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L’italia è una mega-fabbrica per produrre debito pubblico

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debito pubblico pil-GRAFICOdi FABRIZIO DAL COL

Che strano, fino a qualche giorno fa il premier Renzi appariva più che soddisfatto, felice per aver conseguito con la sua montagna di provvedimenti un grande successo politico in Europa. In questi ultimi giorni, invece, in perfetta controtendenza al presunto successo conseguito in Europa e forse anche perché preoccupato dal fatto che tale provvedimento potesse finire “insabbiato” dalla stessa Unione, si è deciso a cambiare la sua inutile e moderata strategia politica iniziale. Infatti, dopo le critiche subite, e non accettate, circa le responsabilità delle sue innumerevoli dichiarazioni che, a suo dire, sarebbero invece utili per relazionare i miglioramenti fin qui conseguiti, il premier ha iniziato ad attaccare tutti, parti sociali in primis, scaricando così verso terzi le responsabilità del suo operato.

Ma cosa è veramente accaduto per aver fatto scatenare così violentemente il primo ministro italiano? Andiamo con ordine: il Pd, ovvero il partito di cui Renzi è anche il segretario politico, due settimane fa, attraverso alcuni componenti della minoranza Dem alla Camera, ha aperto l’offensiva dichiarando che non avrebbero votato la nuova legge elettorale senza sostanziali modifiche. Passa una settimana e l’offensiva prende corpo grazie alle dichiarazioni rilasciate dagli emissari del segretario che affermano: “La legge non sarà possibile modificarla, e dato che è stata già discussa più volte, necessita che sia approvata subito così com’è”.

Che sia stata proprio questa perentoria iniziativa di una parte del suo Pd a far saltare i nervi a Renzi ancora non è dato a sapere, tuttavia l’iniziativa è certamente riuscita nell’intento di scompaginare l’intero scenario politico italiano. La notizia che più appare interessante e potrebbe chiarire il motivo per cui il premier Renzi si è imbufalito è però un’altra; la minoranza del suo partito si è convinta che il segretario voglia a tutti i costi le elezioni anticipate. Vi sarebbe anche il “mega pacco” del taglio delle province, che oltre a non essere state tagliate, il governo ha scaricato i relativi costi sui comuni oggi già in ribellione.

“Dalla soppressione delle Province verrà un surplus di costi a carico dei comuni”. Lo si legge in un dossier sulla spending review (dl 95/2012) messo a punto dai tecnici del Senato, e pubblicato a luglio del 2012 dal quotidiano online Italia Oggi che, senza entrare nel merito dei contenuti, si limita a riportare le dichiarazioni di presunti tecnici del Senato i quali evidenziano anche l’esigenza della copertura del minore gettito fiscale derivante dallo slittamento temporale dell’aumento delle aliquote Iva, ribadendo che “i risparmi di spesa derivanti dalle disposizioni contenute nel provvedimento all’esame, potrebbero avere tempi e modi di realizzazione non essere sovrapponibili a quelli dovuti all’incremento delle aliquote Iva, con possibili effetti di sfasamento temporale in ordine ai risultati finanziari netti contenuti nel provvedimento”.

Insistendo sul tema, questi presunti tecnici del Senato, che io ritengo essere invece la lunga mano dei partiti, chiariscono: “Oltre ai possibili effetti di risparmio derivanti dalle misure di soppressione e razionalizzazione delle province e delle loro funzioni, potrebbero emergere profili onerosi di tipo straordinario in relazione al passaggio delle funzioni dalle province ai comuni interessati, oltre che per il venir meno di economie di scala connesse allo svolgimento di funzioni, ora accentrate nelle province e successivamente al trasferimento, frammentate tra diversi comuni”. E ancora, giusto per rincarare la dose e sempre in tema di P.A., “escludere dubbi sul rischio di un incremento della spesa che si potrebbe registrare per il ricordo al lavoro interinale, a progetto e simile aspetto che rischierebbe di vanificare, almeno in parte, i risparmi attesi medio tempore dalle riduzioni”.

Inoltre i tecnici mettono in guardia anche sui rischi che le riduzioni “si riflettano in un incremento degli incarichi dirigenziali a tempo determinato”. Ed ecco la perla finale: “I tecnici considerano anche necessario “chiarire” se i tagli delle dotazioni organiche del pubblico impiego, insieme al blocco del turn over “possono comportare, nei prossimi anni, difficoltà a soddisfare i fabbisogni minimi di funzionamento delle medesime amministrazioni” e ritengono “utile una valutazione dell’effettivo impatto del complesso di tali misure sul funzionamento delle amministrazioni”. Anche perché i tagli lineari adottati nel decreto spending review sul settore del pubblico impiego non sono “coerenti con un’effettiva” revisione della spesa: il metodo lineare “adottato dal dispositivo in esame” è “lontano dai criteri e dalle scelte che sarebbero coerenti con un’effettiva spending review”.

Un paio di settimane fa avevo posto il dubbio proprio su questo giornale che la deriva politica di Renzi  avrebbe potuto manifestarsi in poco tempo con i licenziamenti nel pubblico impiego, e guarda caso, i licenziamenti nel pubblico impiego non sono stati previsti nell’articolo 18. Se il premier medita al voto anticipato ecco che allora il mantenimento di tutto l’ambaradan burocratico statalista – dirigista – assistenzialista – che, come sappiamo, negli anni si è dimostrato da un lato un vero e proprio bacino elettorale in grado di condizionare le elezioni politiche e dall’altro “una grande azienda la cui più alta produzione industriale mondiale è il debito”. Se questa è una vera e propria “emergenza nazionale” finalizzata a costruire il solito “mega pacco” da rifilare ai Cittadini, spero di essere smentito con i fatti.

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3 COMMENTS

  1. Lei ha mille ragioni, ma un tal Benito nel 1937 aveva detto che governare l’Italia non è difficile ma inutile. E infatti, dal 1948 ad oggi, gran parte del suo boom economico va assegnato al piano Marshall, che ha permesso quegli investimenti necessari a favorire il lavoro,l’industria, e la nascita di una miriade di imprese. Nessun governo, da allora ad oggi, ha saputo guardare al Paese con il senso da statista, e ciò è derivato dal fatto che la macchina statale italiana è nata sfruttando la legislazione francese di cui ancora oggi abbondiamo con la burocrazia. Detto ciò, le riforme non sono riforme, ma buffonate totali tese a far sopravvivere il sistema di potere. Senza la rifondazione dell’intero Paese, finire nelle fauci della futura e sbagliata Ue politica diventerà inevitabile, e a quel unto, inevitabile sarà anche consegnare in mano al nulla l’intero patrimonio italiano.

    Cordialità
    Fabrizio Dal Col

  2. In queste analisi la matematica ci aiuta.
    Anni fa era facile prevedere che in assenza di correttivi (ed infatti non ci sono stati) si sarebbe arrivati alla crisi attuale. Dal 1992 la spesa pubblica è sempre aumentata, con aumenti superiori al misero aumento del Pil. Per finanziare la spesa pubblica crescente sono aumentate tasse e debito pubblico (che equivale a maggiore spesa e tasse future per gli interessi). Le aziende hanno reagito al calo dei consumi (un tempo i negozi lavoravano per Natale fin dall’ultima domenica di novembre, poi si è passati ai 15 giorni prima di Natale, poi ai due giorni prima, poi ai saldi ed infine al nulla di oggi) diminuendo le retribuzioni, licenziando, delocalizzando ed infine con la legge Biagi, precarizzando, contribuendo così alla crisi attuale. Il combinato di basse retribuzioni, alte tasse crescenti e prezzi alti (con l’introduzione dell’Euro sono raddoppiati e paghiamo la luce il 20% in più, l’Rc auto il 50% in più della Francia, per fare esempi) non poteva che portare alla scomparsa dei risparmi prima ( e quindi diminuzione dei depositi bancari utilizzabili per prestiti a stimolo dell’economia) e dei consumi dopo. Non dimentichiamoci che già nell’ultimo anno dell’ultimo governo Berlusconi chiusero 20.000 aziende di cui 11.000 per fallimento.
    Ora applichiamo la matematica alla situazione attuale.
    Il Pil è diminuito ma la spesa pubblica è aumentata. Per finanziarla si sono aumentate le tasse a dismisura raggiungendo il limite, ormai ogni aumento di tasse comporta una diminuzione di gettito di imposte dirette ed indirette. Il deficit è fissato dalla Ue al 3% e dovrà diminuire. Da anni la Ue ci chiede di diminuire il debito pubblico del 5% annui, vuol dire 100.000 miliardi all’anno, praticamente 1/8 dell’intera spesa pubblica e corrispondente a quanto si paga di interessi sul debito pubblico.
    Quindi deficit non si può fare, il debito non può aumentare anzi dovrà diminuire, le tasse è inutile aumentarle ed anzi la Ue ci ha chiesto di abbassarle a questo punto rimane solo la spesa pubblica da tagliare. Tagliare la spesa pubblica per abbassare le tasse e il debito pubblico vuol dire agire sulle principali voci di spesa che sono: interessi sul debito pubblico, stipendi pubblici, sanità, pensioni. Toccare gli interessi vuol dire fare default (totale o parziale) e quindi vuol dire far fallire le banche italiane, che da anni si riempiono di titoli di Stato e non concedono prestiti. Da notare l’assurdità dei titoli di Stato il cui rating è “spazzatura”, ma con interessi bassissimi, praticamente li comperano solo le banche italiane su mandato della BCE per evitare il fallimento e permettere alle banche tedesche e francesi di sbarazzarsi dei loro titoli. Se falliscono le banche deve intervenire lo Stato, il MPS ci è costato l’IMU sulla prima casa e non è ancora a posto…
    Tagliare stipendi e pensioni, vuol dire diminuire i dipendenti pubblici o tagliargli lo stipendio del 25%, per le pensioni vuol dire agire su pensioni sociali, babypensioni, pensioni d’oro, false pensioni d’invalidità, in poche introdurre il contributivo subito per tutti.
    Considerando che tutte queste categorie sono diffuse in meridione vuol dire andare a toccare 8/10 milioni di elettori meridionali.
    Considerate che alle ultime elezioni europee Renzi è stato votato da 8 milioni di persone (40 milioni di aventi diritto al voto, 50% di votanti, 40% x 50% x 40 milioni = 8 milioni) avrete l’immagine che il partito dei parassiti, dei mantenuti e dei beneficiari della spesa allegra è il partito di maggioranza relativa se non assoluta in Italia.
    Previsioni dalla matematica: L’Italia finirà i soldi, non ne avrà per pagare stipendi e pensioni, a quel punto se chiede un prestito alla troika si finisce come in Grecia e ci imporranno di tagliare la spesa pubblica. Per evitare di essere spazzati dalla politica lasceranno il cerino acceso a qualcun altro, faranno elezioni anticipate ed il PD farà una campagna per perderle (Forza Italia lo sta già facendo…), Renzi darà le dimissioni per motivi di salute o qualcosa del genere. Chi subentrerà dovrà risanare la spesa pubblica come sopra detto e perderà le elezioni successive lasciando di nuovo campo, con i conti a posto, ai vecchi cleptomani della politica attuale che prometteranno posti pubblici di lavoro e pensioni a chi le ha perse.
    Nasce a questo punto la necessità di essere pronti come indipendentisti ad intervenire, mi pare che siamo ancora in alto mare, come organizzazione….

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