Ecco, come da tradizione, le migliori novità dell’editoria liberale e libertaria proposte dalla Libreria del Ponte
Il leader del Movimento Libertario Leonardo Facco si è cimentato in una fondamentale battaglia di libertà per contrastare la campagna politica e mediatica favorevole all’abolizione del denaro contante. Il suo saggio è scritto in maniera così chiara e persuasiva che, terminata la lettura, si fa fatica a concedere il beneficio della buona fede ai fautori di questa iniziativa liberticida. Di fronte alle repliche di Facco, gli argomenti più frequentemente addotti contro l’uso del contante – la lotta all’evasione fiscale, al riciclaggio, alla corruzione o alla criminalità; la riduzione dei costi delle transazioni; addirittura i benefici ecologici o igienici (!) – finiscono per apparire grotteschi o demenziali.
È ovvio infatti che con l’abolizione del contante lo Stato, che già è riuscito negli ultimi anni a mettere in piedi un controllo orwelliano su tutti i conti correnti grazie alla complicità di un sistema bancario compiacente, diventerà di fatto il possessore di tutte le ricchezze mobiliari presenti entro i propri confini, che potrà espropriare con qualche semplice clic. A un oppositore o a una persona scomoda potranno essere tolti facilmente i mezzi di sussistenza, realizzando una situazione simile a quella dell’Unione Sovietica, nella quale il governo, proprietario di tutto, poteva condannare alla morte per fame interi strati della popolazione semplicemente non assegnandogli le risorse necessarie per vivere: potere di cui si valse Stalin per compiere il genocidio dei contadini ucraini. Molti pensano che da noi lo Stato non agirebbe mai in maniera così arbitraria, ma l’esperienza storica dimostra il contrario: per una sorta di legge fisica della politica, una volta attribuito un determinato potere all’autorità, questa prima o poi troverà l’opportunità per esercitarlo nella sua massima estensione possibile.
Gli Stati hanno già cancellato una lunga serie di libertà in campo monetario con l’istituzione del monopolio monetario della banca centrale, la moneta fiat creabile dal nulla e inflazionabile a piacimento e il corso forzoso. Per quali motivi, allora, si vuole eliminare anche l’ultimo briciolo di libertà monetaria rimasta, quella di utilizzare un mezzo di scambio materiale come si fa da migliaia di anni? Dall’abolizione del contante, spiega Facco, trarrebbero grandi vantaggi i soggetti che fanno parte del connubio Stato-banche. È chiaro quindi che questa campagna è orchestrata da persone che hanno come unico interesse quello di controllarci e sottrarci ricchezza, contando sull’indifferenza, la credulità o il servilismo della massa della popolazione.
Qualche anno fa, su iniziativa di Paolo Rebuffo di Rischiocalcolato.it, venne elaborato un manifesto a favore del contante libero al quale aderirono quindicimila persone. Quella battaglia non va abbandonata, e per tale ragione è importante diffondere questo libro, che è pubblicato dal quotidiano digitale Miglioverde, un gioiello dell’informazione indipendentista e libertaria. Leonardo Facco è il vicedirettore della rivista, mentre Giovanni Birindelli e Gerardo Coco, autori della prefazione e della post-fazione, sono due tra i migliori collaboratori.
Il problema è che in Italia tutte le riforme che riducono gli spazi di libertà individuale a vantaggio dei pubblici poteri trovano la strada spianata da una Costituzione che solo le caste privilegiate statali continuano a elogiare come “la più bella del mondo”. In questo libro il padovano Federico Cartelli disseziona con cura la nostra carta costituzionale, rilevando tutti i suoi caratteri illiberali, statalisti, accentratori. Del resto, osserva Carlo Lottieri nella prefazione, questo documento è stato concepito molti decenni fa entro un contesto culturale dominato da ideologie fortemente antiberali.
La Costituzione della Repubblica italiana, nell’interpretazione autentica della Corte Costituzionale, sembra infatti congegnata apposta per favorire, sempre e comunque, gli interessi di coloro che vivono di spesa pubblica (politici, burocrati, pensionati retributivi) a danno delle categorie che si guadagnano da vivere nel settore privato. Uno dei principali strumenti “costituzionali” con cui i consumatori di tasse statali depredano i pagatori di tasse privati è la teoria dei “diritti acquisiti”, una specialità italiana unica al mondo.
D’altra parte, nella costituzione italiana non c’è nessuna previsione che possa anche solo rallentare la progressiva invadenza del settore pubblico a danno del settore privato. Le imposte, la spesa pubblica, il debito pubblico e la burocrazia possono solo aumentare, mentre le misure di segno opposto rischiano sempre la bocciatura per incostituzionalità, dato che danneggerebbero questo o quel “diritto acquisito”. In definitiva, è difficile chiamare “costituzione”, almeno nel senso classico del termine, una carta che tutela solo i membri dell’apparato statale a scapito del resto della popolazione. Forse sarebbe meglio definirla “anti-costituzione”, dato che il suo obiettivo non è la limitazione del potere politico, ma la sua illimitata espansione.
I nostri problemi, forse, non derivano solo da uno Stato inefficiente o da una cattiva Costituzione, ma dall’idea stessa di Stato, e in particolare di Stato democratico. Hans-Hermann Hoppe, uno dei massimi esponenti del pensiero anarco-capitalista, in questo libro (di piacevole lettura anche per i bei testi introduttivi di Novello Papafava, David Gordon e Luca Fusari) risale alle origini della decadenza dell’Occidente mettendo sotto accusa il più intoccabile di tutti i miti politici dell’epoca contemporanea: la democrazia.
Per lo studioso tedesco il sistema politico più rispettoso dei diritti individuali e maggiormente favorevole al processo di civilizzazione è l’ordine “naturale” senza monopoli legali della forza, nel quale esistono molteplici giurisdizioni in concorrenza fra loro. Il Medioevo europeo, l’epoca che ha maggiormente differenziato la parabola storica dell’Occidente rispetto alle altre civiltà, si è avvicinato a questo modello grazie al suo grande pluralismo politico. Successivamente i monarchi assoluti sono riusciti a monopolizzare le funzioni di protezione e giustizia all’interno di un certo territorio. Come prevede la teoria economica, il risultato fu lo scadimento del servizio e l’aumento del suo costo, sotto forma di maggiori tasse.
Il successivo passaggio dalla monarchia alla democrazia ha solamente peggiorato le cose, perché non ha fatto altro che ampliare il numero dei parassiti che vivono a spese dei ceti produttivi. Invece di essere limitati ai re e ai nobili, spiega Hoppe, in democrazia i privilegi diventano alla portata di chiunque, dato che tutti possono partecipare al furto e vivere del bottino rubato con le tasse, se solo diventano pubblici ufficiali. Inoltre, mentre il re era una sorta di “proprietario privato” che aveva interesse a mantenere in buone condizioni il regno per trasmetterlo alla discendenza, i governanti democratici sono dei custodi temporanei che sfruttano il più possibile nel breve periodo i vantaggi della loro carica. Il risultato è l’aumento inarrestabile della spesa, della tassazione e del debito, fino all’inevitabile collasso finale. Per scongiurare il crollo della civiltà dovuto all’eccesso di fiscalismo e di burocrazia parassitaria, Hoppe conta molto sull’azione dei movimenti indipendentisti e secessionisti.
Eamonn Butler, La scuola austriaca dell’economia. Un’introduzione, IBL Libri, p. 162, € 12,00
Hans-Hermann Hoppe è stato allievo di Murray N. Rothbard, che a sua volta è stato allievo di Ludwig von Mises: tutti grandi esponenti della Scuola Austriaca dell’Economia, una corrente del pensiero economico che ha avuto la sua prima fioritura a cavallo tra ‘800 e ‘900 con Carl Menger e Eugen von Bohm-Bawerk, la sua massima influenza nei primi anni ’30 quando l’austriaco Friedrich von Hayek era il maggiore avversario di John Maynard Keynes, un prolungato periodo di crisi con il trionfo del keynesismo, e una rinascita negli ultimi decenni grazie a una nuova generazione di studiosi soprattutto statunitensi.
In particolare sta attirando un interesse crescente in tutto il mondo la teoria del ciclo economico sviluppata da Mises e Hayek, perché offre una convincente spiegazione delle cause dell’instabilità finanziaria internazionale. Gli economisti di scuola austriaca individuano l’origine dei boom e delle successive crisi nelle continue immissioni di denaro creato dal nulla da parte delle banche centrali. Il libro di Butler rappresenta quindi un’utile panoramica sulle personalità e le idee di questa scuola economica.
L’America Latina è forse il continente in cui la mentalità ostile al libero mercato ha trovato il terreno più fertile, anche dentro la Chiesa cattolica. Lo stesso Papa argentino attuale sembra mostrare una certa simpatia per le posizioni della Teologia della Liberazione, che rappresenta il caso più emblematico di commistione tra cattolicesimo e marxismo. In Sudamerica l’influenza di questa dottrina a livello politico è stata notevole, ma gli effetti sono stati sempre disastrosi, come spiega il giornalista cattolico peruviano Julio Loredo in questo libro, che si apre con un’ampia disamina del modo con cui la teologia progressista ha scalzato quella tradizionale all’interno della Chiesa.
Nella parte finale, più interessante dal punto di vista politico, l’autore ricorda i risultati totalmente fallimentari dei regimi sudamericani che si sono ispirati all’ideologia marxista, sostenuti spesso dagli esponenti della Teologia della Liberazione. A Cuba il salario medio oggi è di soli 21 dollari, il più basso del continente: insufficiente, come ha ammesso Raul Castro, per soddisfare i bisogni più elementari della popolazione. In Cile il governo marxista di Salvador Allende portò l’economia al completo collasso in soli tre anni: dal 1970 al 1973 il pil crollò da un + 8% a un – 4,3%, l’inflazione aumentò dal 22% al 5600 % all’anno, il reddito medio passò da un + 22,3 % a un – 25,3 %, il bilancio commerciale sprofondò da + 114 a – 112 milioni di dollari, il numero dei cittadini sotto la soglia di povertà aumentò del 33 %.
Risultati analoghi si sono avuti in Brasile con la riforma agraria fatta nei primi anni Settanta dal dittatore socialista Alvarado, in Nicaragua, in Perù, in Venezuela. Eppure, proprio questa miseria e queste tirannie vengono ancora presentate dai teologi della liberazione come un modello! Per il bene di questo continente, si può solo sperare che simili tossine ideologiche siano al più presto espulse dalla Chiesa e dalla società.
di Guglielmo Piombini- LIBRERIA DEL PONTE