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Lo Stato etico ha sopraffatto lo Stato liberale

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di ALEX SWAN

Lo Stato liberale si fonda sulla supremazia del diritto e della libertà dell’uomo, mentre uno Stato etico si pone come decisore, arbitro e giudice assoluto del bene e del male, come fonte per il singolo e per la collettività, come l’unico creatore del bene comune.

Lo Stato liberale, nella sua declinazione politica, non è uno Stato etico. “Volere e agire sono precisamente la stessa cosa che essere libero”, afferma Voltaire (1694-1778), ciò che lo Stato etico rinnega.

Lo Stato etico decide qual è il comportamento ‘eticamente edificante’ e invece di considerare i cittadini portatori di diritti pretende di educarli. Al contrario, lo Stato liberale – come afferma von Humboldt (1767-1835) – “attraverso l’equilibrio così raggiunto dei diritti, deve porre i cittadini nella condizione di educare sé stessi”. Ed inoltre, “ogni impegno dello Stato è da respingere, quando porti ad immischiarsi nella sfera d’affari privati dei cittadini, salvo che questi affari non si traducano immediatamente in un’offesa al diritto dell’uno da parte dell’altro”.

In uno Stato etico, invece, tutte le particolarità, individuali e sociali, trovano il loro fondamento, la loro realizzazione ed il loro scopo ‘solo’ nello Stato. Teorizzata in particolare da filosofi politici come Hobbes ed Hegel, l’organizzazione statuale etica rappresenta il fine ultimo cui devono tendere le azioni degli individui e costituisce la realizzazione concreta del ‘bene universale’.

Lo Stato etico è, in pratica, il “Dio mortale” di Hobbes, incarnato nel gigantesco Leviatano, che assume su di sé la ‘totalità’ dei diritti del singolo. In esso vige lo “stato di guerra di tutti contro tutti”, le leggi vengono imposte e gli individui rinunciano ‘spontaneamente’ a parte della loro libertà in cambio di protezione: essi fanno riferimento ad un unico rappresentante istituzionale, lo Stato. Gli uomini sono considerati dei ‘sudditi’ sottomessi più che dei ‘cittadini’ o, tantomeno, degli ‘individui’.

Il potere dello Stato etico è assoluto e indivisibile e non può essere distribuito tra poteri diversi che si limitano a vicenda. Tutta l’autorità appartiene allo Stato, compresa quella religiosa, quindi Chiesa e Stato coincidono; in pratica l’antitesi dello Stato liberale di diritto.

Fu John Locke, fondatore del moderno liberalismo (e quindi del pensiero liberale), a contraddire per la prima volta nella storia la tesi assolutistica ed eticamente totalizzante del Leviatano hobbesiano. Nei “Due trattati sul governo” (1690) Locke sostiene che il potere non possa concentrarsi nelle mani di un’unica entità, né tantomeno essere irrevocabile, assoluto e indivisibile. Gli uomini, inoltre, non cedono al corpo politico ‘tutti’ i loro diritti, ma solo quello di farsi giustizia da soli e lo Stato è tenuto a rispettare i diritti naturali e inalienabili degli individui – “la vita, la libertà, i beni” – altrimenti violerebbe il ‘contratto sociale’ sul quale si basa la relazione individuo-Stato e in virtù del quale è stato costituito lo Stato.

Nato dal medesimo principio contrattualista che muove la riflessione di Hobbes, lo Stato di Locke non può dirsi né etico, né assoluto. Data la natura del contratto nella concezione di Locke – un atto di libertà (e non di sottomissione) dei cittadini – i cittadini conservano il diritto di ribellarsi allo Stato, quando questo diventa tiranno e trascende i limiti che gli sono stati imposti al momento della fondazione. In sostanza, lo Stato liberale ha solo il compito di tutelare i diritti naturali inalienabili propri di tutti gli uomini e non mira, in alcun modo, a dettare delle regole morali agli individui.

Mentre per lo Stato etico “la legge è il comando di quella persona, il cui precetto contiene la ragione dell’obbedienza” (Hobbes, De Cive, 1642), per lo Stato liberale “ogni individuo ha il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono” (Montesquieu, Lo Spirito delle leggi, 1748).

Sulla base dell’esempio costituzionale inglese, Montesquieu (1689-1755) sostiene inoltre che l’unica garanzia di fronte al dispotismo risiede nell’equilibrio costituzionale determinato dalla divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Per limitare l’abuso di potere è necessario che “il potere arresti il potere”, afferma l’illuminato giurista francese, perché “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”.

Perfezionando la teoria della separazione dei poteri già presente nell’opera di John Locke, Montesquieu trasforma la sua ricerca sulla natura e lo ‘spirito’ delle leggi in un programma morale e politico: la separazione dei poteri è la condizione indispensabile per la conservazione della libertà e per l’instaurazione di un sano equilibrio tra etica e politica.

Lo Stato liberale non si rispecchia nei canoni di uno Stato etico – indivisibile, indiscutibile, assoluto – ma ciò non vuol dire che lo Stato liberale ha una scarsa considerazione dell’etica; al contrario l’etica è la base dell’attività politica e della vita sociale, e quindi del progresso civile.

In uno Stato liberale, però, la fonte dell’etica è l’individuo, in virtù della sua libertà, e non lo Stato. All’etica è inoltre profondamente legato il principio della giustizia: “La giustizia – afferma Mill (1806-1873) – è il nome di certe categorie di regole morali che riguardano più da vicino le condizioni essenziali del nostro benessere, e che quindi sono più rigorosamente obbligatorie di qualsiasi altra regola per guidare la nostra vita; e la nozione che abbiamo trovato nell’essenza stessa dell’idea di giustizia, e cioè quella di un diritto insito in un individuo, implica questa più cogente obbligatorietà e se ne fa testimone”.

Attento sostenitore del carattere razionale e dimostrativo dell’etica, John Locke ritiene invece che non si può proporre nessuna regola morale di cui non si debba dar ragione, e la ragione di tali regole dovrebbe essere la loro utilità per la conservazione della società civile e la felicità pubblica. Nella disparità delle regole morali che affollano la nostra società si dovrebbe, pertanto, selezionare quelle utili a tale scopo. “Vivi secondo ragione”, afferma Locke.

In uno Stato liberale, al contrario di uno Stato etico, gli individui sono ‘liberi’ e tutti esattamente ‘uguali’; liberi di agire e di pensare, liberi di decidere, di gestire se stessi e la propria esistenza. Le regole morali, in particolare – come sottolinea Mill – “proibiscono agli uomini di nuocersi reciprocamente (fra cui non dovremmo mai dimenticare di includere l’indebita ingerenza nella libertà individuale altrui) hanno per il nostro benessere un interesse più vitale di qualsiasi altra massima che, per quanto importante, si limiti ad indicare il modo migliore di amministrare un certo settore delle faccende umane”.

L’uomo liberale considera inoltre la tolleranza – virtù scarsamente praticata in uno Stato etico – una virtù morale di fondamentale importanza per il progresso umano e civile della società: “Il liberale ama la tolleranza e la libertà. Il suo amore per la tolleranza è la necessaria conseguenza della convinzione di essere uomini fallibili”, afferma Karl Popper.

Nel contempo, però, secondo l’epistemologo austriaco è necessario difendersi da coloro che non sono tolleranti e che quindi pretendono di dettare comportamenti e regole morali, instaurando così un’etica assoluta che non dà spazio alla discussione critica.

Il liberale “è tollerante con i tolleranti, ma intollerante con gli intolleranti. La tolleranza, al pari della libertà, non può essere illimitata, altrimenti si autodistrugge. […] Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”.

Soffocando la libertà di pensiero si crea una società ideologica e dogmatica (uno Stato etico) che si fonda sulla presunzione di essere perfetta mentre il liberale sa che la (presunta) società perfetta è la negazione della società aperta; quest’ultima è una società che riconosce il valore fondante dell’etica ma che non impone ‘una’ visione etica, un pensiero unico.

L’autonomia dell’individuo e il suo potere di scelta, la forza e la razionalità del diritto, la limitazione del potere e dei poteri, ed infine, l’abolizione di ogni forma di coercizione sono i punti di forza, le leve, di uno Stato liberale che è, necessariamente, uno Stato minimo e nel contempo un ideale regolativo. “Troppo Stato conduce alla non libertà” afferma Popper. “Ma esiste anche un ‘troppo’ di libertà […]. Abbiamo bisogno di libertà per evitare gli abusi del potere dello Stato, e abbiamo bisogno dello Stato per evitare l’abuso della libertà”.

In definitiva allo Stato non dovrebbero essere attribuiti poteri oltre il necessario. Esso non rappresenta il culmine dell’eticità, il fine supremo e l’arbitro assoluto del bene e del male; lo Stato non è norma etica per il singolo.

La condotta dello Stato, inoltre, non è esonerata da valutazioni morali da parte dell’individuo che, al contrario, ha il diritto di resistere e di ribellarsi di fronte ad ogni forma di abuso di potere. In pratica lo Stato di diritto liberale è il custode eccelso della legge, che rappresenta la massima garanzia di libertà, ma non è chiamato a fornire delle regole di pensiero o di comportamento, a decidere cosa sia moralmente accettabile e cosa non lo sia.

L’etica liberale presuppone che ‘ogni’ individuo sia per lo Stato un fine e non un mezzo; nel contempo, una Costituzione stabilisce i diritti e i doveri dei cittadini nei confronti dello Stato e i limiti al potere di chi governa. Come afferma Guido De Ruggiero (1888-1948) in Storia del liberalismo europeo, “La nostra fiducia nella vitalità del liberalismo riposa, come nella sua meta, nello Stato liberale. Esso è lo stato politico per eccellenza, la politía dell’età moderna. La sua natura, schiettamente dialettica, si alimenta di tutte le opposizioni vive della discordia non meno che della concordia, dei dissensi non meno dei consensi”.

La libertà e la teoria del liberalismo, lo Stato liberale e i diritti inalienabili dell’individuo, oltrepassano la teoria formale dell’etica preferendo la sua applicazione alla realtà storica e, soprattutto, privilegiando un’etica laica all’interno di uno spazio politico e sociale non chiuso ma aperto al confronto con il passato – e quindi in grado di riconoscere il valore fondante della tradizione – e, nel contempo, predisposto a rinnovarsi continuamente nel presente, superando i pregiudizi e valorizzando le differenze.

I buoni propositi ‘liberali’ devono però tradursi in principi vivi di ‘prassi politica’ – il braccio secolare della morale – che se animata da un’etica leale e coerente mira ad ottenere il massimo a proposito di bene comune. L’uguaglianza di fronte alla legge, ad esempio, non è semplicemente un dato di fatto ma deve corrispondere ad istanza politica che riposa su una scelta morale. “La fede nella ragione – afferma Popper – anche nella ragione degli altri, implica l’idea di imparzialità, di tolleranza, d rifiuto di ogni pretesa autoritaria”.

Realizzare il massimo grado di giustizia all’interno della libertà è l’obiettivo etico liberale più elevato e tutto ciò si può concretizzare solo all’interno di una società aperta, avversa ad ogni forma di totalitarismo e di abuso di potere, ad ogni pretesa di perfezione morale.

In una società aperta la storia assume il significato che gli uomini le danno, non esiste un senso della storia precostituito o un’etica totalizzante rispetto alle decisioni e alle interpretazioni umane: “Per ragioni morali, non dobbiamo mettere ‘niente’ al loro posto”, ammonisce Karl Popper. Occorre difendersi dai falsi profeti, dai demagoghi, da tutti coloro che, come gli storicisti, pretendono di “scoprire la chiave della storia […] o il senso della storia” in maniera ‘assoluta’, non confutabile. “Chi stabilisce le presunte verità sull’uomo?”, si chiede Murray Newton Rothbard (1926-1995). “La risposta è non chi, ma cosa, la ragione. La ragione umana è obiettiva, ossia può essere usata da chiunque per produrre verità riguardo al mondo”.

Lo Stato liberale rigetta un’impostazione organica dell’etica che subordina l’individuo a entità superiori (Stato, società, partito, classe); bensì è l’istanza etica individuale – l’esigenza di coniugare giustizia e libertà, il richiamo costante ai diritti naturali dell’uomo – che deve essere contemperata con l’esigenza storicista di percepire le differenze tra gli uomini e di promuovere nuove libertà.

La “diversità di caratteri”, sottolinea Mill, è la vera ricchezza di una società civile evoluta: “L’identità di opinioni non è una cosa auspicabile, a meno di non essere il risultato del più completo e libero confronto fra opinioni contrarie, […] questi principi si possono applicare non solo alle opinioni degli uomini, ma anche ai loro diversi modi di agire”, e quindi all’etica. “Il solo aspetto della propria condotta di cui ciascuno deve rendere conto alla società è quello riguardante gli altri: per l’aspetto che riguarda soltanto lui, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo l’individuo è sovrano”.

Con questo spirito l’etica liberale nella società contemporanea si propone non solo come strumento di evoluzione della libertà ma può rappresentare un reale fattore di dinamicità sociale, di crescita civile e politica, di sviluppo delle differenze individuali, con la consapevolezza che le minoranze, qualora non corrispondano a nicchie storiche, si rivelano, molto spesso, la guida del progresso civile.

Una civiltà liberale si fonda sul rispetto della prerogativa dell’individuo di poter vivere moralmente libero e sull’esigenza che vi sia, come sottolinea Mill, “nell’esistenza umana una roccaforte sacra, sottratta all’intrusione di qualsiasi autorità”.

Questa roccaforte è la coscienza che, in una prospettiva specificatamente etica, rappresenta “la regione propria della libertà umana”. Libertà di coscienza, nel senso più ampio del termine, vuol dire per Mill “libertà di pensare e di sentire; assoluta libertà di opinioni e di sentimenti in qualsiasi campo, pratico o speculativo, scientifico, morale o teologico”.

Non è quindi tollerabile un’etica dogmatica che “non abbia effetti vitali sul carattere e la condotta umana”. Il dogma “diventa una mera affermazione formale, che ha perso per sempre la sua efficacia ma ingombra tutto lo spazio, impedendo la nascita di qualsiasi convincimento autentico e sincero, fondato sulla ragione e l’esperienza personale”.

L’etica liberale è quindi costantemente corroborata dalla razionalità e dall’esperienza di vita, gli ingredienti fondamentali del progresso individuale e sociale.

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