Di tanto in tanto torna a fare cronaca l’idea di rivedere la disciplina in materia di sostanze stupefacenti. Generalmente si crea confusione tra legalizzazione e liberalizzazione. La prima sarebbe probabilmente destinata a non migliorare le cose, e forse le peggiorerebbe. Meglio sarebbe la seconda, se fosse realmente tale, ossia se lo Stato rimuovesse proibizioni alla produzione e al commercio, senza porre in essere altri vincoli. Dubito che in Italia si arriverà mai a una liberalizzazione.
Chi è favorevole alla legalizzazione è mosso da diverse motivazioni, generalmente tutte stataliste. Si va da chi vorrebbe avere meno affollamento carcerario, a chi punta al gettito fiscale.
Quando a esprimere un parere sono dei magistrati, generalmente il grado di statalismo è elevato. Ecco cosa ha dichiarato, per esempio, il procuratore nazionale della Dda Franco Roberti: “Siamo favorevoli a una disciplina che attribuisca ai Monopoli di Stato, in via esclusiva la coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati. Siamo però radicalmente contrari alla previsione di autorizzare la coltivazione della cannabis ai privati”.
A parte l’uso del plurale maiestatis, che fa tanto divino Otelma, la soluzione proposta si basa sulla presunzione, tipica di ogni statalista, per cui solo lo Stato può gestire certe attività. Ma si tratta, a mio parere, di una posizione priva di logica, e anche di coerenza. Coerenza vorrebbe che si rimanesse del tutto proibizionisti. Non ha senso, infatti, monopolizzare produzione e vendita, a meno che non si dichiari apertamente che la preoccupazione principale non riguarda gli eventuali danni alla salute dei consumatori, bensì il gettito fiscale.
Credo, comunque, che anche questa volta alla fine non cambierà nulla. E forse è meglio così, dato che al peggio pare non esserci mai limite.