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Stroncare la truffa del pane che viene dall’est

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di CLAUDIO PREVOSTI

Il problema del pane proveniente dall’Est Europa che ogni giorno viene venduto in Italia agli ignari consumatori, travalica i confini nazionali. Dopo le continue segnalazioni da parte della Federazione  dei panificatori sul fenomeno, un’inchiesta giornalistica svolta del quotidiano la Repubblica, un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Anita Di Giuseppe, ora il caso è arrivato fino alla Commissione europea.

A farsi portatore del problema è stato l’eurodeputato Mario Borghezio. Questi, in un’interrogazione scritta, ha evidenziato tutta la drammaticità della situazione: pane venduto con un’indicazione generica indicante soltanto il luogo di cottura e/o confezionamento del prodotto.  «In realtà», ha spiegato Borghezio, ribadendo quello che la Federazione sostiene da anni, «in molti casi si tratta di pane prodotto in Romania presso forni semi-artigianali che non offrono garanzie di qualità, a cominciare dai procedimenti di cottura, posto che, per esempio, risulterebbero utilizzati nei forni addirittura materiali impropri come pneumatici, scarti di bare, residui di traslochi e materiali provenienti da demolizioni di impianti industriali».
Perentorio, nelle sue richieste, l’eurodeputato: «È ora di stroncare questa vera e propria truffa a danno dei consumatori, ai quali viene somministrato come “pane a km zero” un prodotto non certo tipo “Mulino Bianco”, le cui caratteristiche organolettiche e di produzione sono completamente ignote data la provenienza da forni romeni non certo rassicuranti». Da qui l’invito alla Commissione a «intervenire urgentemente, a tutela dell’interesse diffuso dei consumatori, affinché sia resa obbligatoria un’etichettatura dei prodotti di panificazione tale da consentire un’effettiva tracciabilità del prodotto».

E’ questo un problema che tocca da vicino l’Italia, ma anche altri Paesi Europei, con forse la sola eccezione della Francia, la quale in materia di pane ha una tradizione consolidata. Persino nella tradizionalista Svizzera il fenomeno si va diffondendo, con conseguente chiusura di molti prestinai artigianali.

Ecco un illuminante articolo al riguardo.

LUGANO – I consumatori scelgono il risparmio. Su tutto, anche su un prodotto base dell’alimentazione quotidiana: il pane. Scelte che lasciano strascichi, anche pesanti.  Nel 2012, in Germania, saranno oltre un migliaio i panettieri artigianali che chiuderanno i battenti, schiacciati dalla concorrenza spietata dei giganti della distribuzione. Se si pensa che un panino nei grandi supermercati tedeschi viene venduto a 0,17 euro, contro i 33 centesimi dei panettieri classici, è ben facile capire i motivi per cui sono molti i forni tradizionali a gettare la spugna. Questa tendenza non risparmia neppure il Ticino.  A lanciare l’allarme è il presidente della Società mastri panettieri-pasticceri del Canton Ticino, Massimo Turuani: “Negli ultimi 12 anni il 41% delle panetterie tradizionali ticinesi ha chiuso i battenti.” Un’emorragia dovuta anche alla perdita di quelli che sono stati da sempre i clienti di riferimento, i ristoratori. Un aspetto questo, che preoccupa la categoria, che in Ticino  conta 82 associati, forma una 50ina di apprendisti all’anno e dà lavoro a circa 600-650 persone: “Quelli che sono stati per una vita i nostri partner quotidiani, ossia i ristoranti e i grotti, si riforniscono sempre più  presso le stazioni di benzina, presso la grande distribuzione o acquistano il pane imballato”.

Presidente, lei rappresenta i mastri panettieri ticinesi. Quanto è sentita la concorrenza dei grandi panificatori industriali?
“Ci penalizza, ma non in maniera determinante. Le produzioni su scala industriale dei tre grandi distributori svizzeri (Coop, Migros, Manor) esistono già da parecchi anni. Adesso, il nostro problema è rappresentato dal pane imballato, precotto, con la data di scadenza e prodotto nell’Est, dove la manodopera costa meno”.

Il pane con la data di scadenza?
“Sì, una cosa assurda. E’ come se a una bottiglia di vino ci trovassimo sull’etichetta la data di scadenza”.

Quanto incide il consumo di pane imballato sul totale delle vendite di pane?
“Non molto. In Svizzera esso rappresenta circa il 10-12% del mercato, quello industriale il 45%, il resto è frutto del lavoro del panettiere artigiano. Meno della metà”.

Sembra che, comunque, vista la situazione, riusciate a resistere… Una percentuale, la vostra, ancora abbastanza alta…
“No, è un risultato molto deludente. Perché il tasto dolente di questi numeri riguarda proprio il ruolo svolto dai panificatori industriali. I tre colossi non impiegano la benché minima parte delle loro forze per la formazione professionale. Gli apprendisti li creiamo unicamente noi. Se non ci sarà più mercato, in che modo creeremo apprendisti e nuovi panettieri?”

Voi vi accollate i costi di formazione e gli altri ne beneficiano?
“Esatto. Il 95-96% dei ragazzi ha fatto l’apprendista panettiere o panettiere -pasticcere in aziende artigianali. In rarissimi casi è avvenuta la formazione nelle grandi superfici, che rappresentano più della metà della produzione totale di pane”.

Perché diminuiscono i clienti delle panetterie artigianali?
“Primo: è più comodo trovare gli articoli sotto un unico tetto, pane compreso. Secondo: In Svizzera non esiste una legge che tutela l’artigianato. Tutela, invece, che troviamo sia in Italia sia in Francia. In questi due paesi, se dovesse succedere che fuori da un benzinaio comparisse una di quelle squallidissime insegne “pane fresco”, il giorno dopo sarebbe subito rimossa. Questo perché c’è una legislatura che tutela il lavoro e la figura professionale dell’artigiano, mentre da noi non esiste. E quindi a subire siamo noi”.

Per tenere testa cosa fate?
“Ci si rimette sempre in discussione,  allargando la gamma di produzione, scegliendo materie prime d’eccellenza, offrendo un servizio di primo d’ordine e garantendo pane fresco sempre, anche la domenica”.

Cosa rispondete a chi vi rimprovera che il pane artigianale costa di più rispetto ai supermercati? L’esempio è quello classico del mezzo chilo di pane. Nelle panetterie artigianali 2,80 franchi, al supermercato 1,30.
“Rispondo semplicemente che i grandi magazzini riescono a spuntare i prezzi più bassi. Il reparto pane rappresenta per Migros, Coop, Manor, il 7-8% del fatturato globale. Riescono a tenere i prezzi bassi, grazie alla loro organizzazione su larga scala, che permette, tra l’altro, di abbassare notevolmente i costi di manodopera. E poi aggiungo che la differenza di prezzo esistente va spiegata. In Svizzera si consumano in media 122 grammi di pane al giorno. Ciò vuol dire che 500 grammi durano circa  quattro giorni. Per capire a quanto ammonta la differenza di spesa bisogna prendere come riferimento il consumo pro capite. Così facendo si giunge al risultato che la differenza di spesa non è più di 1 franco e trenta, bensì di 31, 32 centesimi”.

Un panettiere è pagato meglio nel settore artigianale rispetto a quello industriale?
“Sì, gli stipendi sono più alti”.

In Ticino il panificio artigianale resiste?
“No, per niente. La situazione è drammatica. Da dodici anni a questa parte sono andate perse il 41% delle attività. Negli ultimi tempi si è assistito a un giro di vite, anche sotto il punto di vista legislativo. Con l’entrata in vigore di regole nuove, molto severe,  non sono pochi coloro che hanno gettato la spugna . Per molti adattarsi alle regole avrebbe voluto dire investire parecchi soldi, troppi. Una spesa che non si sarebbero potuti permettere. Anche perché, per la nostra categoria, accedere al credito non è facile. Essa figurava qualche tempo fa  nel libro nero delle professioni a cui è più difficile elargire crediti e finanziamenti”.

In tutti i casi non siamo ancora arrivati a livelli della Germania …
“No, ma dobbiamo tenere alta la guardia.  La tendenza è in atto anche da noi. La liberalizzazione permette l’importazione di pani imballati e pronti dall’est. Facciamo attenzione”.
Fonte originale www.tio.che

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