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Obama che dà lezioni di economia non si può sentire proprio

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obama4di MATTEO CORSINI

“Gli economisti da tempo hanno ammesso che i mercati, lasciati ai loro meccanismi, possono sbagliare”. In un lungo articolo che Repubblica ha tradotto per i lettori italiani, Barack Obama fa una sorta di bilancio del suo doppio mandato. Come sempre in questi casi, ne esce un quadro con più luci che ombre, e le ombre sono addebitate a responsabilità altrui, ossia coloro che non gli hanno lasciato fare quello che voleva. Da questo punto di vista, nulla di cui stupirsi.

C’è poco da stupirsi anche nell’apprendere da Obama che gli economisti, soprattutto quelli di cui lui si è circondato in questi anni, sostengano che i mercati “possono sbagliare”. Il fatto è che non esistono entità chiamate mercati che agiscono, bensì individui e imprese che scambiano beni e servizi in base a valutazioni soggettive. L’insieme di quegli scambi volontari dà luogo a un mercato. Considerare “sbagliato” il risultato di scambi volontari solo perché si tratta di un esito che soggettivamente non piace è tipico degli interventisti.

Per di più, credo sia davvero arduo, oggi, trovare mercati che siano veramente “lasciati ai loro meccanismi”; l’interventismo, seppure in forme diverse, imperversa ovunque, Stati Uniti inclusi. Nel resoconto di Obama non poteva mancare, ovviamente, un passaggio dedicato alla disuguaglianza: “Nel 1979, l’1% delle famiglie percepiva il 7% del reddito complessivo al netto delle imposte. Nel 2007 il valore si era più che raddoppiato arrivando al 17%… Gli economisti hanno individuato molte cause per l’aumento della disuguaglianza: la tecnologia, l’istruzione, la globalizzazione, il declino dei sindacati e il calo del salario minimo”.

Vi risparmio il passaggio immediatamente successivo, nel quale Obama rivendica di aver ridotto la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, soffermandomi invece sull’elenco delle cause della crescente disuguaglianza. Né Obama, men che meno i suoi economisti di fiducia, fanno alcun riferimento alla politica monetaria, che ha un potente effetto redistributivo, generalmente a favore di un aumento della disuguaglianza.

Obama rivendica, poi, di aver aumentato la spesa pubblica, anche se non quanto avrebbe ritenuto necessario: “La mia amministrazione, per favorire la ripresa dopo la crisi, ha garantito un’espansione della spesa pubblica molto più importante di quello che molti credono (fra il 2009 e il 2012 sono stati oltre una dozzina i provvedimenti di legge che hanno fornito supporto all’economia, per complessivi 1.400 miliardi di dollari), ma molte energie sono andate sprecate a litigare con il Congresso per far passare anche le più semplici misure di buon senso.”

Posto che chi ha la voglia di controllare i numeri non ha dubbi sul fatto che l’amministrazione Obama abbia fatto deficit spending anche piuttosto abbondantemente soprattutto durante il primo mandato, in un passaggio il presidente lamenta esservi miopia in coloro che si oppongono a spese pubbliche oggi per migliorare le infrastrutture, lasciandole quindi in carico alle generazioni future.

Il fatto è che se uno fa spesa pubblica in deficit oggi, lascia comunque il conto da pagare in gran parte a chi oggi non ha alcun potere decisionale. Quindi l’alternativa per le generazioni che pagheranno le tasse in futuro è tra spesa pubblica oggi per finanziare progetti su cui non hanno alcun potere decisionale, oppure trovarsi domani a poter almeno sperare di avere voce in capitolo.

Dal mio punto di vista si tratta di due alternative orrende, una sorte di scelta tra il male e il peggio. Ma credo che il peggio sia proprio quello che propone Obama.

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