di GUGLIELMO PIOMBINI
Lo Stato si è sempre dimostrato assolutamente incapace di ridurre la povertà. Anzi, se prendiamo un qualsiasi Stato nella storia, troviamo sempre una redistribuzione di risorse dai ceti produttivi a basso reddito alle classi ricche e potenti: questo vale per l’Ancièn regime, l’Urss e le attuali socialdemocrazie, senza eccezioni.
Una volta che attribuisci allo Stato il potere di redistribuire i redditi, è ovvio e inevitabile che ad avvantaggiarsene saranno le categorie più potenti e capaci di impossessarsi dei suoi apparati. Basti guardare in Italia: i beneficiari della spesa pubblica (stipendi e pensioni), cioè i consumatori di tasse, sono in grande maggioranza categorie ad alto reddito: politici, dirigenti pubblici, magistrati, burocrati, ecc., mentre i pagatori di tasse sono in grande maggioranza categorie a redditi medio-bassi: piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, agricoltori, partite iva e così via.
Quindi lo Stato, per sua natura, redistribuisce sempre al contrario. Non conosco eccezioni a questa regola.
Non conosco nemmeno successi dello Stato nel diminuire la povertà. Al massimo lo Stato la incentiva, creando delle enormi categorie di persone dipendenti dalla spesa assistenziali, che sviluppano una mentalità parassitaria e improduttiva: tutta gente che, senza il welfare state, avrebbe probabilmente avuto una vita diversa, molto più produttiva e soddisfacente. La spesa assistenziale, inoltre, finisce per una grossa fetta in tasca alla burocrazia che la amministra. Per certe organizzazioni come la Fao e l’Unesco si arriva anche all’80% dei bilanci fagocitati dalla burocrazia. Per non parlare degli immensi sprechi, parassitismi e corruzione che genera.
Quando mai un paese ha migliorato il proprio livello di vita grazie all’assistenza pubblica? Io non ne conosco. Ci sono prove sempre più evidenti, ad esempio, che il sottosviluppo del sud d’Italia rispetto al nord o, in misura maggiore, dell’Africa (come si può leggere nel libro “La carità che uccide”) sia in larga misura causato dall’alluvione di aiuti e sussidi, che hanno distrutto l’etica imprenditoriale e del lavoro. Storicamente è stato il capitalismo a sconfiggere la povertà per miliardi di persone. Se oggi i nostri poveri hanno un tenore di vita infinitamente superiore a quello dei re di Francia, è perché il capitalismo ha prodotto un’infinità di beni e servizi di qualità sempre migliore e a prezzi sempre più bassi. Ma l’intervento redistributivo statale non può che inceppare ed ostacolare questo processo, a danno quindi dei poveri.
In realtà prima del welfare state esistevano delle organizzazioni caritatevoli private o di mutuo soccorso che erano efficientissime, perchè non generavano sprechi, burocrazia e parassitismo, ma erano attentissime a discriminare il povero meritevole di aiuto dal furbo approfittatore.
La storia di queste associazioni, diffusissime soprattutto in Inghilterra e Usa nell’800, è affascinante. Quasi tutte le famiglie di alto o medio reddito vi contribuivano. È il welfare state, infatti, che ha distrutto la vera solidarietà, perchè oggi di fronte alla povertà molti dicono: “Che ci pensi lo Stato!”.
Un tempo invece la società civile doveva attivarsi direttamente, e quasi sempre realizzava i propri obiettivi.