosi fermato in una trattoria a pranzare gli furono servite certe erbe che in Lombardia si chiamano cornetti: «Ond’io volto al cameriere con piglio garbato e studiandomi di non tartagliare (Manzoni tartagliava) chiesi: di che è quel piatto? Non come uno che ignori come la cosa si chiami, ma come uno che non sa che cosa la sia. Fagiolini signore, mi rispose l’accademico dal tovagliolo sotto il braccio…».
Purtroppo la vicenda non è ironica, Manzoni non sta scherzando, non si sta divertendo alle spalle del cameriere, queste indicazioni vengono raccolte sul campo e poi spedite alla famiglia affinchè mutino il loro milanessimo modo di parlare ed utilizzino i “veri vocaboli italiani” e la famiglia si adegua, sappiamo ad esempio che la seconda moglie di Manzoni raccoglie queste indicazioni in modo tanto meticoloso da redigersi un personale vocabolarietto milanese – italiano.
Ci sarebbe di che ridere per ore se non fosse che questo breve passo ci testimonia l’imbarazzante complesso di inferiorità che colpisce i padani, prova ne sia che il letterato di successo padano si considera linguisticamente una nullità anche solo al cospetto di un semplice cameriere d’osteria non padano e come uno scolaretto docile chiede con piglio garbato, cerca di non balbettare e per timore di far brutta figura non chiede in modo schietto come si chiamano in toscano i cornetti, ma finge di non conoscerli del tutto.
Questo estratto però ci dimostra anche come la presunta superiorità dell’i-tagliano e la presunta meschinità delle nostre maderlengue non abbia fondamento alcuno: perché non devo chiamarli cornetti come la mia gente ha sempre fatto per secoli? Perché devo chiamarli fagiolini? Giusto perchè lo diceva un cameriere in una bettola qualsiasi? Ma scherziamo?
Rendiamoci conto che non dobbiamo soffrire di alcun complesso di inferiorità, altrimenti si finisce per considerare il primo cameriere che passa un accademico dal tovagliolo sottobraccio! Padania libera… anche dal cornetto puciabile nel cappuccio!
Il problema linguistico è evidente ma lo è anche in queste pagine che sono esclusivamente in italiano. Faccio un esempio: il gruppo indipendentista “Piemonte Patria” pubblica il suo sito sia in lingua nazionale, il piemontese, che in lingua estera, l’italiano.
Il Piemontese è una lingua riconosciuta come tale dall’Unesco, più antica dell’italiano. Altra lingua padana con queste caratteristiche è il Veneto. Personalmente, per motivi vari, capisco il genovese ed il lombardo occidentale.
Si potrebbe iniziare con lo scrivere gli articoli ed i vari commenti nella propria lingua (Veneto, Piemontese, Milanese, ecc) e mettere (sempre dopo) la traduzione in italiano.
Anziché lamentarci iniziamo noi a dare il buon esempio.
Per il resto sapete che ho sempre proposto l’adozione della Costituzione svizzera per i primi tempi quando avremo l’indipendenza. La Costituzione svizzera ha 4 lingue ufficiali, tra cui l’odiato italiano. Ebbene al francese ed al tedesco nel nuovo Stato si dovranno affiancare le nostre lingue ma non l’italiano, che dovrà essere proibito, sanzionato ed infine dimenticato.
Ora facciamo un ulteriore passo avanti: la nostra lingua comune deve diventare il francese, visto che le nostre lingue appartengono al sotto gruppo delle lingue gallo padane (gallo perché simili al francese). Uno sforzo per tutti, imparare scrivere le nostre lingue ed imparare il francese.
Io direi che sarebbe meglio fare uno sforzo per secedere.. altro che perder tempo con sta storia della lingua.
Sia chiaro, non ho niente contro i dialetti, pardon le lingue, padani, anzi… Ma non facciamone il fine ultimo della nostra “battaglia”. Meglio indipendenti parlando tajano che tajani parlando dialetti, o no?
Purtroppo quello della lingua è il problema principale. Gli ebrei ci misero 40 anni per uscire dalla schiavitù in Egitto e raggiungere la terra promessa, noi dopo più di vent’anni siamo ancora qui a discutere se affrancarci dalla schiavitù (italica) oppure no. Io vedo tante discussioni da bar, siamo tutti d’accordo (a parole) sull’indipendenza ma di concreto non ho ancora visto nulla, nessun piano, nessun progetto, nessuna data……..
Quindi si torna al discorso della lingua e spiego perché è fondamentale. Prendiamo il caso dell’Irlanda. E’ diventata indipendente eppure all’estero è ancora percepita come “inglese”. Vanno nei pub, guidano a sinistra, parlano inglese (addirittura c’è chi va ad imparare l’inglese in Irlanda), bevono il te, tifano Manchester. Dove è la differenza? Che in alcune aree (poche) parlano gaelico, hanno i cartelli bilingue in gaelico ed usano l’Euro? Ma in Scozia anche hanno alcune aree in cui si parla gaelico, hanno i cartelli bilingue ed usano la sterlina scozzese. Ed in Val d’Aosta è lo stesso.
Noi abbiamo il dovere di far si che in futuro nessuno possa confondere un Padano con un italiano, non essere scambiati per mafiosi, pressapochisti, lavativi, rumorosi, ecc
Qualcuno scriveva che la differenza tra noi e la Catalogna era l’identità linguistica in quanto non esiste una lingua padana. Benissimo, ma non esiste neppure una lingua svizzera ed il nostro modello deve essere la Svizzera e non la Catalogna.
Ecco perché è fondamentale il problema linguistico: occorre abbandonare l’italiano, è una lingua estera ed è la lingua degli occupanti, più la si mantiene e più si verrà scambiati per italiani.
Occorre invece usare le nostre lingue (che poi tanto diverse tra loro non sono, basta un po’ d’esperienza, di memoria e di intelligenza) appartenenti al gruppo delle lingue neolatine gallopadane, usare come lingua franca il francese (vista la somiglianza con le nostre lingue) che è già utilizzato in certe aree della padania ed in passato era conosciuta da tutti gli istruiti ed il tedesco (costituzione svizzera). Occorre studiare usare le nostre lingue (quanti piemontesi sbagliano a scrivere la propria lingua perché non la hanno mai studiata l’effetto è di un inglese che scrivesse Ai Lav iu invece che I love you….), parlarle, scriverle, utilizzarle. L’Obiettivo è quello di avere gente istruita al futuro tavolo di discussione in cui si deciderà quando e come la Padania tornerà indipendente e queste persone non dovranno parlare in italiano, ma in Veneto, Lombardo, Piemontese e francese e l’eventuale trattato dovrà essere fatto in queste lingue, dovranno concedere interviste, fare conferenze in queste lingue e mai e sottolineo mai usare la lingua dell’invasore, l’italiano. Se no tanto vale fare come in Val d’Aosta, dove il francese serve solo per i cartelli stradali….
Sono d’accordo con Ruggeri. Altre lingue molto più vive dell’i-tagliano hanno tratto spunto da tutte le influenze locali. Il nostro idioma è nato da un disegno colonialista concepito da una dinastia bancarottiera che a corte parlava francese. E dai suoi sgherri massoni. Personalmente parlo milanese ogni volta che ne ho l’occasione, e mi godo gli sguardi attoniti dei fratelli d’iTaglia che mi ascoltano.
Off topic. Devo dire che c’è un termine da usare, ogni tanto, per cambiare, in sostituzione di i-tagliani. È una parola che ho sentito usare da alcuni amici lombardi d’oltre cortina e che trovo meravigliosa: AZZURRI. Vista la recente messa sotto inchiesta del CT Andonio, questo termine acquisisce un aroma ancor più ricco e fragrante.
Faccio anch’io la stessa cosa!
Caro Ruggeri, intervento bello e stimolante, che mi fa venire un’idea. In CantonTicino è stato pubblicato lo “Svizzionario”, un simpatico dizionarietto ticinese-italiano nel quale si evidenziano (e incoraggiano) tutti i modi di dire e le parole che differenziano i felici indigeni dai “badini” (cioè noi) e dai “terroni”. Mettiamoci, magari con l’aiuto dei lettori del Miglio Verde, a raccogliere tutto il materiale che serva a “padanizzare” l’italiano, a fare cioè il contrario di quel democristiano del Manzoni. Poi stampiamo il “Padazionario”.
Ci sto!