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L’ultima di Stiglitz: se le cose van male è colpa di Hayek

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di MATTEO CORSINI

Dopo anni e anni di politiche economiche più o meno apertamente keynesiane, il mondo si trova ad affrontare problemi tutt’altro che banali. Tuttavia, chi si aspettasse di trovare nelle riflessione degli economisti keynesiani qualche barlume di autocritica rimarrebbe deluso.

Per esempio Joseph Stiglitz, venerato in Italia, ritiene che ci sia di che essere pessimisti all’inizio del 2023, ma a causa di “nuovi fascismi” e “teorie economiche sbagliate”. Stiglitz giustifica i suoi timori sostenendo che “quasi ottant’anni dopo che Friedrich von Hayek scrisse La via della schiavitù, continuiamo a vivere con il retaggio di quelle politiche estremiste che lui e Milton Friedman hanno contribuito a diffondere. Tali idee ci hanno portato su una rotta davvero pericolosa: la via di un fascismo in versione ventunesimo secolo.”

Posto che, quanto meno dal punto di vista della teoria monetaria, Hayek e Friedman non avevano proprio le stesse posizioni, l’invettiva di Stiglitz (molto più simile a quella che farebbe un sociologo sinistrorso che a quella di un economista, ancorché di idee diverse da quelle degli autori che critica) è completamente priva di fondamento nella storia di quanto successo (non solo) negli ultimi anni.

Stiglitz teme che “la Federal Reserve americana potrebbe aumentare i tassi di interesse in modo eccessivo e troppo rapido.” Il tutto in un contesto in cui anni di politiche monetarie ultra-espansive sono stati seguiti da una sottovalutazione della risalita anche dei prezzi al consumo (dopo il rigonfiamento di quelli di attività reali e finanziarie), giudicata transitoria per buona parte del 2021.

Stiglitz teme per gli effetti delle politiche monetarie della Fed sui Paesi emergenti: “Tassi di interesse più elevati, valute deprezzate e un rallentamento a livello mondiale hanno già spinto decine di Paesi sull’orlo del default.” Non solo: “L’aumento dei tassi di interesse e dei prezzi dell’energia spingerà anche molte imprese verso il fallimento.”

Tutto vero, ma Stiglitz guarda al dito e non alla luna, nonostante riconosca che “quattordici anni di tassi di interesse ai minimi storici hanno lasciato molti Paesi, imprese e famiglie oberati di debiti.”

Ma per quale motivo i tassi sono stati tanto bassi così tanto a lungo? Non è stato per via di politiche monetarie ultra-espansive? Non stanno oggi venendo al pettine i nodi dovuti proprio a quelle politiche? Evidentemente non è così per Stiglitz, il quale ritiene anche che “la più grave minaccia al benessere oggi è politica”.

E meno male che in Brasile è tornato al potere Luiz Inácio Lula da Silva, mentre gli Stati Uniti sono sotto la minaccia di una crescita dei consensi dei Repubblicani.

Quanto alla politica fiscale, i “Paesi del mondo avrebbero potuto applicare un’imposta sugli utili imprevisti in modo da incoraggiare gli investimenti e mitigare i prezzi, usando le entrate per proteggere le fasce più vulnerabili e investire soldi pubblici nella resilienza dell’economia.”

Francamente non mi è chiaro come  un’imposta sugli utili “imprevisti” (in base a quali previsioni?) possa “incoraggiare gli investimenti” da parte di chi quegli utili dovrebbe produrre. Al più si potrebbe trattare di tassazioni applicate a una parte di utili per fare cassa da parte dei governi, come sta accadendo da più parti in Europa con riferimento alle società dei settori energetici. Ma per definizione una tassazione del genere non può che essere temporanea, altrimenti, lungi dall’incoraggiare gli investimenti, li azzererebbe.

Tutto ciò detto, non deve stupire che un signore che ragiona così pensi che sia colpa di Friedrich von Hayek se le cose nel mondo non vanno poi tanto bene.

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