Nei giorni scorsi gran parte dei mezzi di informazione, degli esponenti politici e degli opinionisti assortiti ha avuto un sussulto patriottico quando il presidente della Repubblica, in replica (ancorché indiretta) al primo ministro britannico Boris Johnson, ha affermato:
“Anche noi italiani amiamo la libertà ma abbiamo a cuore anche la serietà.”
Non intendo fare l’avvocato difensore di Johnson, ma ecco, nello specifico, cosa ha affermato durante un question time in cui un esponente dell’opposizione gli chiedeva conto di come mai in Italia e Germania la diffusione del Covid-19 fosse maggiormente sotto controllo:
“C’è un’importante differenza fra il nostro Paese e molti altri nel mondo poiché il nostro è un Paese che ama da sempre la libertà. Se guardiamo alla storia degli ultimi 300 anni, ogni avanzamento, dalla libertà di parola alla democrazia, è venuto virtualmente da questo Paese. E’ quindi molto difficile chiedere al popolo britannico di obbedire uniformemente alle direttive oggi necessarie.”
Purtroppo il Regno Unito è oggi molto distante dall’essere un paradiso libertario. Tuttavia non mi sembra fuori luogo il senso dell’affermazione di Johnson. Certamente non mi sembra che tale affermazione abbia problemi di “serietà”.
Credo sia vero che nei Paesi in cui il liberalismo ha avuto maggiore diffusione in passato, vi sia ancora oggi una maggiore resistenza da parte degli individui a essere trattati come pecore e, per converso, un po’ più di prudenza da parte dei governanti nell’imporre alle persone delle severe limitazioni alla libertà come avvenuto nei mesi scorsi.
In Italia può sembrare normale assistere con cadenza quasi settimanale, come è avvenuto durante la scorsa primavera, a interventi televisivi a reti unificate in cui il presidente del Consiglio elenca le restrizioni, gli obblighi e le “concessioni” che egli stesso a stabilito con proprio decreto. Sembra normale essere trattati come criminali se ci si trova a camminare a più di 200 metri da casa propria senza peraltro assembrarsi con altre persone.
E tutto questo sembra normale perché, prima dell’amore per la libertà, per molti viene quello per il quieto vivere. Una versione moderna del “Franza o Spagna purché se magna”. Non si spiegano altrimenti le immagini di persone con la mascherina anche quando sono completamente sole e all’aperto. Parafrasando quanto scritto da H. L. Mencken nel suo “Notes on Democracy”, “L’italiano medio non vuole essere libero. Semplicemente vuole sentirsi al sicuro”, o quanto meno illudersi di esserlo.
Sembra normale perché il modello educativo prevalente insegna agli individui a conformarsi a quello che è stabilito dalle autorità, per quanto liberticida o assurdo. Perché avere un’opinione dissenziente comporta essere tacciati di negazionismo e delle peggiori nefandezze, a prescindere dalle argomentazioni che si utilizzano.
Sembra normale anche perché, nei fatti, si giustifica ogni abuso di potere “basta che funzioni”. Si arriva perfino a prendere come esempio la Cina, che, stando ai numeri da essa stessa diffusi e su cui nessuno può fare verifiche indipendenti, avrebbe avuto finora poco più di 85mila casi e meno di 5mila morti, pur essendo il Paese più popoloso al mondo, mentre la vicina India viaggia a oltre 6 milioni di casi e si avvicina ai 100mila morti.
Credo che sarebbe necessario riflettere maggiormente sulle implicazioni che l’elogio di metodi (semi)autoritari può avere, perché se li si ammette per contenere la diffusione di un virus, come si farà a opporsi in altre circostanze?
Amare la libertà significa anche rispettarla. Evidentemente per il Quirinale la coerenza è poco seria.