di MATTEO CORSINI
Sono tornato in Nepal dopo due anni di sosta forzata causa restrizioni anti Covid. Anche da quelle parti si terranno tra poche settimane le elezioni politiche anticipate.
A contendersi il potere sono diverse varianti di partiti comunisti, tra i quali c’è chi non si vergogna a definirsi maoisti. Gente che ha detenuto a fasi alterne il potere da quando, nel 2008, il Paese è divenuto una repubblica. I risultati sono per ora poco confortanti, come peraltro accade solitamente nei regimi socialisti. L’aspetto più evidente è stato uno spostamento dell’area di influenza dall’India alla Cina, che da anni sta portando avanti la strategia Belt and Road utilizzata in altri Paesi dell’area e in Africa. I cinesi costruiscono infrastrutture e, di fatto acquisiscono pezzi di Paese, dato che i debitori non hanno di che pagare le infrastrutture stesse.
Leggendo i punti programmatici di uno dei partiti comunisti non ho potuto fare a meno di constatare quanto siano distanti dalla realtà e dal realizzabile. Peggio dei programmi elettorali italiani, il che è tutto dire. Si va dal salario minimo a 25mila rupie (circa 200 euro), quando quel livello lo si raggiunge oggi a malapena per un ottimo lavoro amministrativo. Per non parlare dell’obiettivo di portare il Pil a 100mila miliardi di rupie (circa 770 miliardi di euro), quando il punto fi partenza è inferiore a 32miliardi di euro equivalenti. Stessa cosa per il reddito pro capire, con un obiettivo di 2400 dollari annui, partendo dagli attuali 1100.
Il tutto condito da altre promesse che prevedono forti incrementi di spesa in un Paese che non potrebbe mai avere le risorse fiscali necessarie per coprire tali spese. Oltre a progetti dirigisti che, se attuati, danneggerebbero ulteriormente l’economia nepalese.
L’unica consolazione è che nulla di tutto ciò sarà realizzato e che i nepalesi continueranno ad arrabattarsi e a cercare di cavarsela da soli come sono abituati a fare da sempre.