Il 20 aprile 1814, a Milano, veniva ucciso da una folla inferocita Giuseppe Prina, odiato Ministro delle Finanze del Regno d’Italia in epoca napoleonica.
Oggi, ricordiamo quell’episodio pubblicando in anteprima l’Introduzione del libro scritto da Romano Bracalini su quella vicenda, “Prina deve morire – Milano 1814. La prima rivolta antitasse in Italia”, appena ultimato, e presto nelle librerie, edito da Libreria San Giorgio.
INTRODUZIONE – Gabelle e gabellieri
L’Italia è tra i paesi più tassati del mondo civilizzato. In compenso è lo stato tra i più inefficienti e parassitari. Così, il divario tra il cattivo funzionamento della macchina statale e l’eccessivo carico fiscale, è ancora più indigesto e insopportabile. Ci lusinghiamo che gli eventi che andiamo a raccontare in questo libro – eventi che risalgono esattamente a due secoli fa – ,possano servire da avvertenza, da monito per i satrapi futuri, per gli affamatori del popolo che verranno. Se così non fosse rievocare quei fatti servirebbe a ben poco.
Dal sistema fiscale si giudica la civiltà di una nazione. In uno stato oppressivo non fa meraviglia che il cittadino-suddito evada o tenti di evadere le tasse. Cattivo stato. Cattivo cittadino.
“Affinché i contribuenti siano onesti – ha scritto Luigi Einaudi, economista liberale – si fa d’uopo anzitutto sia onesto lo Stato”. In Italia così non è. Lo stato è perennemente inadempiente, mentre il contribuente rischia la confisca se è in lieve ritardo.
Fin dagli albori del regno d’Italia il fisco infieriva soprattutto sui ceti più poveri, esattamente come facevano i baroni del Medio Evo. Si tassavano perfino le porte e le finestre. La “tassa sul macinato”, la più iniqua, era chiamata la “tassa sui poveri”.Quintino Sella, ministro delle finanze, era chiamato “l’odiato tassatore”. Ma almeno raggiunse il pareggio di bilancio.
All’avversione per il fisco – ha scritto lo storico Luigi Firpo -, contribuisce anche la memoria dei suoi ripetuti abusi, quando il prelievo di ricchezza sociale non era destinato ai servizi collettivi ma a soddisfare i lussi e i capricci dei signori. Certi Stati moderni si comportano alla stessa maniera. Il gabelliere andava di villaggio in villaggio e spogliava i contadini di quel poco che avevano in denaro o,in mancanza, di polli, conigli, maiali. Ovviamente in cambio non ricevevano nulla. Nel 1636 a Blansac, in Francia, i contadini si sollevarono contro il fisco. Fecero a pezzi uno sfortunato chirurgo che sospettavano fosse un gabelliere. Dopo averlo denudato strappandogli i vestiti di dosso e avergli tagliato un braccio, gli fecero fare tutto il giro del villaggio e poi lo finirono. Curioso! Il popolo milanese senza conoscerne il precedente riservò al Prina il medesimo trattamento. Gli stessi contadini fecero a pezzi anche un impiegato parigino adolescente che teneva la contabilità per un esattore fiscale. La sua carne venne tagliata a strisce e inchiodata sulle porte delle case, per ricordare agli ufficiali del fisco cosa era in serbo per loro. Questi episodi erano più frequenti di quando non si immagini. Ai nostri giorni, sempre in Francia, a Morlaix, cittadina del dipartimento bretone di Finistère, i coltivatori di legumi hanno assaltato e dato alle fiamme l’ufficio delle imposte. Segno che i metodi vessatori dello stato oppressore e fiscalista non sono cambiati in tanti secoli.
In Francia le misere condizioni del popolo e le tasse esose condussero alla Rivoluzione dell’89. Il 14 luglio il popolo di Parigi insorto diede l’assalto alla Bastiglia, diventata un simbolo rivoluzionario, ed eresse la ghigliottina nella futura place de la Concorde.(Prima si chiamava place Louis XV, quindi divenne Place de la Revolution).
La tassazione iniqua è una forma di dominio, una nuova forma di schiavitù moderna. Servì agli inglesi per tenere in soggezione i coloni americani, che alla fine si ribellarono e fondarono una nuova nazione. Servì ai re di Francia per tenere in servitù il popolo che alla fine insorse e abbatté l’Ancien Regime.
La storia è piena di rivolte fiscali che hanno dato avvio a spettacolari rivolgimenti sociali. I romani tenevano in pugno i paesi assoggettati non tanto con la forza delle armi, quanto con il carico esorbitante di tributi imposti: però facevano le strade e costruivano i ponti sui fiumi. Re Edoardo I d’Inghilterra teneva in scacco la ribellione dei nobili scozzesi con l’esosità delle imposte che impoverivano e umiliavano il paese o lo tenevano alla mercé della Corona. La guerra civile americana, la Civil war (1861-1865), non fu combattuta per la nobile causa dell’eguaglianza razziale, come si tentò di far credere, ma perché il Nord industriale voleva imporre il proprio stile di vita al Sud agricolo che era poco rappresentato al Congresso ed era oberato di tasse. Fu la protesta contro il fisco federale la causa primaria della secessione sudista e della guerra che lì a poco scoppiò.
Questo sistema tributario è durato a lungo, e se lentamente si è svuotato del suo carattere di rapina (senza scomparire del tutto in Italia), non lo si deve a un ritrovato senso di umanità e giustizia, ma alla sua degenerazione autodistruttiva. Firpo ricorda un episodio significativo di rivolta fiscale non violenta. Conquistata Cipro, i turchi imposero tasse esose sugli alberi da frutta, i ciprioti tagliarono le piante e rimasero sì, senza frutta, ma il sultano rimase senza quattrini.
In questo libro si raccontano gli eventi drammatici che nella Milano del 1814 sfociarono nella prima rivolta popolare in Italia contro il fisco. Napoleone aveva imposto tasse gravose ai paesi assoggettati e a tale scopo aveva scelto i più abili e implacabili gabellieri come Giuseppe Prina, ministro delle finanze del Regno italico. Mentre le tasse impoverivano il paese, la leva obbligatoria gli forniva i soldati di cui aveva bisogno per soddisfare i suoi sogni di conquista. Napoleone chiedeva denaro e sangue in misura sempre maggiore.
Nel libro si ricostruiscono le condizioni politiche e sociali del regno e le cause che alla fine portarono all’esplosione della collera popolare. La rivolta antitasse decretò la fine del Regno Italico. Non era mai accaduto nulla di simile in Italia. Con moto spontaneo, i milanesi del 1814 ebbero il coraggio di irrompere nel palazzo del ministro delle finanze Giuseppe Prina e di scaraventarlo dalla finestra, trascinando poi il cadavere per le strade del centro fino a sera inoltrata. A nessuno dopo di lui è stato riservato il medesimo trattamento, benché non ne siano mancati i motivi. Tuttavia la storiografia d’ogni corrente ha trattato con tutti i riguardi il Prina, mentre il popolo insorto è stato tacciato, senza incertezze o attenuanti, di crudeltà e abominio. Si può capire! La rivolta contro il fisco costituisce da sempre una minaccia per ogni Stato, non essendocene uno che rispetti in pieno i diritti del cittadino. L’autore di questo libro invece, contrariamente alla vulgata ufficiale, considera con simpatia e comprensione la rabbia del popolo milanese giudicata legittima e proporzionata alla gravità dei torti ricevuti. Quando lo Stato si trasforma in oppressore e affamatore del popolo,come il Regno italico di stampo napoleonico,la rivolta armata è la sola cosa che resti al popolo angariato. La morte può essere un atto di suprema giustizia.
Tra i personaggi più nefasti e deleteri che hanno contrassegnato la storia di Milano nel corso dei secoli, il Prina merita un posto speciale: nessuno più di lui fu maledetto dal popolo che ne fece un simbolo da abbattere. Questo libro vuole ricordarne le colpe e i misfatti, compiuti nel disprezzo del popolo, e rinnovare l’esecrazione e la condanna senza appello delle future generazioni.
Romano Bracalini, Milano 2015
Coraggio ragazzi ormai non c’è più Bossi che ha fermato il’92 !
Non dico che debbano essere linciati, ma qualche confisca patrimoniale e qualche anno di lavori forzati ai quisling padani che lavorano al servizio dell’occupante italiano nelle Agenzie delle Entrate ed in Equitalia credo che sia il minimo appena saremo indipendenti.