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Nel mondo ciascuno ha i suoi ebrei

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schemacostituzionedi ENZO TRENTIN

A girovagare per la rete, si sa’, si trova di tutto. Qui esponiamo un grafico (il cui autore non siamo riusciti ad individuare) che illustra bene la situazione politica attuale, conseguente alla legge elettorale n. 270/2005 poi dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 1/2014. La Corte Costituzionale, per preservare il timone istituzionale dai dirompenti effetti della sentenza, aveva richiamato l’istituto della prorogatio delle Camere ex art. 61 Cost., istituto che, come dovrebbe essere noto al Presidente della Repubblica, opera unicamente allorquando le Camere sono sciolte in attesa delle nuove elezioni e non già in un caso come quello che oggi stiamo vivendo. Gravissimo quindi che le Istituzioni abbiano ignorato la pronuncia della Consulta. Com’è noto una norma dichiarata incostituzionale cessa di avere effetti nell’ordinamento mentre, nel caso di specie, il Parlamento eletto in violazione della sovranità popolare continua a legiferare moltiplicando così le conseguenze della norma dichiarata illegittima. In questi giorni si parla addirittura di riforma costituzionale, fatto davvero sconcertante.

Naturalmente si possono trovare persone che si dichiarano di diversa opinione. Altre che, in buona fede, invocheranno un po’ di tempo affinché le cose si aggiustino. Tuttavia sono decenni che lo Stato italiano non si dimostra quel “Belpaese” in cui tutti vorremmo serenamente vivere. Si aggiunga che l’Occidente è grandemente corrotto. La ricchezza delle élite è ottenuta non solo depredando i paesi più deboli i cui leader possono essere comprati (per istruirsi su come funziona il saccheggio si legga “Confessions of an Economic Hit Man” [Confessioni di un sicario dell’economia] di John Perkins), ma anche derubando i loro stessi cittadini.

Di qui le spinte indipendentiste divengono moralmente ineccepibili e si fanno sempre più pressanti, [non solo in Italia] ma esse non hanno ancora raggiunto una dimensione socio-politica istituzionalmente accettabile. Anzi, diciamola in tutta franchezza: di progetti istituzionali credibili per le nuove entità che aspirano all’indipendenza dall’Italia, al momento, non ne abbiamo visti.

Di contro, in alcuni ambienti indipendentisti si riflette sul fatto che l’autodeterminazione sarebbe una favola democratica (Principio di Diritto Artificiale), per illudere e stimolare l’ego del potere decisionale dei popoli, ma è solo un “capro espiatorio” per favorire giochi geopolitici delle super potenze coinvolte nel controllo mondiale. Sotto il profilo normativo, il principio di autodeterminazione non è previsto per i gruppi etnici, religiosi e culturali. È questo un forte limite a tale principio, soprattutto alla luce degli avvenimenti odierni, ma, riprendendo F.D. Roosevelt, un allargamento sproporzionato del principio di autodeterminazione porterebbe al caos.

Nella successione tra Stati, i beni e gli archivi vengono trasmessi automaticamente al nuovo Stato, così anche il debito pubblico. In quest’ultimo caso, se si tratta di scissione o comunque vi è la nascita di più Stati, il debito viene diviso in maniera equa. Non si tramandano, invece, i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali (ad esempio: UE, NATO etc.). In tal caso il nuovo Stato dovrà, se vuole, riproporre la sua candidatura all’organizzazione internazionale a cui vuole aderire.

Per questa interpretazione ci si appella alla Enciclopedia Del Diritto Vol. 5 pag 117: AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI
19. Carattere non incondizionato dell’impegno degli Stati al rispetto dell’autodeterminazione dei popoli: il contemperamento col principio dell’integrità autodeterminazioneterritoriale degli Stati. Negazione di una prevalenza generale di tale principio su quello di autodeterminazione. Il fatto che il principio di autodeterminazione tuteli la libertà dei popoli di decidere del proprio status politico, e che tale tutela riguardi non solo i popoli sottoposti a un dominio coloniale o straniero ma anche, ad esempio, i popoli presenti in Stati plurinazionali, non vuol dire che esso garantisca per qualsiasi popolo, in qualsiasi situazione, un diritto di secessione o all’indipendenza (o a qualsiasi altro esito s’indirizzino le scelte popolari). Come è emerso da tutti i dati considerati in precedenza, il rispetto dell’autodeterminazione, quale regola giuridica internazionale, non equivale ad un obbligo incondizionato per gli Stati di dare piena attuazione alle aspirazioni di status politico dei popoli. Secondo il diritto internazionale, tale rispetto va piuttosto coordinato con altri principi e regole fondamentali delle relazioni tra Stati, tra i quali assume particolare rilievo – vista la possibile valenza “esterna” del diritto all’autodeterminazione – l’obbligo di rispettare l’integrità territoriale degli Stati. In effetti, le diffuse preoccupazioni antisecessioniste degli Stati, hanno da sempre accompagnato, e continuano ad accompagnare, il riconoscimento e l’applicazione concreta del principio di autodeterminazione, manifestandosi sul piano giuridico nel tentativo costante di contrapporre o anteporre al rispetto di tale principio quello dell’integrità territoriale degli Stati, al fine di circoscrivere la possibilità per il diritto di autodeterminazione di fondare pretese per l’appunto secessioniste o comunque lesive dell’integrità territoriale degli Stati.

Un popolo autonomamente non riconosciuto e non identificato come fa sic et simpliciter, ad esercitare la secessione di un territorio rispetto ad un altro? In due modi: Consensuale o violento. La Repubblica Cecoslovacca è un esempio di secessione consensuale. In questo caso  tutte le parti si sono accordate per accettare l’esito di un apposito referendum. Nel secondo caso, che non solo noi rifiutiamo recisamente, un popolo (intendendo con tale definizione non una etnia, bensì tutti i residenti di una determinata area geografica) potrebbe  insorgere, o chiedere il riconoscimento di uno Stato straniero, siamo comunque in presenza di una violazione dell’integrità territoriale. Molto probabilmente si verificherebbe la guerra civile (più o meno violenta). Addirittura l’interferenza di uno Stato straniero che riconosce tale secessione potrebbe sfociare in una effettiva dichiarazione di guerra.

Un paio di casi sono facilmente esemplificabili: il Kosovo e la Crimea (ancora in itinere). Nel caso del Kosovo è scontato che la Serbia non possa dichiarare guerra agli USA, che esercitano un protettorato nella regione (Serba) del Kosovo; ma va da se, che laddove venisse meno l’interesse degli USA sull’area, la Serbia non aspetterebbe un solo istante ad annettere il Kosovo. Nel caso della Crimea, la Russia ha tutto interesse ad annettere quel territorio, essendo Ucraini e Tartari di Crimea in netta minoranza.

Ciò premesso è necessario tutelare la libertà, accrescere la diversità, preservare la purezza democratica, sottrarsi a una ridistribuzione discriminatoria delle tasse, aumentare l’efficienza, salvaguardare le culture, l’autodifesa, rettificare le ingiustizie del passato (conflitti non voluti dal popolo), ma partiti e partitini indipendentisti in concreto cosa hanno fatto non tanto per realizzare ciò, ma anche solo per evidenziare questi problemi? La loro politica è tuttora limitata al vecchio ritornello: “vota per me, perché sono il migliore”. Tsz!

Il consenso democratico per avere il diritto a secedere si può ottenere anche con altre azioni. Per esempio: si potrebbero riunire intorno ad un tavolo di lavoro alcuni studiosi che illustrino i vantaggi del sistema consuetudinario e di quello costituzionale. I risultati di questi lavori potrebbero essere sottoposti a sondaggio. Dai risultati del quale discenderebbe tutta la nuova l’architettura istituzionale che potrebbe caratterizzare il nuovo consorzio sociale indipendente. Sostiene M. FREEMAN (“National Self-Determination, Peace and Human Rights”) in Peace Review, vol. 10, N° 2, 1 Giugno 1998: «Tutti gli esseri umani vivono in consorzi sociali ed antropologici che condividono una cultura comune e ciò comporta una specifica inclinazione a respingere l’imposizione di culture aliene… L’aspirazione all’autonomia culturale è – infatti – una delle più vecchie forme d’ispirazione politica nota alla storia.»

Su gli oltre 193 Stati della comunità internazionale (1), solamente una minima percentuale è etnicamente omogenea ed attualmente vari gruppi etnici sono coinvolti in 80 conflitti intorno al globo (2). Se la maggior parte di questi conflitti presuppone lo scontro etnico come eziologia di una crisi internazionale, sembra chiaro che sul piano giuridico la trasformazione di questa tipologia di ostilità non può prescindere dal riconoscimento di un’aura di diritti ed obblighi imputabili tanto agli attori coinvolti nella lotta, quanto alla comunità internazionale in toto.

Successivamente proprio quelle formazioni politiche che oggi si spendono in poco efficaci campagne elettoralistiche italiane, avrebbero il loro bel daffare a battere il territorio per illustrare i vantaggi dell’indipendenza con un nuovo patto politico-sociale al cosiddetto uomo qualunque. Parallelamente andrebbero sviluppati contatti internazionali al fine d’ottenere se non il riconoscimento o l’appoggio, almeno la non ostilità per la nascente nuova entità indipendente.

Scrisse Herbert Pagani (3): “Nel mondo ciascuno ha i suoi ebrei. I francesi hanno i corsi e i lavoratori algerini; gli italiani hanno i terroni e i terremotati; gli americani hanno i negri, i portoricani; gli uomini hanno le donne; la società civile ha i ladri, gli omosessuali, gli handicappati. Noi siamo gli ebrei di tutti.” Molti popoli dello stivale hanno lo Stato italiano.

* * *

NOTE:

(1) 193 sono gli Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), dopo l’ammissione della Svizzera, avvenuta il 10 Settembre 2002, e di Timor Leste, il 27 Settembre dello stesso anno.

(2) Cfr. CARMENT D. in “The ethnic dimension in World politics: policy and early waming” in Third World Quarterly, vol. 15, N° 4, 1994, pp. 551-578.

(3) Herbert Pagani, morto di leucemia all’età di 44 anni, era un cantautore. Quella splendida canzone intitolata “Albergo a ore”, è sua. 

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2 COMMENTS

  1. Non mi risulta che gli ebrei siano sistematicamente relegati in posizioni di subordinazione (e molti sosterebbero che i meridionali/donne/americani neri/omosessuali sono privilegiati anziché maltrattati dallo Stato). Se uno scrittore serio come Yuri Slezkine può scrivere un libro intitolato “Il secolo ebraico” vuole dire che il popolo ebraico ha sperimentato alti e bassi, non solo staticità. L’antisemitismo si confronta con il “antigentilismo” in una lotta perpetua per il potere.

    Bel articolo, la battuta di Pagani nonostante. Particolarmente condivisibili le parole di Freeman.

  2. Il problema è che un referendum da noi non si può tenere. Non ha senso chiedere a coloni ed immigrati italiani se vogliono far parte di uno Stato indipendente dove probabilmente, non conoscendo lingua e cultura locale, sarebbero cittadini di serie B. Un referendum serio può essere fatto solo facendo votare i diretti interessati: i nativi.
    Quindi di dovrebbe votare per ius sanguinis e non per ius soli. Ma sorge il problema dello ius sanguinis, praticamente si dovrebbe riconoscere la cittadinanza padana (o lombarda nel senso di longobarda o come vi piace chiamarla) e permettere solo a questi di votare. Sappiamo bene che non ci permetteranno mai di farlo.
    L’esempio Cecoslovacco allora potrebbe essere con tutti che votano, padani e magnogreci, sulla divisione dello Stato. I magnogreci hanno solo da perderci, succhiano le nostre risorse, ci hanno colonizzati, il problema sono i vari quisling o allocchi nostrani.
    Perciò o si fa un referendum in cui votano solo i padani e giustamente solo loro decidono il loro futuro oppure tale via è impraticabile. Non si vuole la via militare? Esiste quella diplomatica. Si forma un governo in esilio e questi va a chiedere il riconoscimento da parte di Stati esteri. Io sono convinto che di fronte al caos italiano e alla situazione attuale politica Svizzera, Austria, Germania e Russia potrebbero farlo, ma bisogna giocare bene la carte ed avere argomentazioni convincenti.

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