Fu Agostino Depretis, il vil vinattier di Stradella (Carducci), capo del primo governo della sinistra storica, nel 1876, a inaugurare la tecnica delle maggioranze variabili, (cioè destra e sinistra intruppate per pura brama di potere), tecnica che è passata alla storia come “Trasformismo”. Nulla di simile potrebbe accadere in Europa dove se una maggioranza viene meno, le dimissioni sono un atto dovuto.
Non così Renzi, il Fregoli di Firenze, che non ha avuto scrupoli a ricorrere al medesimo cinico espediente accettando i voti di Berlusconi in cambio dei voti mancanti del Pd. “Io vado avanti!” ripete imperterrito. Non ha più maggioranza e deve ricorrere alla stampella di Forza Italia (che a sua volta, proprio per questo, è insorta contro Berlusconi) ma lui va avanti facendo strame d’ogni regola etica e di buon senso che gli imporrebbe le dimissioni del suo governo praticamente giunto al capolinea. Ma dimettersi non gli passa nemmeno per la capa.
Il suo fallimento politico è evidente in questo suo mediocre ripiego per dimostrare di avere ancora i numeri che invece non ha più. La base politica sulla quale si appoggia non è più la stessa di prima. Non solo la minoranza di sinistra PD, contraria fin dall’inizio, ma una fetta sempre più grande del partito è contro di lui; e Renzi, come Depretis, sopravvive con una maggioranza diversa e provvisoria, basata come quelle del passato su rapporti personali, su interessi ristretti e corporativi,sul tirare a campare, che è poi la cifra stilistica della mediocre politica italiana. L’intesa potrebbe portare all’elezione condivisa di un presidente della Repubblica (condivisa da Renzi e Berlusconi) e il nome che potrebbe far convergere i voti di entrambi è quello, Dio ci scampi, di Amato. Ma qualunque risultato ottenga, con questa operazione di trasformismo Renzi si è ormai bruciato, il rottamatore è stato rottamato. Gli resta attaccata la fama di cinico includente,di chiacchierone che ha fatto solo promesse,un cattivo soggetto che ricorda il carattere antipatico e arrogante di un Fanfani, “il mezzo toscano”, come lo chiamava Montanelli, padre toscano e madre calabrese, che s’era inimicato l’intera DC e quando pretese di diventare presidente della repubblica, i compagni di partito gli votarono contro e prendendo a pretesto la bassa statura cantavano:
Nano, nanetto
Non sarai eletto.
Renzi alla fine è caduto nell’imboscata che gli è stata tesa dai molti nemici che s’è fatto, specie nel suo partito;e s’è ritrovato con un ministero composto e sostenuto da uomini di destra e di sinistra,qualcosa che non succedeva dai tempi appunto del trasformismo di fine Ottocento, che aveva coalizzato destra e sinistra contro l’opposizione socialista. Così le differenze tra gli esponenti dei due gruppi, che non sono mai state rilevanti (in fondo Gentiloni e Alfano sono due democristiani e anche Renzi lo è) lo diventeranno ancora meno nel comune desiderio di durare il più possibile; ma questo desiderio di pura sopravvivenza politica toglierà a questa maggioranza “diversa e provvisoria” qualunque capacità di fare le riforme, nel senso che destra e sinistra che coabitano nella stessa maggioranza spuria si troveranno d’accordo nel non fare ciò che potrebbe far dispiacere all’altra.
Renzi credendo di disporre di un ampio margine, si ritroverà invece con le mani legate. Lui mostra di non saperlo, ma il suo tempo si è già concluso nel più completo fallimento, come i due governi prima del suo. E dire che sarebbe bastato un ripasso della scuola dell’obbligo.