di ARTURO DOILO
Ieri, s'è insediato Javier Milei alla presidenza della Repubblica Argentina.
Il suo discorso inaugurale (tenutosi di fronte a decine di migliaia di concittadini), lungi dall'essere retorico, ha ribadito senza fraintendimenti tutto quel che il suo governo dovrà fare; ha ricordato le pessime condizioni economico-sociali lasciate in eredità da decenni di governi radicati nel populismo di sinistra e nel collettivismo; ha confermato che non desisterà dal mettere in atto riforme e aggiustamenti fiscali non a spese dei privati, ma da accollare allo Stato, che dovrà dimagrire pesantemente.
Insomma, la terra di Borges e Messi ha di fronte a sé una vera e propria palingenesi, che a tratti mi ricorda quel che avvenne in Cile negli Anni Settanta, allorquando Allende trasformò quel paese in una specie di democrazia fondata sul socialismo reale.
Milei, insomma, è una specie di "Chicago boys" del XXI secolo e per comprenderne la portata, riporto le parole di un not