E’ quasi unanime (il quasi è sempre d’obbligo, perché ci sono eccezioni anche in questo) il convincimento che in Italia la pressione fiscale effettiva sia molto alta.
C’è chi vorrebbe una riduzione delle tasse finanziata in deficit, come il partito di governo che ha oggi il maggior consenso elettorale, e chi si accontenterebbe di una riduzione solo del cuneo fiscale a carico dei lavoratori dipendenti, senza peraltro ridurre le entrate complessive; quindi aumentando il fardello fiscale per qualcuno.
Di tagliare la spesa, se non in riferimento a generici “sprechi”, nessuno pare averne realmente voglia, e non solo tra chi governa. Per esempio, quando si fa riferimento al maggior costo per interessi sul debito pubblico che l’Italia paga, in rapporto al Pil, rispetto a tutti i Paesi dell’Area euro (anche la Grecia, grazie ai bassi tassi di interesse e alle moratorie ottenute dai creditori pubblici europei, paga in rapporto al Pil meno dell’Italia), è raro sentire o leggere che, se quella spesa fosse inferiore, si potrebbero ridurre le tasse.
Generalmente, invece, si leggono cose come quelle scritte di recente da Federico Fubini sul Corriere della Sera per dare conto dei danni che comporta lo spread (a sua volta alto per colpa di chi governa):
- “Oltre duemila scuole in più aperte ogni anno, magari nelle aree interne dove oggi i ragazzi si abituano a prendere il bus all’alba con l’inizio delle medie. O un aumento di un terzo dell’investimento pubblico in ricerca di base, in modo che migliaia di giovani con un dottorato non debbano andarsene ogni anno all’estero per continuare a studiare. Oppure un aumento da poco meno 1.700 euro all’anno per i 900 mila dipendenti dell’istruzione pubblica il cui stipendio medio, incredibilmente, è persino sceso in valori assoluti dal 2008 a oggi”.
Questo all’inizio dell’articolo. E alla fine:
- “Dunque se il governo di Roma offrisse le stesse certezze di voler restare nell’euro che dà Madrid solo nel 2019 pagherebbe 1,5 miliardi di interessi in meno sul nuovo debito che emette. Il conto si accumula poi di anno in anno. Ma già in questo si libererebbero risorse per far crescere di un quinto l’investimento in università o dare lavoro a 50 mila nuovi insegnanti. E solo chi gioca con il futuro dell’Italia nell’euro sa esattamente perché non succede”.
Ma lasciare invece un po’ più di soldi in tasca ai legittimi proprietari degli stessi no? Come si fa a lamentarsi di un governo spendaccione se l’unica alternativa che si auspica è semplicemente fare un elenco della spesa (molto socialmente corretta) diverso?
Come non si stancava di ripetere Murray Rothbard, “l’unica cura efficace per il deficit è semplice, ma virtualmente sconosciuta: tagliare la spesa. Come e dove? Ovunque e in ogni modo.” Magari!
Senza addentrarci nei miracolosi “moltiplicatori fiscali keynesiani” o negli evangelici “moltiplicazione dei pani e dei pesci” e restando quindi nel terreno, mi pare evidente che uno deve spendere in base a quanto guadagna, eventuali debiti possono essere fatti solo come investimenti che si ripagheranno da soli (p.e. compro una casa da dare in affitto, mi iscrivo all’Università in corsi richiesti dal mercato, ecc.). Espandendo l’economia “del buon padre di famiglia” al bilancio statale, praticamente tutta la spesa pubblica così come è strutturata verrebbe bocciata (e infatti non funziona…). Non ci sarebbe più il debito pubblico sorto solo per finanziare la spesa corrente e non per gli investimenti (quindi i forestali calabresi, i falsi invalidi meridionali, le pensioni sociali del mezzogiorno, gli assunti nella P.A. solo per voto di scambio, ecc) e sopratutto si cesserebbe di trattare i cittadini come bancomat: lo Stato spende, spande e spreca come se fosse la Svizzera e poi presenta il conto infischiandosene se la pressione fiscale generata sia tollerabile, sia dannosa o se ci siano parti del paese con elevatissima evasione fiscale. La logica vorrebbe che si istituisse un tetto (33%? La aliquota degli ostrogoti, per esempio) massimo di prelievo fiscale diretto, indiretto, locale e previdenziale al singolo contribuente, alla singola impresa. Qualsiasi diavoleria che si potesse inventare (fiscalità locale, Studi di settore, accertamenti, patrimoniali) cozzerebbe sempre con questo limite. Oltre a dare certezze a chi vuole investire la cosa genererebbe la revisione della spesa pubblica: tot contribuenti il massimo di gettito ottenibile è quello del 33% e quindi di logica la spesa pubblica effettuabile. Si vuole spendere di più? benissimo, non si potrebbe più inventare una nuova tassa o aumentare un aliquota, si potrebbe solo aumentare la base imponibile, recuperando l’evasione meridionale, favorendo gli investimenti esteri o investendo per creare sviluppo. Quindi se una Regione volesse pagare le siringhe 8 volte quello che viene pagato in altre regioni sarebbe liberissima di farlo, però poi dovrà pagare meno i suoi consiglieri regionali e avere pochissimi forestali e pensioni sociali….