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Non esistono gli “incentivi pubblici di mercato”

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di MATTEO CORSINI

Come è noto, la decisione ideologica e suicida assunta tempo addietro dall’Unione europea di puntare tutto sulle auto elettriche bandendo la vendita di nuove auto con motore endotermico a partire dal 2035 ha generato più di un grattacapo tanto ai produttori quanto ai consumatori.

I primi si sono visti costretti a predisporre piani multimiliardari di investimenti su un prodotto che non ha una sufficiente domanda di mercato per poter essere anche minimamente profittevole. E la domanda di mercato non è sufficiente perché il prodotto, lungi dal rappresentare una evoluzione in meglio rispetto a ciò che i consumatori compravano senza bisogno di incentivi, segna in realtà un arretramento. Sempre che non si consideri un avanzamento il fatto di mettere funzionalità tipiche di uno smartphone sulla plancia. Il che, peraltro, rende sempre più efficace l’immagine di smartphone con le ruote affibbiata a queste vetture da chi non è accecato dal fervore ecotalebano.

Per di più adesso si trovano a fare i conti con la concorrenza cinese (da ieri sono stati introdotti i dazi sulle auto cinesi), dati che i produttori del Dragone, dopo anni di incentivi governativi a manetta e conseguente sovraproduzione, devono cercare di smaltire questi eccessi.

Ecco quindi l’associazione dei costruttori europei (Acea) bussare costantemente alla porta della politica. Il presidente Luca De Meo, ripetendo concetti che esprime da tempo, ha ricordato più volte che le case automobilistiche della Ue “sono fortemente impegnate nella decarbonizzazione, con investimenti per oltre 250 miliardi di euro nell’elettrificazione, ma non possono affrontare questa transizione da sole. L’Europa deve creare le condizioni per la competitività e la domanda di mercato di veicoli elettrici. Queste includono infrastrutture di ricarica, una fornitura sufficiente di materie prime critiche, un migliore accesso ai finanziamenti e incentivi di mercato.”

Farei un paio di osservazioni. In primo luogo, prima di fare investimenti ben sapendo che non c’è una domanda spontanea che li renda sostenibili finanziariamente, sarebbe stato meglio essere più incisivi nei confronti degli ecotalebani alla Frans Timmermans che hanno imperversato dalle parti di Bruxlesses gli scorsi anni. E invece all’epoca i capi delle società automobilistiche dicevano a denti stretti di condividere la svolta green (con la lodevole eccezione del compianto Sergio Marchionne). Salvo poi battere cassa illudendosi forse che ciò fosse sostenibile non solo su nicchie, ma sul mercato di massa.

In secondo luogo, domanda di mercato e incentivi rappresentano concettualmente un ossimoro. Per essere di mercato, la domanda deve essere frutto delle scelte volontarie dei consumatori, senza che tali scelte siano incentivate o disincentivate mediante provvedimenti fiscali.

La verità è che la domanda di mercato per le auto elettriche era ed è largamente insufficiente a coprire i costi di produzione. E anche se ci fosse una colonnina di ricarica ogni 100 metri, questo non cambierebbe. Le decisioni politiche hanno spesso conseguenze nefaste. Se poi sono prese sulla base di fanatismo ideologico, le cose non possono che andare peggio. E adesso siamo a quel punto.

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