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L’università italiana è la fabbrica dei “parassiti per il sociale”

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di MATTEO BERINGHI

Ho assistito ad un dialogo tra studenti di una facoltà di architettura, mentre discutevano di un progetto.

Uno di questi illustrava la filosofia del progetto e ad un certo punto se ne esce con una frase illuminante (poi spiegherò perché questo aggettivo): “Dobbiamo fare in modo di prelevare il 15% del profitto del costruttore e di riutilizzarlo per opere di impatto altamente sociale”. Tra me e me subito mi sono posto una serie di domande:

  • – L’opera in sé non dovrebbe già essere di un qualche impatto sociale?
  • – Perché prelevare ancora soldi dal profitto del costruttore?
  • – Il premio per il rischio d’impresa non deve esistere?
  • – Non sai mio, caro studente, che di quel 15%, l’impresa pagherà il 70% (almeno) di tasse e quindi al costruttore rimarrà il 4,5%?

La frase, definita precedentemente illuminante, mi ha chiarito il futuro dell’Italia. Tutto d’un tratto mi sono sentito all’interno del film “Terminator”, quando in numerose scene si vedono robot che costruiscono robot, i quali sono destinati ad uccidere i pochi esseri umani sopravvissuti alla guerra.

Purtroppo le idee dello studente citato non sono un caso isolato. Le università italiane stanno forgiando studenti orientati al più becero collettivismo (il fatto che Landini sia considerato un maitre a penser per la stampa italiana è emblematico) più sfrenato (non di certo al capitalismo senza regole)  e circolano in modo massiccio ed incontrastato idee contro il profitto, contro il guadagno che viene visto peggio del vaiolo o dell’ebola e quindi da estinguere. Questi sarebbero i giovani, il futuro dell’Italia. Nel frattempo, i loro docenti fanno la cosa che riesce meglio agli statali, non lavorare: “In 79 atenei scatta il boicottaggio del primo appello della sessione autunnale contro il blocco degli scatti salariali”.

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