“Il caso Mps non sta prendendo più del tempo necessario per questi casi”. Questo ha affermato commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, aggiungendo: “Ho il privilegio di incontrare Padoan abbastanza spesso, abbiamo una cooperazione forte sui casi in corso”.
Qui i casi possono essere solamente due: o Vestager sta prendendo per i fondelli i suoi interlocutori, oppure non ha ben chiara la materia di cui si sta occupando. Mai come nel caso della crisi di una banca (a maggior ragione in un regime a riserva frazionaria) il tempo è letteralmente denaro. Mentre i tecnocrati di Bruxelles e del Tesoro “cooperano” sui casi in corso, passano i mesi e la banca in crisi perde raccolta e impieghi (tranne quelli deteriorati). In sintesi, la situazione si aggrava ulteriormente.
Alla fine il conto aumenta inevitabilmente e, in ultima analisi, al contribuente costa di più che nelle gestioni delle crisi vecchia maniera. Il problema, infatti, è che la risoluzione, magari con tanto di bail-in, non è affatto una alternativa al bail-out. E’ una via di mezzo, che finisce per costare ad azionisti, creditori e anche ai contribuenti, soprattutto perché le cose vanno per le lunghe.
Il fatto è che un sistema a riserva frazionaria può essere tenuto in piedi solo con la risoluzione delle crisi mediante bail-out (non necessariamente a carico diretto dei contribuenti). Se, come dovrebbe essere, si vuole una soluzione di mercato, è necessario per prima cosa eliminare la riserva frazionaria. Ma nessun politico o tecnocrate vuole cambiare il sistema a riserva frazionaria. Ne consegue che l’idea che i contribuenti non paghino più per le crisi bancarie non è concretamente sostenibile.
Un fattore decisivo nella gestione delle crisi bancarie è la rapidità, proprio perché un sistema a riserva frazionaria si regge solo se non viene meno la fiducia (o, per meglio dire, se rimane una diffusa ignoranza sullo stato reale delle cose). Più il tempo passa senza che la crisi sia risolta, più alto diventa il conto finale. Questo Vestager lo ha capito?
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