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Montecarlo, una sorta di città privata votata al benessere

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di GUGLIELMO PIOMBINI

Ho ricevuto nei giorni scorsi dall’amico dr. Mauro Marabini, da molti anni residente a Monte Carlo, un gradito regalo: il suo libro, fresco di stampa, Monaco, il Principato par la grâce de Dieu. Il piccolo grande Stato (Liamar Edizioni, marzo 2020, p. 224, € 29). Questo bel volume, di grande formato e ricco di immagini fotografiche, è un’opera completa sul Principato di Monaco. Marabini ne racconta la storia, illustra il suo sistema politico, spiega le ragioni del suo straordinario benessere economico, e ci conduce per una visita guidata all’interno della città. Non mancano delle utili istruzioni per chi voglia chiedere la residenza o lavorare nel Principato.

Desidero premettere che a Mauro Marabini e a sua moglie Liana, alla quale è dedicato il libro, sono legato da un sentimento di affetto e riconoscenza. Furono infatti loro nei primi anni Novanta, quando ero appena neolaureato, a pubblicare i miei primi saggi sulla prestigiosa rivista culturale bolognese Federalismo e Libertà. Erano i tempi in cui la Lega Nord, sotto la guida intellettuale del grande Gianfranco Miglio, aveva introdotto nel nostro paese i temi del federalismo e dell’antistatalismo. Mauro e Liana, con il loro entusiasmo, non solo mi incoraggiarono a scrivere, ma raccolsero i miei saggi in un pregevole volume rilegato: La proprietà è sacra (Edizioni Il Fenicottero, 2001).

Mauro e Liana Marabini hanno sempre unito, come raramente succede, lo spirito imprenditoriale, l’amore per l’arte e la cultura, e il gusto per la ricerca intellettuale. Il libro, infatti, non rappresenta solo una guida storico-politica, ma è una difesa appassionata del Principato dai frequenti attacchi cui viene sottoposto dai media: “paradiso fiscale”, “rifugio per i ricchi” e simili. L’autore ricorda che negli ultimi dieci anni le cose sono sempre andate migliorando. La crescita economica è stata spesso superiore al 5% annuo, e questo sviluppo ha accresciuto ancora di più il contrasto con gli arroganti e invidiosi grandi Stati vicini.

Il Principato di Monaco, scrive Marabini, è un luogo di benessere e sviluppo incuneato fra Italia e Francia, repubbliche in regresso economico con alti tassi di disoccupazione, economie in stagnazione e fiscalità vessatoria verso i produttori di ricchezza. A dispetto dei triti stereotipi sulle banche e il Casinò, lo Stato monegasco è soprattutto un luogo in cui si lavora e in cui vige il pieno impiego: vi sono 5.000 imprese di cui 1000 italiane, e nei due chilometri quadrati in cui risiedono i 38mila monegaschi lavorano 52mila persone. Vi sono tante opportunità per trovare impieghi qualificati e per avviare e acquisire attività imprenditoriali, e gli stipendi sono più elevati che in Italia e in Francia. Il valore delle abitazioni è tra i più alti del mondo, variando tra i 20mila fino ai 90mila euro al metro quadrato nell’area più esclusiva di Monte Carlo.

Come ha fatto lo Stato monegasco a raggiungere questo benessere diffuso? Merito sicuramente del suo sistema politico ed economico, e delle sue piccole dimensioni. Il Principato, osserva Marabini, non è solo una città-Stato, ma una sorta di città privata. La città-Stato di Monaco può essere vista come una società per azioni (Grimaldi S.P.A., qualcuno ha scritto) il cui azionista di riferimento, il Principe, opera nell’interesse dei soci, i monegaschi, e degli ospiti che cerca di attrarre offrendo servizi migliori della concorrenza (gli altri Stati).

Infatti a Monaco si vive meglio che altrove: non c’è inquinamento, vi è molto verde attrezzato e curato, il clima è dolce, la qualità della vita è elevata, lo stress a livelli limitati anche se è uno dei paesi più intensamente abitati al mondo (19.000 abitanti per chilometro quadrato). Malgrado ciò è sempre possibile parcheggiare, i servizi di trasporto funzionano a meraviglia; non ci sono accattoni nelle strade, nessuno che vi pulisca per forza i vetri delle auto al semaforo, la polizia è presente e discreta, non vi importuna, ma tutela la vostra integrità e la proprietà privata. I tassi di delinquenza sono incredibilmente bassi: come ha dichiarato un grande gioielliere monegasco, solo a Monaco è possibile portare le parures di preziosi tranquillamente per strada, invece di tenerle chiuse in cassaforte.

Questo buongoverno è stato raggiunto senza spremere fiscalmente i propri cittadini, come avviene negli esosi inferni statali circostanti. Nel Principato, infatti, un’ordinanza sovrana del 1869 ha abolito ogni imposizione fiscale sul reddito delle persone fisiche. Non esistono neanche le imposte di successione e sulle donazioni in linea diretta o tra coniugi. Le entrate provengono dall’imposizione indiretta (la TVA, simile all’IVA italiana) e da una imposta sul reddito delle imprese esportatrici, mentre le entrate provenienti dal casinò costituiscono solo il 4% del bilancio. I cittadini francesi che lavorano nel Principato pagano però per intero le imposte alla Francia, sulla base di un accordo risalente al 1962, quando De Gaulle minacciò un atto di forza contro il Principato, accusato di dare rifugio agli “evasori” francesi. Agli italiani può sembrare incredibile, ma malgrado le sue limitate entrate fiscali e i servizi eccellenti che offre ai suoi abitanti, il Principato di Monaco non ha debito pubblico: ha invece un fondo accumulato nel tempo che è un pilastro dell’economia del paese.

Sul piano storico, osserva Marabini, lo Stato monegasco ha i suoi fondamenti nell’Ancien Régime. Le istituzioni di Monaco, in altre parole, non sono state modellate sui principi della Rivoluzione francese, ma traggono la loro legittimità dalla storia e dalla tradizione. Possiamo dire che è uno Stato che esiste per la grazia di Dio (da qui il titolo del libro), ma non per la volontà della nazione. Vengono alle mente, a questo riguardo, le considerazioni del grande autore controrivoluzionaro Carl Ludwig von Haller, il quale nella sua monumentale opera La restaurazione della scienza politica affermò che i sistemi politici dell’antico regime erano legittimi sulla base di fatti storici ben documentati, mentre le democrazie rivoluzionarie sul modello francese si fondano su teorie fantasiose.

La differenza fondamentale tra il potere esercitato da un governante democratico e da un monarca tradizionale, spiega Haller, è la seguente: il primo si basa su titoli del tutto immaginari e fittizi che nessuno può mostrare, perché inventati di sana pianta (chi ha mai firmato un “contratto sociale” o una procura che contempli un “mandato non imperativo”?); il secondo si basa invece su titoli che esistono di fatto, e che all’occorrenza possono essere prodotti davanti a tutti. Negli archivi storici sono infatti presenti i documenti che comprovano le modalità di acquisto dei domìni delle case regnati e delle famiglie nobiliari, mediante acquisti, matrimoni, eredità, trattati o altre convenzioni con gli antichi proprietari.

L’elogio di un piccolo principato fatta da Marabini finisce per concordare doppiamente con le riflessioni contenute nel libro Democrazia: il dio che ha fallito di Hans-Hermann Hoppe, il quale ha dimostrato non solo la superiorità dei governi “privati” delle monarchie tradizionali sui governi “pubblici” delle democrazie moderne, ma anche la superiorità delle piccole entità politiche su quelle grandi. Purtroppo dalla metà del XIX secolo a oggi ha prevalso in Occidente una filosofia politica favorevole alla centralizzazione del potere, alle unificazioni politiche, alla creazione di grandi organismi sovranazionali. I piccoli Stati, da allora, sono stati spesso diffamati, mentre i movimenti localistici, indipendentisti o secessionisti sono stati denigrati come regressivi e antistorici. La realtà è ben diversa, come dimostrato dal fatto che la classifica del pil pro-capite vede, nei primi posti, esclusivamente piccoli Stati: Qatar, Liechtenstein, Macao, Monaco, Lussemburgo e Singapore.

Il bel libro di Mauro Marabini è dunque molto utile per contrastare gli ingiusti pregiudizi verso le piccole realtà politiche. E difatti l’autore si augura che, una volta finito di leggerlo, si abbia la voglia di venire a visitare o (perché no?) a vivere, in questo piccolo grande Stato. Possa un giorno l’intera Europa prendere Monaco come modello! Possano un giorno rifiorire cento o mille Principati, cento o mille repubbliche, cento o mille città private, per ridare vita al vecchio continente!

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2 COMMENTS

  1. Discorso troppo bello ma da sognatori e dato che in Politica come nella Vita non bisogna avere sogni ma obiettivi, l’articolo sopra menzionato lo dico tristemente è da bocciare!
    Le piccolissime realtà sono le prime che nelle dispute geopolitiche e commerciali vengono a venire schiacciate, gli ultimissimi esempi di Hong Kong e forse Taiwan lo dimostrano.
    Come può la Lombardia ma anche l’Italietta difendersi quando CINA, RUSSIA, INDIA ti potrebbero mettere in mutande in un attimo? Il problema è stato la modernizzazione del Mondo al di fuori dell’Occidente e il melting pot generato al nostro interno, questi due aspetti hanno distrutto l’autenticità della Civiltà Occidentale.

    • Montecarlo non viene schiacciata da alcuno. Idem, Lussemburgo, Liechtestein, Vaticano, San Marino, Svizzera, Andorra e via dicendo. Hong Kong e Taiwan scontano precedenti errori internazionali. Non si tratta di difendere l’Italietta ma appunto le realtà autonome italiche dalla repubblica italiana. Cioè dalla realtà che soffoca le piccole entità grazie agli aiuti internazionali offerti a suo tempo ai sabaudi, vera sciagura storico – dinastica.

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