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L’indipendentismo veneto manca di una reale leadership

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indipendenza-noi-veneto-2di ENZO TRENTIN

Sulla questione abbiamo proseguito la nostra conversazione con il giornalista Roberto S. (vedi qui). Ne è scaturito un dialogo immaginifico ed evocativo che senza voler assolutamente spronare la suscettibilità dei lettori, è reso intenzionalmente pittoresco al fine di pungolarne l’attenzione. È bene anche premettere che nella letteratura scientifica psico-sociale con il termine di leadership si intende spesso la capacità di influenzare e mobilitare i membri di un gruppo sociale verso il raggiungimento degli obiettivi fissati dal gruppo stesso. Una tale definizione, tuttavia, rende solo una parte della complessa realtà che ruota attorno alla figura del leader in un gruppo.

ET: perché, secondo te, l’indipendentismo veneto manca di una reale leadership?

Roberto S.: molti studi hanno cercato di evidenziare non solamente l’aspetto strumentale legato al raggiungimento dello scopo, ma anche le diverse funzioni alle quali risponde la leadership, i rapporti con gli altri membri, la promozione della coesione sociale, il rafforzamento dell’identità collettiva, insomma quegli aspetti sociali e relazionali che caratterizzano la leadership. Ora gli pseudo leader veneti sono noti per non aver creato alcuna  coesione sociale, bensì l’aver alimentato il frazionismo e la delegittimazione dell’«altro» politico sedicente indipendentista. Costui da alleato è strato trasformato in avversario. Del resto con questo modo di fare anche l’indipendentismo veneto non è progredito. Infatti alle elezioni regionali di quest’anno i voti indipendentisti sono risultati all’incirca del 2,5%. Di contro c’è una percentuale di aventi diritto al voto, pari grosso modo al 50%, che si è astenuta dall’esprimere qual si voglia preferenza. Segno evidente che, per quest’ampia parte dell’elettorato, nessuna offerta è credibile. Se l’indipendentismo veneto potesse disporre d’una reale leadership, il terreno di conquista del consenso sarebbe proprio questo.

ET: manca il mago della pioggia che aiuta nell’impresa?

Roberto S.: Nelle tribù degli indiani d’America c’era un Mago che sapeva far piovere. Faceva accadere cose che per gli altri membri della tribù erano impossibili. Ancora oggi si usa definire «Mago della Pioggia» un leader di successo che fa accadere le cose, che genera occasioni e produce benessere per sé e per gli altri. Proprio come nelle tribù degli indiani, dove il Mago faceva piovere, salvava i raccolti e dava benessere all’intera tribù, anche oggi un Mago può generare valore per l’intera comunità. Invece a che cosa abbiamo assistito negli ultimi due o tre decenni? All’arrampicata sugli specchi di una folta schiera di Ascari che hanno predicato prima l’autonomia, poi il federalismo, ed oggi l’indipendentismo, senza mai raggiungere il benché minimo risultato politico. Nel linguaggio parlamentare italiano dei primi decenni del XX secolo, il nome di Ascaro era dato ai deputati delle maggioranze privi di un preciso programma o indirizzo politico. Secondo Antonio Gramsci erano macchine per votare. Ora si guardi a quel coacervo si sigle sedicenti indipendentiste che è passato sotto il nome di «Noi Veneto Indipendente», è bastato l’ukaze di Luca Zaia per farlo diventare «Indipendenza Noi Veneto Con Zaia». Alcuni l’hanno definita lista civetta. Vantaggi? Niente raccolta firme di sottoscrizione delle liste, oltre al vantaggio di non dover superare la soglia di sbarramento del 3% dei voti per poter ottenere un eletto. E, molto probabilmente, qualche nomina di altri pseudo leader rimasti a bocca asciutta di voti per l’entrata in qualche Consiglio d’amministrazione di aziende collegate all’Ente Regione et similia. Assomiglia a «La paga del soldato», l’indiscutibile capolavoro di William Faulkner. Tra questi soldati c’è il giovane Donald Mahon, orribilmente sfigurato in volto e privo di quasi tutte le facoltà intellettive.   

ET: ma ci sono altri soggetti sedicenti indipendentisti?

Zaia-prepara-McItalyRoberto S.: Tra gli studi di psicologia sociale più noti si può ricordare quello di K. Lewin, R. Lipitt e R.K. White, i quali distinsero tre tipi di leadership a seconda dello stile adottato dal leader nel gestire la partecipazione dei membri del gruppo nelle sue attività, ossia uno stile autoritario (che accentra le decisioni e riduce la partecipazione attiva degli altri), democratico (che favorisce la partecipazione dei membri stimolandone il contributo) e laissez-faire (che deroga la sua funzione di gestione e coordinamento dei membri). L’aspetto più interessante è notare come gli studiosi indichino i tre stili come adatti ad assolvere compiti differenti e come la leadership ideale fosse quella capace di riassumere in sé i tre tipi così da poter adottare quello più consono nei momenti richiesti.

Al primo stile qui indicato appartiene senz’altro l’ideatore del plebiscito telematico del 2014. Ha voluto dirigere in prima persona anche i mirabolanti risultati, tirandola per le lunghe sulla certificazione internazionale dei voti. Avrebbe potuto centellinare tale certificazione, per esempio, indicando dopo 30 giorni dalla chiusura delle votazioni che XY voti erano stati internazionalmente certificati, per proseguire dopo un altro mese nel certificarne altri YX e così via al fine di mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica. Ha preferito traccheggiare sin quasi all’inizio della campagna elettorale per le Regionali venete. Creando il sospetto che era questo il suo vero obiettivo: battere la grancassa mediatica in funzione elettoralistica. Non gli è andata bene, i pubblico gli ha negato persino quel minimo di sottoscrizioni delle liste indispensabile per presentarsi il giorno delle elezioni. Appare chiaro, sotto quest’ottica che l’indipendenza del Veneto era solo un pretesto per agguantare uno scranno regionale con annessi privilegi socio-economici. Del resto, anche in questo caso non si era di fronte ad un progetto istituzionale innovativo. Per questioni meramente narcisistiche del personaggio, anche il progetto del “Libro Bianco” che doveva essere l’emulo dell’analogo strumento presentato dagli scozzesi, e che aveva riunito centinaia di volontari, non approdò a nulla. Anche l’idea peregrina di presentarsi alle elezioni di quello Stato dal quale aveva l’anno prima dichiarato d’essere indipendente ha avuto il suo peso. Insomma, più che un leader che soddisfa aspettative e condotte caratterizzanti una leadership, ci siamo trovati di fronte ad un esperto in propaganda che ha fallito il suo personale obiettivo di soddisfare il suo ego.

ET: siamo circondati da sedicenti Rainmakers?

Roberto S.: non solo quelli, ci sono anche gli avvocati. Ed ogni volta che li sento nominare mi viene in mente uno dei vecchi adagi veneti di mia nonna: «Xe mejo un sorxe in boca al gato, che un omo in man dell’avocato.» (Meglio un topo in bocca al gatto, che un uomo in mano all’avvocato). Naturalmente lo dico qui per celia ed in nessun altro modo dev’essere inteso.

Dei veri protagonisti ti accorgi quando ne incontri uno perché è una persona energica, un professionista competente che non si fa pregare per dare valore ad altri professionisti o semplici elettori. In politica sono queste le persone che creano opportunità per la comunità (eventi formativi, opportunità di incontro e networking, condivisione di competenze, etc). Tuttavia nel caso di «Indipendenza Veneta» il suo Deus ex machina non ha soddisfatto le aspettative dell’indipendentismo veneto.

L’avvocato in questione (dall’ottimo eloquio), nel settembre 2014, s’è recato in Scozia in occasione del referendum per l’indipendenza per farsi fotografare insieme ad Alex Salmond dello Scottish National Party che nemmeno lo conosceva. Si tratta di foto propagandistiche (simili a quelle che i cinefili fanno con gli attori famosi) buone per i militanti più ingenui e sempliciotti. E che l’operazione sia stata di semplice makeup propagandistico lo dimostra il fatto che tra l’Snp e IV non è stato stilato nessun accordo di cooperazione, né scambio di know how politico, né altro che sia utile all’obiettivo: indipendenza del Veneto.  

A novembre 2014, poi, l’ennesima trasferta propagandistica a Barcellona in occasione del referendum-sondaggio colà svolto. Anche in questa occasione il “nostro” s’è freneticamente aggirato per la città, a volte addirittura scansato da altri veneti (in verità suoi concorrenti politici). Tuttavia anche qui – come in Scozia – non sono stati realizzati accordi politici atti a rafforzare l’azione, le  conoscenze e l’ampliamento del consenso all’indipendenza del Veneto.

Insomma, abbiamo persone ferrate nella propaganda, molto meno nella creazione di un nuovo soggetto politico atto ad autodeterminarsi.

Ad aprile di quest’anno, dopo il suo intervento alla Corte costituzionale italiana, ed al rigetto di questa dell’idea di referendum veneto per l’indipendenza, mi dicono che il “nostro” ha manifestato l’intenzione di ricorrere alle Corti europee. Tutto ciò è singolare, e forse indice della forma mentis di un avvocato che sembra non chiedersi: «Esiste giustizia al di fuori del potere?» E la risposta è: «No! Il potere esercita la propria giustizia.»

Eppoi lo abbiamo già detto della nostra precedente conversazione: la Commissione giuridica del Consiglio d’Europa ha espresso “profonda preoccupazione” per l’elevato numero di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che non sono ancora state attuate dagli Stati interessati. Una cifra che è pari a circa 11.000 casi. E quasi l’80% di tali sentenze in Italia non viene nemmeno preso in considerazione.

ET: fermiamoci qui con le constatazioni. Quali dovrebbero essere, secondo te, le azioni auspicabili per l’avanzamento dell’idea di autodeterminazione del Veneto?

venetoleoneRoberto S.: Sono molte in realtà. Te ne indicherò alcune senza un preciso ordine d’importanza: chiedere alle community. Guardare ai risultati. Chiedere alle persone che si ha di fronte di fornire fatti che confermino quello che la persona dice. Per esempio, quali progressi hanno avuto le idee di autonomia e di federalismo, quando circa trent’anni fa i “nostri” sunnominati predicavano queste soluzioni? Cercate la passione, perché dopo le competenze è questa che distingue chi ama davvero ciò che fa da tutti gli altri. Riconoscere immediatamente i valori che ci guidano in quel che facciamo. Dare concretezza alle nostre azioni: raggiungere gli obiettivi e non vendere fumo. Misurare tutto ciò che è misurabile, e ciò che non è misurabile renderlo tale.

Ed ancora l’ingrediente segreto di un vero «mago della pioggia» consiste nel far lavorare i funzionari-burocrati per le questioni di ordinaria amministrazione, astenendosi in ogni caso dal gestire la cosa pubblica per assumere il ruolo di controllori della stessa. È necessario riuscire a combinare insieme tre fattori: creare valore aggiunto per la società, divertirsi, accrescere la qualità sociale della vita pubblica stimolando l’assunzione di un’etica. Se manca anche uno solo di questi tre elementi, le magie non avvengono.

Le libertà civili non vengono regalate dalla democrazia. Infatti, per “democrazia” oggi si intende il diritto di un governo legittimato da processi maggioritari formali di disporre a suo piacimento della vita, della libertà e della proprietà dei suoi sudditi. Al contrario è necessario trovare una formula istituzionale il cui scopo sia quello di proclamare i diritti inviolabili dei cittadini e di porre un limite ai poteri dello stato. Come scriveva Max Weber in «La Politica Come Professione» (Politik als Beruf) il 28 gennaio 1919 [vedi qui] bisogna diffidare l’esercizio della politica come “professione”.

Per questo non bisogna disdegnare la cura di collegamenti internazionali; del resto secondoQuiFinanza“: «Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà.» In queste condizioni fuggire dal Belpaese attraverso l’indipendenza è pura sopravvivenza. 

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4 COMMENTS

  1. Egregio Trentin,
    al di la dell’evidente mancanza di leadership indipendentista e dell’evidente comportamento da “primedonne” di quasi tutti gli attuali leader o pseudo tali, non crede che in definitiva, tutto il movimento indipendentista veneto si basi solo ed esclusivamente su un’idea di nuovo stato veneto esattamente uguale all’attuale stato italiano?
    questa è la mia impressione. si vuole uscire dall’italia per ricreare un’altra italia, ma piu piccola, dove il famoso “residuo fiscale” verrà usato piu o meno 15 volte, (sentendo le varie soluzioni che gli indipendentisti proponevano, sarebbero serviti 300 mld l’anno, altro che 20) per risolvere tutti i problemi di tutti quanti.
    la cosa che mi spaventa è che tutti gli “indipendentisti” o pseudo tali, parlano proprio di questo mantra, sistematicamente. senza nemmeno rendersi conto che comunque ogni cittadino veneto sarebbe costretto a dare i suoi soldi a un altro cittadino amministratore, che teoricamente dovrebbe sapere come spendere i soldi del cittadino veneto meglio dello stesso cittadino veneto.
    a cosa servono i leader o i super leader se poi la proposta che si porta avanti è uguale identica al lagher da cui si vuole uscire?
    Saluti.

    • Egregio Silvano Libertario,
      condivido buona parte del suo ragionamento al punto che mi permetto di ricordarle come la maggior parte degli articoli da me scritti su questo giornale on line tratti appunto dell’inadeguatezza dell’indipendentismo veneto, e della mancanza di una proposta di nuovo assetto istituzionale.

  2. Riporto il seguente passo come letteralmente scritto nell’articolo :”Ed ancora l’ingrediente segreto di un vero “mago della pioggia” consiste nel far lavorare i funzionari-burocrati per le questioni di ordinaria amministrazione, astenendosi in ogni caso dal gestire la cosa pubblica per assumere il ruolo di controllori della stessa. E’ necessario riuscire a combinare tre fattori : creare valore aggiunto per la società, divertirsi, accrescere la qualità sociale della vita pubblica stimolando l’assunzione di un’etica. Se manca anche uno solo di questi tre elementi, le magie non avvengono.”
    Sono più che convinto che chi ha detto queste cose non ha mai avuto la benchè minima esperienza di pubblica amministrazione. Sono tutte delle mere opinioni (non teorie e nemmeno ipotesi) personali, utopistiche, che non hanno alcun riscontro reale, frutto di voli pindarici del sognatore di turno, fra l’altro che evidenziano un evidente errore logico di fondo rispetto al tema e cioè : il “mago della pioggia” è tale perchè … è capace di far piovere ! e nient’altro e proprio in quanto “mago” non è dato di sapere a nessuno come ne sia stato capace di farlo (altrimenti non sarebbe più un “mago”, ma un esperto, professionista …ultraspecializzato). Ma per tornare al tema e per cercare di far capire meglio la mia critica, chiedo al commentatore siccome parliamo di leader e non di “maghi della pioggia”, mi potrebbe indicare il nome di qualche leader italiano – degli ultimi trent’anni – secondo lui, che abbia incarnato quelle peculiarità che ha citato ? in modo che io possa andare a verificare e (semmai) a cambiare il mio giudizio sull’articolo.

    • Albert Eistein sosteneva: “abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare per risolvere i problemi causati dal vecchio modo di pensare”.

      Ne consegue che nessun leader italiano – negli ultimi trent’anni – ha incarnato le peculiarità descritte nell’articolo.

      Questo, ovviamente, non significa che cambiando la mentalità si otterranno risultati CERTI sotto il profilo del soddisfacimento di migliori condizioni sociali. La natura umana è quello che è. Tuttavia dobbiamo prendere atto che esistono (in estrema sintesi) due “teorie”: nella prima si riconoscono coloro che si affidano ad una classe “dominante” (aristocrazia, ovvero governo dei migliori); alla seconda coloro che ripongono maggiori speranze nella democrazia, ovvero governo del popolo.

      Attraverso il voto gli italiani si sono scelti via via le più diverse “aristocrazie”, e la qualità della vita di cui godiamo è sotto gli occhi di tutti.

      A differenza di altri paesi (la Svizzera, per esempio) il kratos (potere) del demos (popolo) non è mai stato sperimentato nel “belpaese”.

      Anche chi, come Silvano Polo è stato Sindaco non ha mai introdotto – pur potendolo – gli strumenti per l’esercizio della democrazia (diretta). Si veda in proposito il capitolo relativo agli istituti di partecipazione popolare del Decreto l.vo 267/2000 – testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

      A questo punto sarei io a chiedere all’ex Sindaco di San Bonifacio (VR) Silvano Polo, che vantaggi, riguardo dell’esercizio della reale democrazia, gli abitanti di quel Comune hanno tratto dalla sua elezione a primo cittadino.

      Per tornare all’articolo di cui sopra, la mancanza di leadership dell’indipendentismo veneto è dovuta principalmente ad una sorta di retropensiero: molti proclamano di volere l’indipendenza (sono quasi tutti coloro che circa trent’anni fa chiedevano l’autonomia ed il federalismo al solo scopo di sedere su scranni ben remunerati. E che nulla hanno ottenuto!) ma singolarmente chiedono il voto per essere eletti nelle istituzioni italiane. Una palese contraddizione.

      Quindi facciamocene una ragione, non abbiamo bisogno di buoni politici, abbiamo bisogno di buoni cittadini, e fintanto che a questi ultimi non sarà data la possibilità di decidere democraticamente e direttamente, quando lo ritenessero necessario, non solo continueremo a pensare alla vecchia maniera, ma continueremo ad avere dei politici di cui non andare fieri.

      In conclusione ringrazio Silvano Polo per la lettura dell’intervista, e per il dibattito che ne è scaturito.

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