di ROMANO BRACALINI
Monti, impalato e algido, benché in fama di penitente e di devoto,va a Rimini e fa dell’autobiografia a buon mercato: "In un istante imprevedibile della mia vita...”, per dire come il fato - vai a capire perché - lo abbia scelto per portare a “salvamento l’Italia” e la vasta platea ciellina, che si scalmana per qualunque ciarlatano che salga sul podio, come da severo programma pretesco, tributa al piccolo duce un applauso corale e prolungato.
La lingua di Monti, abbiamo già avuto modo di osservarlo, è fantasiosa senza essere corretta e precisa, le sue metafore eccessive e strampalate, come quella, spiegata al meeting, dei “semi sparsi per far crescere un’Italia diversa, da guardare in faccia” (sic), poi proseguendo tra astute certezze che l’Italia, grazie a lui, uscirà presto dalla crisi, si dice convinto che occorra “scrostare il potere corporativo”, come dire la quasi totalità del costume parassitario italiano che succhia oltre la
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