Sulla vicenda del “vendicatore solitario” del Tribunale di Milano è stato detto di tutto e di più. Senza entrare nel merito della vicenda e sulla gravità del fatto, senza dover ribadire ogni doverosa considerazione sull’infamia del gesto e sulle carenze della sicurezza, serve solo fare alcune rapide considerazioni “a margine” da sottoporre ai nostri lettori.
La prima riguarda la leggerezza con cui l’ipocrisia corrente condanna una vicenda che sembra la fotocopia della trama di uno dei tanti telefilm che esaltano le gesta di chi – vittima di qualche giustizia o sopruso – non trova di meglio che sistemare le cose a modo suo in pittoresca solitudine da Far West. Ma se Charles Bronson, Steven Seagal o il Conte di Montecristo sono considerati degli eroi, perché questo Claudio Giardiello è dipinto come l’esatto contrario? Un po’ di mea culpa sulla spettacolarizzazione della “legge del taglione” andrebbe fatta.
La seconda concerne la giustizia di questa povera Repubblica. Chi – avendo dovuto frequentare tribunali, avvocati e giudici – è rimasto soddisfatto dell’esperienza? Chi ritiene di aver ricevuto giustizia e soprattutto è riuscito ad averla in tempi brevi? Chi non è venuto via da un’esperienza del genere senza un feroce prurito alle mani o un desiderio di maneggiare napalm? Certo, da qui a mettersi a sparare ce ne corre ma lo Stato italiano ha le sue colpe e non gli basta cavarsela via con dei bei funerali di Stato. E poi perché dei funerali di Stato? Lo Stato se la cava sempre con un mazzo di fiori e un abbraccio alla vedova.
La vicenda è tutta molto italiana; i tribunali sono delle enclaves di italianità in tutte le città padane. Quello di Milano lo è in modo molto particolare con la sua architettura littoria griffata Marcello Piacentini e ficcato nel centro della città come una quadrata fortezza che ospita la altrettanto quadrata legione in servizio di guarnigione coloniale. Non è un caso se nessuno dei protagonisti sia padano.
L’ultima considerazione tocca il tipo di reazione all’ingiustizia subita, indipendentemente dalla distribuzione delle ragioni e dei torti, ed ha proprio a che fare con la italianità profonda del protagonista. Gli ultimi anni sono purtroppo pieni di imprenditori che hanno subito torti, che sono stati messi sul lastrico per l’inefficienza dello Stato se non addirittura dallo Stato stesso. In molti si sono suicidati: l’ultimo è un allevatore rovinato dai pastrugni sulle quote latte, cui i giornali e le televisioni hanno dedicato nessuna attenzione. Tutti lo fanno in silenzio, senza inseguire vendette personali, senza dare fastidio al prossimo o cercare funeree luci della ribalta mediatica, facendo del male solo a sé o – per diretta conseguenza – ai loro famigliari. Fra le sparatoria da Ok Corral, anzi da periferia meridionale, del signor Giardiello e la silenziosa morte di tanti lavoratori e padri di famiglia padani c’è un abisso morale, culturale e antropologico. La differenza è approfondita dal fatto che i suicidi sono quasi sempre incolpevoli mentre questo signore qualche pasticcio lo ha combinato. Ma anche questo rientra nel ragionamento più generale.
Mondi diversi, convivenza impossibile, prospettive grigie.
Il bello della vicenda è che l’autore del massacro “DEVE” essere accusato di pazzia, diversamente ai potenziali suicidi per disperazione, sani di mente , viene indicata una più valida alternativa al proprio suicidio.
Ahi. Ahi, Ahi se il concetto dovesse passare !
Suicidio e giustizia sommaria da far west.
Sono due risvolti della disperazione e, forse, di una malattia più profonda.
Non c’è dubbio sulla mia preferenza.
Il far west.
Perfetto e condivisibile.Da aggiungere che i giudici si lamentano di essere lasciati soli.Purtroppo sono soli e senza controllo quando iniziano inchieste che non approdano a nulla e che p0rtano a sprechi
Non fa una piega…