I tempi recenti hanno visto un ritorno alla ribalta, per ciò che concerne la politica italiana, della Lega Nord, guidata da Matteo Salvini. Domus Europa ne parla con Andrea Mascetti, avvocato, animatore culturale e membro del Consiglio Federale della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania.
L’attuale leader della Lega Nord, Matteo Salvini, ha raggiunto sui media un’inedità visibilità. Che strategia si pone dietro questo successo?.
“Credo che dipenda dal fatto che parli di questioni sentite dalla gran parte della popolazione, talvolta direttamente dal buon senso comune: immigrazione, legge Fornero, tasse. Oltre ad una indubbia capacità di essere diretto e privo di quel conformismo piagnone che ha invece invaso la politica italiana”
L’espansione della Lega Nord nelle diverse regioni italiane è parte integrante del progetto salviniano. Quali sono i limiti, le difficoltà e i possibili frutti di questa strategia?.
“La Lega Nord è nata nei focolari padani e alpini, e pertanto la considero geneticamente inesportabile. Inoltre, il problema rimane da sempre lo stesso: una parte dell’Italia è moderna e produttiva e una parte no, e questa seconda non mi pare abbia alcun desiderio di modificare se stessa, fatti salvi alcuni ambienti che però non hanno ancora la forza di incidere su una realtà che, da sempre, rimane se stessa perpetuando le proprie brutte abitudini senza riuscire ad esaltare le proprie grandi potenzialità.
Sia chiaro: sono affascinato dalla decrescita felice piuttosto che dallo stile di vita mediterraneo, ma credo anche che nessuno possa accettare che il suo prezzo pesi sulle tasche e sul lavoro di una sola delle parti.
Esiste poi un problema culturale che difficilmente potrà trovare soluzione: l’Italia è un insieme di cose troppo diverse tra loro per stare insieme o, quantomeno, per far funzionare una macchina complessa. La Storia ce lo ha ampiamente dimostrato.
Se poi esistono comunità politiche nelle tante heimat del Sud capaci di creare un nuovo modello di esistenza e di civiltà, ben vengano. Le aspettiamo a braccia aperte. Ma nell’attuale panorama non vedo segnali incoraggianti.”
La Lega Nord è in prima linea nella battaglia contro l’immigrazione selvaggia. Quale modello di gestione è concretamente proponibile e realizzabile?
“Risposta complessa. L’Ungheria ha dimostrato al mondo che se vuoi chiudere i confini li chiudi, peraltro senza neanche sparare un colpo di fucile. La socialista Slovacchia chiude i confini non ai migranti ma addirittura agli immigrati di sola religione mussulmana. Da noi a causa di questioni culturali e di mostruosi interessi economici (sui quali, finalmente, forse si comincia a fare un pò di luce) la questione è sempre affrontata con un pathos che impedisce lucidità e ragionevolezza. A tutto ciò si unisce la disorganizzazione sistemica dell’Italia che permette a chiunque di entrare senza alcuna valutazione sul suo effettivo status di profugo. Il Dalai Lama ha recentemente dichiarato, suscitando un timido e peraltro subito tacitato scandalo, che i rifugiati possono certamente venire in un paese diverso dal loro, ma solo se in pochi e con la chiara idea che finito il generoso periodo di accoglienza, si torna a casa. Credo che il principio del buon padre di famiglia sia, al solito, il riferimento più opportuno per fare gli interventi che probabilmente necessitano.”
In Europa Salvini ha stretto un patto di ferro con movimenti politici euroscettici e nazionalisti, in primis il Front National francese. Che tipo di alternativa culturale e politica è possibile presentare di contro all’Europa di Bruxelles?
“Non ho tutto queto entusiasmo per i movimenti ‘nazionalisti’ soprattutto se parliamo di movimenti che fagocitano con una idea tutta centralista l’indipendenza di altri popoli europei. Capisco però, sotto un profilo di stretta realpolitik, che su certe questioni non si può sempre spaccare il capello in quattro. Questa Europa ha certamente delle cose che non vanno bene ma spesso mi chiedo se per noi il vero problema sia l’Europa e non, invece, gli Stati nazionali figli del giacobinismo.
La tassazione spaventosa a cui siamo sottoposti la paghiamo a Roma (o a Parigi) e non a Brussel o a Berlino; le leggi ‘deboli’ sull’immigrazione le propugnano gli Stati nazionali (Italia e Francia, ma anche la Germania… pensiamo al caso Colonia che ha travolto la politica della Merkel). Io temo che sul presupposto del rafforzamento dei vari stati nazionali ‘pluriculturali’ (gli stessi a causa dei quali abbiamo fatto ben due guerre civili in Europa che hanno determinato la nostra espulsione dalla Storia che conta) non si può costruire nulla di buono. Inoltre, Milano o Venezia non hanno certo bisogno di passare da Roma per parlare coi bavaresi o con gli austriaci, così come la Corsica, la Catalogna o la Scozia non hanno certo bisogno delle burocrazie parigine, spagnole o inglesi per decidere dei loro interessi. Fuori dall’Europa dei popoli non vedo futuro.”