“La richiesta di dimostrare un fallimento del mercato non è corretta, perché richiede di dimostrare troppo a chi invoca un intervento”. Noah Smith non fa mistero di essere un sostenitore dei correttivi agli esiti del libero mercato. Al tempo stesso, ritiene che sia ingiusto che i fautori del libero mercato chiedano agli interventisti di dimostrare in cosa consisterebbe il fallimento del mercato che loro vorrebbero correggere, perché tale dimostrazione potrebbe essere eccessivamente ardua.
Questo ovviamente non gli fa sorgere il dubbio che gli interventisti tendano a definire un fallimento l’esito di interazioni volontarie che, molto semplicemente, essi ritengono (soggettivamente) sgradevoli. Smith lamenta il fatto che molte persone assumano che il libero mercato sia “lo stato naturale delle cose”, per cui l’intervento dello Stato sarebbe un elemento artificiale. A suo parere “l’economia è per lo più una costruzione umana”, per cui “non c’è ragione per non credere che non dovremmo cercare di migliorarla”.
Che l’economia dipenda dall’azione umana (e la scienza economica rientri nello studio dell’azione umana) è certamente vero, e indubbiamente il libero mercato non rappresenta lo “stato naturale delle cose”, in senso letterale, essendo piuttosto un ordine spontaneo dato da scambi determinati da scelte volontarie di chi compra e chi vende un certo bene o servizio. Non è detto, quindi, che una “costruzione umana” debba essere una costruzione statale, o comunque ottenuta mediante l’imposizione di scelte ad altri da parte di qualcuno in violazione del principio di non aggressione.
E va da sé che i miglioramenti derivino dalle iniziative di chi partecipa al processo di mercato. Non è affatto detto che il miglioramento debba essere imposto dall’alto, perché ciò che Tizio ritiene essere migliore potrebbe non esserlo per Caio. Resta il fatto che se Tizio e Caio effettuano uno scambio volontariamente, significa che entrambi attribuiscono minor valore a ciò che cedono nello scambio rispetto a ciò che ricevono. Mentre se Tizio impone a Caio uno scambio, non si può dire che ciò rappresenti un miglioramento per Caio.
La tendenza degli interventisti è quella di ritenere che lo Stato debba sostituirsi al volere degli individui per il bene di tutti, perché molti individui sono considerati irrazionali. Ma, anche in questo caso, a essere definito irrazionale è semplicemente un comportamento che non si allinea a ciò che l’interventista ritiene essere razionale. Smith ammette che “spesso una politica serve a correggere i fallimenti di un’altra”. Ma, contrariamente a Mises, che individuava in questa stratificazione di interventi la via verso il socialismo, Smith non vede alcun problema.
Che invece esiste, eccome. Perché ammettere che nessuno è onnisciente e infallibile, salvo poi pretendere di considerare necessario che lo Stato continui a intervenire procedendo per tentativi e correttivi, equivale a dare per scontato che tra lo Stato e i cittadini vi sia un rapporto contrattuale. Una impostazione per nulla nuova, ma che i “contrattualisti” non riescono a giustificare a chi chiede loro di farlo, così come gli interventisti non riescono a dimostrare i fallimenti del mercato. Se una cosa non la si riesce a giustificare, non sarà per caso ingiustificabile?