Su Plus24 del Sole 24Ore da qualche settimana c’è una sezione dedicata all’educazione finanziaria. Interessante la pagina dedicata all’inflazione, scritta da Marcello Frisone: “L’inflazione viene definita come un aumento prolungato e generalizzato dei prezzi che porta alla diminuzione del potere d’acquisto della moneta. Per comprendere meglio, per esempio, potremmo immaginare di vivere in un’isola dove si producono 10 noci di cocco e vi sono dieci monete da 1 euro; il prezzo di una noce di cocco sarebbe proprio di 1 euro. Mettiamo che per ipotesi la banca centrale dell’isola decida di coniare e mettere a disposizione degli isolani altri 10 euro. Se la produzione di noci di cocco rimane inalterata le noci finiranno per costare due euro. Ma potrebbe anche succedere che chi, per primo, ha a disposizione la nuova moneta decida di acquistare più noci di cocco e questo stimoli la produzione di ulteriori 10 nuove noci di cocco. Nel primo caso avremmo assistito a un episodio di inflazione galoppante, i prezzi sono raddoppiati e i beni sono rimasti gli stessi. Nel secondo caso, invece, la moneta messa in circolazione dalla Banca centrale dell’isola ha stimolato nuova produzione di noci e ha finito per raddoppiare la ricchezza degli isolani”.
Se questa deve essere l’educazione, direi che forse è meglio l’ignoranza. Come quando si sente un professore di italiano sbagliare regolarmente il congiuntivo: come si può sperare che i suoi allievi non facciano altrettanto? Frisone adotta la definizione mainstream di inflazione, il che non stupisce. Ma quando passa agli esempi rende palese che quella definizione non può essere corretta.
Innanzitutto l’esempio rende evidente che la variazione dei prezzi è una conseguenza dell’emissione di nuova moneta da parte della banca centrale. Quindi è tale emissione di moneta a causare la perdita di potere d’acquisto unitario. Ma la seconda parte dell’esempio è ancora peggiore. Anche in questo caso, tra le righe, si coglie un altro aspetto che Frisone non evidenzia, ossia quello redistributivo. Infatti, c’è sempre chi “per primo, ha a disposizione la nuova moneta”. Ciò garantisce al primo al possibilità di pagare un prezzo maggiore per le noci di cocco, la cui produzione nel frattempo è rimasta inalterata. Il prezzo delle noci di cocco tende quindi ad aumentare, il che va a svantaggio di chi non ha ricevuto la nuova moneta.
Ma l’aumento del prezzo unitario, non essendo cambiata la domanda reale, fornisce un segnale fuorviante ai produttori, che aumentano gli investimenti e ampliano l’offerta di noci di cocco. Finendo per riportare perdite, dato che una parte resterà invenduta o dovrà essere venduta a un prezzo inferiore al costo di produzione. Quindi un incremento una tantum della quantità di moneta ha un effetto redistributivo e può generare un aumento artificiale della produzione, destinato però a sgonfiarsi. E la soluzione non consiste nel continuare a incrementare l’emissione di moneta, perché ciò peggiorerebbe l’effetto redistributivo e condurrebbe via via al primo esempio citato da Frisone.
Se fosse sufficiente creare moneta dal nulla per aumentare la ricchezza, avremmo risolto da tempo tutti i problemi economici. Non è così, ovviamente, ed è deprimente che certe sciocchezze siano spacciate per educazione finanziaria.