di GIORGIO BIANCO
Non esistono e non sono mai esistite popolazioni autoctone: neppure in America. Per questo, fatta salva la condanna morale delle atrocità commesse dai coloni nei confronti degli indiani (ma, spesso e volentieri, questi non furono da meno: Luraghi riporta alcuni dettagli raccapriccianti che testimoniano la ferocia e il sadismo che contraddistinguevano in particolar modo gli Apache), appare legittima l’immigrazione dall’Europa di masse che vedevano nella “frontiera” la prospettiva di un avvenire, da conquistare anche a costo di combattere contro popolazioni indigene che, sebbene molto scarse numericamente, pretendevano il monopolio di quegli immensi territori: “Cosa – scrive Luraghi – che ai coloni sembrava una bestemmia, o quanto meno un assurdo: e in un certo senso lo era, perché la storia ha un vero horror vacui e gli spazi vuoti – o semivuoti – sono destinati a venir colmati: con le buone, se possibile; con la forza, se necessario. Specialmente quelli in cui vivono popolazioni non stabili e scarse di numero in rapporto all’immensità dello spazio che esse rivendicano”.
Parole a cui fa eco l’esortazione al realismo di Vittorio Messori, secondo il quale “occorrerebbe liberarsi da certi attuali moralismi irreali che non vogliono riconoscere che la storia è una inquietante, spesso terribile signora. Nella prospettiva realistica da ritrovare, bisognerebbe condannare, ovviamente, errori ed atrocità (da qualunque parte vengano) senza però maledire, quasi fosse stato cosa mostruosa, il fatto in sé dell’arrivo degli europei nelle Americhe e il loro installarsi in quelle terre, organizzandovi un nuovo habitat. Nella storia non è praticabile l’edificante esortazione a ‘restare ciascuno nella sua terra, senza invadere quella di altri’. Non è praticabile non soltanto perché così si negherebbe ogni dinamismo alla vicenda umana; ma soprattutto perché ogni civiltà è frutto di un rimescolamento che mai fu pacifico”.
E riferendosi al colonialismo iberico: “Le anime belle che inveiscono contro i malvagi usurpatori nelle Americhe dimenticano (tra l’altro) che, al loro arrivo, quegli europei trovarono ben altri usurpatori. L’impero azteco e quello inca erano stati creati con la violenza ed erano stati mantenuti con sanguinaria oppressione da popoli invasori che avevano ridotto in schiavitù i nativi. E si fa spesso finta di ignorare che le sbalorditive vittorie di poche decine di spagnoli contro migliaia di guerrieri non furono determinate né dagli archibugi né dai pochissimi cannoni (tra l’altro, spesso inutilizzabili, in quei climi, perché l’umidità neutralizzava le polveri) né dai cavalli (che non potevano essere lanciati alla carica nella foresta). Quei trionfi furono dovuti innanzitutto all’appoggio degli indigeni oppressi dagli incas e dagli aztechi. Dunque, più che come ‘usurpatori’, gli iberici furono salutati in molti luoghi come libertarori”.
Tornando ai pellirosse, uno dei leit-motiv che, sulla scia del nuovo conformismo, hanno fatto degli indiani d’America il popolo più “alla moda” è il loro presunto pacifismo. Ma anche in questo caso si tratta di una madornale mistificazione: tra i pellirosse, infatti, la guerra ha sempre rappresentato lo stato normale nei rapporti tra le tribù. Il trattamento dei nemici e dei prigionieri era abitualmente ispirato alla massima ferocia: torture, massacri di donne e bambini e riduzione in schiavitù erano pratiche comunemente adottate dagli indiani, sia nei confronti degli appartenenti a tribù nemiche sia dei coloni bianchi.
Altra sciocchezza seriale. La minoranza parassitaria si chiama statalismo che del capitalismo è nemico. I guatemaltechi non sono stati sterminati. I messicani si sono integrati attraverso il meticciato. Le tribù dell’America del Nord contano milioni di persone ancora oggi e un raffronto statistico serio potrebbe provare che la riduzione della popolazione locale non è quella dell’immaginario collettivo; senza contare che c’è stata notevole differenza comportamentale tra i coloni britannici e quelli mediterranei. I nativi esistono solo in Tanzania e su un piano puramente ipotetico, dal momento che i primi ominidi si sono periodicamente spostati; difficile immaginare che in quella zona dell’Africa ci siano ancora discendenti diretti della prima specie umana. I popoli, comunque non nativi, si sono sterminati spesso tra di loro anche prima delle migrazioni europee. I sopravvissuti hanno dovuto fronteggiare le malattie, gli imbrogli e tanto altro ma la condizione di totale schiavitù nella quale vivevano prima è innegabile.
Come in tutti i continenti del mondo, in tutte le ere storiche vi sono stasti popoli pacifici e popoli guerrieri. Anzi facciamo una chiarezza storica universale. All’interno di ogni popolo c’e una componente che lavora e crea benessere ed una minoranza (potere, religione, finananza) parassitaria che se non controllata a dovere, periodicamente in modo stabile crea guerre, crisi, distruzione. In chiave moderna si chiama capitalismo. I nativi di tutte le Americhe, indipendentemente dai rapporti che avevano fra di loro, sono stati sterminati dalle malattie e dall’imbroglio della razza bianca.