di MATTEO CORSINI
Intervenendo a un convegno dal titolo “Inflazione e salari: quali politiche?”, il presidente della Società Italiana di Economia, Mario Pianta, dopo aver ricordato che i redditi reali hanno perso il 15% del potere d’acquisto in due anni, ha criticato la svolta restrittiva delle politiche monetarie e fiscali per contrastare l’inflazione dei prezzi al consumo, considerandole “una risposta profondamente sbagliata che apre una prospettiva di recessione.“
Posto che le politiche fiscali non sono restrittive, a meno che si consideri normale l’espansione avvenuta durante la pandemia, pensare di ridurre la crescita dei prezzi al consumo mediante spesa in deficit e politica monetaria espansiva significa sposare la logiche argentine o turche.
Anche la litania (diffusa tanto a destra quanto a sinistra a sud delle Alpi) in base alla quale quella europea sarebbe una inflazione da offerta è discutibile. In ogni caso, se non c’è abbondanza di moneta è impossibile che ci sia un aumento generalizzato dei prezzi.
Le basi delle recessioni sono da individuare nelle precedenti espansioni, non nelle successive restrizioni. L’alternativa sarebbe una ulteriore perdita di potere d’acquisto della moneta.
Come sosteneva Henry Hazlitt, “stiamo già sopportando le conseguenze delle scelte politiche di un passato remoto o recente. L’oggi è già quel domani che ieri il cattivo economista vi consigliava di ignorare.”
Sono le prodezze delle teorie keynesiane e dei loro seguaci a senso unico, ora il fallimento di questo “indirizzo” si sta palesando. Oltretutto è una questione matematica, non di opinioni pro e contro, ma per costoro è impossibile capire, sono stati “costruiti” per non sapere nulla, ed è quello che succede.