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Lituania, un caso di successo per l’indipendentismo

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LITUANIAdi ALESSANDRO VITALE

Negli anni Novanta e in quelli recenti si è spesso scatenata la tesi (più umoristica che discutibile) delle presunte possibili “conseguenze distruttive” per Paesi che sono in procinto di diventare indipendenti. La realtà è però che, una volta guadagnata l’indipendenza politica, quasi sempre ci si è trovati di fronte a realtà baciate da più o meno accelerata fioritura civile, politica, sociale, culturale ed economica. Le eccezioni sono poche e riguardano alcune indipendenze post-sovietiche (ma quasi nessuna fra quelle post-jugoslave), dato che il regime imperiale sovietico era stato disegnato a tavolino da Stalin proprio per impedire, con le spire soffocanti dei complessi legami interrepubblicani, la possibile, futura indipendenza delle repubbliche. Chi continua a sostenere quella tesi ignora volutamente la realtà dei fatti, l’evidenza storica, gli studi comparati, ma soprattutto la teoria politica e quella economica.

Di recente sono fioriti in campo mondiale studi sulla Lituania fra le due guerre (ma anche in Italia era già stata di grande interesse l’opera di Nicola Turchi La Lituania nella storia e nel presente – del 1933 – ricca di dati statistici inequivocabili), che stanno dimostrando senza ombra di dubbio quali straordinari effetti ebbe la riconquista dell’indipendenza politica, da parte di uomini coraggiosi e determinati, il 16 febbraio 1918 (interrotta poi dalla brutale e spietata invasione sovietica del 1940) sullo sviluppo economico, civile, sociale del Paese baltico, già sede di un Granducato di enormi proporzioni spaziali, nel quale per secoli erano fioriti commerci capaci di generare montagne di ricchezza (anche in legame con l’Hansa germanica), città libere, tolleranza, convivenze fra etnie e una straordinaria cultura aperta al mondo (altro che la pseudo-globalizzazione contemporanea!…).

In un solo decennio (1918-1929) infatti, dopo il collasso dell’ex Russia imperiale (che aveva dominato la Lituania con pugno di ferro dal 1795), si ebbero nel Paese, esausto per la guerra, una mirabile riforma agraria, la creazione di più produttive fattorie individuali (poi devastate dalla collettivizzazione sovietica negli anni 1944 -1990), una straordinaria rinascita industriale, produttiva, del commercio internazionale e degli investimenti stranieri, un riassetto della bilancia commerciale, una gestione oculata della nuova moneta introdotta nel 1922 e agganciata all’oro, un aumento della domanda interna e internazionale, una politica fiscale molto cauta, il taglio radicale delle spese parassitarie e la formazione di una parsimoniosa classe politica di origini contadine. La giovane Repubblica nel primo decennio della sua storia indipendente riuscì a ottenere benefici tali e una tale prosperità economica da consentire di tamponare perfino gli effetti della crisi del ’29 (a differenza dei macro-Stati, propensi verso politiche socialiste e autarchiche). Si svilupparono inoltre una straordinaria società civile e un’istruzione gestita anche in forma volontaria e da associazioni private o comunali, composte di singoli cittadini, con l’abbattimento quasi integrale dell’analfabetismo (in Italia durato fino agli anni Settanta). La sanità si sviluppò oltre il livello di vita dei contemporanei Paesi europeo-occidentali e il livello di vita crebbe esponenzialmente. Si formò una generazione responsabile e entusiasta, che in seguito non accetterà l’invasione sovietica, alla quale cercherà di resistere con la  dura resistenza armata di un intero popolo (1944-1953/56). Il rispetto dei diritti delle minoranze (ebraica, russa, polacca, tedesca e lettone) migliorò: l’insegnamento avveniva nelle lingue dei diversi popoli e il lituano veniva insegnato a parte. Le scuole professionali (in gran parte organizzate sulla base dell’iniziativa privata) garantirono un collegamento fra il carattere agricolo del Paese e la sua razionale gestione.

Anche la svolta autoritaria di Smetona (1926) – un politico di grande cultura – non comportò mai l’interventismo economico. Se si pensa a quello che avveniva nello stesso periodo nell’Urss c’è da rimanere sbalorditi: una guerra civile permanente, un sistema pianificato e “amministrato” le cui conseguenze si vedono ancora oggi, la miseria degli anni 1921-22, la fame, le carestie, le rivolte, una dittatura spietata, un’immensa distruzione di risorse e di capitali e un inaudito crollo di civiltà, nel quale senza l’indipendenza sarebbe stata travolta anche la Lituania, come accadde a Russia, Bielorussia e Ucraina. Per non parlare di quello che avvenne negli anni Trenta: le collettivizzazioni forzate, le carestie genocidarie pianificate del 1932-1933 (Holodomor) in Ucraina (circa 10 milioni di morti), il consolidamento di uno spaventoso regime poliziesco, la soppressione della libertà economica e di quella politica, le requisizioni e la brutalità delle repressioni, la paralisi della produzione e degli scambi, l’inaridimento di tutte le fonti di produzione di risorse, la miseria nelle città e la povertà crescente, l’inflazione, la devastazione dell’agricoltura, l’espansione di una burocrazia parassitaria e violenta, la mancanza di medicinali, il terrore di massa e via dicendo. Se si fosse tenuto conto di questa realtà fra le due guerre (già descritta ad es. da Turchi nel 1933), forse si sarebbero evitate le demenziali considerazioni sulla legittimità della riconquista dell’indipendenza (espresse da intellettuali, diplomatici e politici occidentali) da parte del Paese baltico.

Il tassello della Lituania fra le due guerre è l’ennesimo che va ad aggiungersi a quelli che dimostrano gli effetti benefici dell’indipendenza politica. Le ragioni non sono campate in aria, ma si basano sulla realtà della politica e dell’economia. L’impatto positivo sulla responsabilità, sull’accortezza politica, sull’apertura economica e in termini di integrazione nella divisione internazionale del lavoro sono costanti evidenti, frenate invece dalle politiche dei macro-Stati, abituati alla chiusura, al protezionismo, all’autarchia e alla lentezza nella correzione degli errori. La Lituania ha riconquistato l’indipendenza nel 1990-91 e gli effetti già visti fra le due guerre si stanno manifestando nuovamente oggi.

Abbandonare legittime aspirazioni all’autogoverno e all’indipendenza significa solo bruciare immense potenzialità, che rimangono inespresse nei macro-Stati che si auto-giustificano con inconsistenti e ormai obsolete mitologie.

FONTE ORIGINALE QUI

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