Tra venerdì 24 e lunedì 27 giugno, il Brexit ha cancellato un valore pari a 3 trilioni di dollari dalle borse mondiali. Come se fosse svanito un valore pari all’intero pil tedesco. Secondo l’agenzia Standard & Poor si è trattato del più grande sell off della storia, che ha superato il record precedente di perdite pari a 1.9 trilioni del settembre 2008. Il voto dei britannici ha provocato un’onda d’urto anche nel mercato valutario. La sterlina è scesa del 6% rispetto all’euro e del 10% e del 15% rispetto al dollaro, valute che si sono apprezzate non perché rappresentino un rifugio ma perché chi le aveva usate per finanziare le scommesse sulla vittoria del Remain se le è poi dovute ricomprare dopo che i britannici avevano staccato la spina dall’Europa.
E’ un errore credere che tutto questo cataclisma isterico sia stato causato dall’uscita del Regno Unito. Se i mercati e il sistema finanziario fossero stati sani e i prezzi delle attività finanziarie basati su fondamentali economici reali e non, invece, puntellati dalle banche centrali; se non ci fosse la volatilità e l’incertezza provocata dagli interessi negativi, avrebbe fatto differenza l’uscita di un paese che rappresenta l’8% della popolazione europea e che per giunta non fa parte dell’euro? Se, per ipotesi, si verificasse il Texit, la secessione dal governo di Washington dello stato del Texas che, pure rappresenta l’8% della popolazione statunitense, allora sì che un terremoto mondiale sarebbe giustificato perché verrebbe messo in discussione il dollaro, la valuta di riserva mondiale, e, di conseguenza i Treasury bond che rappresentano il principale collaterale del sistema finanziario globale. L’uscita di un paese dotato di moneta e politica fiscale proprie, quale il Regno Unito, sarebbe stato un non evento se, come dicevamo, l’Europa fosse un’area sana e prospera. Ma il fatto è che l’Europa è tutt’altro che sana e il sistema finanziario globale è una bolla gigantesca gonfiata dai vari quantitative easing delle banche centrali, che si crede possa essere ulteriormente gonfiata senza conseguenze. Il Brexit quindi è stato solo un catalizzatore che ha messo a nudo tutta la precarietà e la pericolosità della situazione mondiale.
L’uscita del Regno Unito è anche il segnale che l’euro è reversibile: se c’è distinzione tra i membri dell’unione e quelli dell’eurozona è difficile non vedere come un futuro smantellamento dell’una non porti allo smantellamento dell’altra.
L’euro è ormai una valuta avariata che circola in un’area sopraffatta da un contesto normativo rigido, burocratizzato e caratterizzato da debolezza economica strutturale per cui l’incentivo ad abbandonarlo sarà sempre più forte e non c’è nulla che la Banca centrale europea possa fare per fermare questo trend: nei mercati obbligazionari e monetari europei i premi per il rischio sul rendimento di strumenti considerati a basso rischio e quelli ad alto non potrà che aumentare minando l’integrazione nell’unione. Paesi come Italia, Spagna Portogallo e Grecia non reggeranno i tassi di interesse che il mercato esigerà per continuare a finanziarli.
Il fenomeno veramente allarmante non è il Brexit, ma l’insolvenza del sistema bancario europeo e in particolare delle banche italiane le cui quotazioni sono crollate negli ultimi sei mesi di uno stupefacente 54%. La recente garanzia di 150 miliardi al sistema del credito italiano insufficiente a coprire sofferenze di 360 miliardi pari al 18% dei prestiti erogati, è l’ennesimo bluff per tranquillizzare i mercati: di fatto, questi soldi non potranno essere utilizzati perché contravvengono alle clausole europee sui salvataggi e ammesso che fossero erogati, non risolverebbero il problema di fondo delle banche: il capitale netto negativo che, appunto, significa insolvenza. E non riguarda solo le banche italiane. Del resto la campana a morto per tutto sistema era già suonata nel 2013 con l’esperimento del bail in a Cipro, poi trasformato in legge per ricapitalizzarlo attingendo risparmio privato. Sintomo inequivocabile del disastro finanziario. L’Europa è ormai diventato un luogo pericoloso per risparmi e investimenti e oggi, depositare grosse cifre nelle banche è come mettere la testa sotto la ghigliottina. Che futuro ha un sistema bancario dove non affluisce più il risparmio che costituisce la materia prima per la sua crescita?
E’ questa situazione che dovrebbe turbare, non il Brexit. In ogni caso l’uscita del Regno Unito è un campanello d’allarme per l’establishment: la reazione degli elettori contro partiti politici, istituzioni e burocrazia europea è solo agli inizi e nel futuro il malcontento pubblico potrebbe montare fino al punto in cui il risentimento popolare potrebbe essere espresso in modo molto meno civile di quanto avvenga nei referendum. In Italia Spagna e Grecia la disoccupazione giovanile è rispettivamente del 39% 45% e 49% e c’è poco da scherzare. Nessuna società può resistere con tali livelli di disoccupazione senza sfasciarsi. Ha sempre meno senso votare per classi politiche che infliggono miseria alle popolazioni che ora e in gran parte avvertono il pericolo di sottomettersi a governi non democratici, centralizzati e tirannici di cui l’Europa non è che una delle ultime incarnazioni.
Per anni i governi e le banche centrali hanno cercato di convincere che deficit, regolamentazioni e stimoli monetari erano il modo di curare l’economia. Ma l’uomo della strada ha preso atto di una realtà molto diversa: ha visto progressivamente calare il proprio standard di vita, aumentare il costo della vita e peggiorare le prospettive di lavoro. Questo non solo in Europa. La completa disconnessione tra ciò che la politica ha finora raccontato e la realtà ha alimentato il sentimento anti-establishment anche dall’altra parte dell’Atlantico dove i voti a favore di Trump rappresentano la versione del Brexit americano.
Un’ultima cosa importante da registrare. Nella falcidia generale di tutti i valori, gli unici prezzi ad aumentare sono stati quelli dell’oro e dell’argento, le monete reali secolari. Ma anche qui è importante rilevare che il Brexit è stato solo un catalizzatore. L’aumento dei preziosi ha cominciato a “prezzare” la crescente instabilità politica, l’insolvenza dei governi, dei sistemi bancari e la fatuità delle politiche delle banche centrali per puntellarli. Ormai il trend è irresistibile: la distruzione delle valute inconvertibili che, come la storia documenta, tornano sempre, a causa di deficit incontrollati e espansioni monetarie, al loro valore intrinseco: lo zero. E dalle ceneri fumanti di regni, governi e valute solo oro e argento sono sempre sopravvissuti. Guai a coloro che non si sono accorti che quest’ora è di nuovo suonata.
UExit, yes we can.
Personalmente io ho in conto ad oggi 50,72€.
Non ho titoli di stato, azioni, obbligazioni, fondi, sicav ed altre porcherie.
Vorrei possedere più metallo prezioso.
Mantengo il mio tenore di vita a livello decoroso, senza lussi, senza spese inutili, senza esibire.
Mi prenderò qualche Bcoin, senza esagerare.
Anche io capisco che la soglia di non ritorno è stata superata da tempo.
Non voto più.
E spero che in Usa vinca Trump.