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Partito dei veneti, l’indipendentismo annacquato e le solite favole

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di ALESSANDRO MORANDINI

Giovanni Dalla Valle ha postato un interessante contributo dedicato ad una storia, recente e poco conosciuta. Interessante dal punto di vista sociologico perché illustra la parte non vista, il retroscena direbbe Erving Goffmann, dell’indipendentismo veneto: le lotte intestine che animano la corsa al successo personale di non pochi protagonisti dell’indipendentismo veneto.

Carlo Lottieri, non per rispondere al post di Dalla Valle ma per ammonire i medesimi protagonisti, ricorda che la politica è fatta anche di queste cose ma che con queste cose non può prosperare a lungo. Enzo Trentin invece lamenta da tempo che la politica espressa dall’indipendentismo veneto è fatta soltanto da queste cose. Infine, per aggiungere all’elenco un altro importante esponente tra gli studiosi che frequentano il mondo indipendentista, il Paolo Bernardini espone mediante la più bella scrittura la speranza d’indipendenza che i Veneti possono iniziare a nutrire, insieme a Catalani ed altri fieri popoli del mondo.

Ognuno di questi contributi utile, appropriato, illustrativo; brevi articoli la cui lettura è consigliabile a tutte le persone che covano nel proprio animo il desiderio di indipendenza del Veneto. Tutti insieme si riesce a fare ciò che si deve fare, quando ci si sofferma a pensare al passato, al presente, al futuro, alle incombenze, agli ostacoli. Dove sta il problema se, all’indomani della spettacolare presentazione del Partito dei Veneti, si tratta solo di conoscere gli errori del passato, non rifarli in futuro e dedicarsi anima e corpo a raggiungere il risultato da tutti desiderato? Bisogna ricordare che chi legge queste cose, chi si interessa di queste faccende, chi fa parte di questo partito o di altri movimenti è, in cuor proprio, animato dal desiderio di indipendenza; le differenze vengono dopo, si sovrappongono al desiderio comune che, tra l’altro, alberga in milioni di Veneti. Insomma, la strada si direbbe spianata.

Invece sappiamo tutti che non è così. Il cammino non è meno impervio di prima (in realtà non cambia nulla); si devia il percorso sperando di non incontrare l’ostacolo più grande, quello di fronte al quale tanti di noi si ritraggono e, a capo chino, ritornano sui propri passi, intimoriti, offesi, umiliati qualcuno perfino sorpreso, contrariato e felice di ritornare lesto lesto dentro le mura della caserma: lo stato italiano. Che poi quello che ci separa dall’indipendenza del Veneto non è un ostacolo ma è un fiume da attraversare: il fiume impetuoso e violento che separa due sponde: da una parte l’ordinarietà della vita quotidiana, dall’altra una società dove gli individui sono più liberi, in mezzo la Storia.

Indipendentismi, autonomismi, federalismi, auto-governismi, regionalismi, provincialismi, comunismi veneti sono quasi tutti una forma di ripiego, un riflesso automatico alla paura della guerra asimmetrica (autodifesa popolare contro monopolio della violenza statale) tra Veneti e stato italiano. Quella stessa guerra che si combatte oggi in Catalogna, ad Hong Kong e, da tempo, ormai divenuta modus vivendi nei territori curdi. Preservata da questo destino solo la civiltà anglosassone, di cultura liberale, che con i referendum secessionisti cementa un impero.

Gilberto Oneto diceva che alla gente bisogna raccontare favole, se si vuole ottenere il consenso. E di favole ne sono state raccontate e ancora se ne racconteranno in Veneto; perché lì, per ora, si vuole solo ottenere il consenso, il voto. I più abili in questo campo restano ancora, imbattibili, i leghisti. Noi ancora non sappiamo quanto e se, tutte queste favole ci avvicineranno alla sponda che si affaccia alla storia: è possibile che siano utili, di certo non sono indispensabili se l’obiettivo è l’indipendenza del Veneto. Ma quando si tratterà di guadare il fiume, quando si tratterà di affrontare lo stato italiano, quando si tratterà di difenderci dall’esercizio della violenza che gli stati moderni con sempre minor pudore esibiscono, si presenteranno quelle forze che pensavamo di non possedere. E sono quelle stesse forze che si manifestano oggi a Barcellona, ad Hong-Kong. Si illude chi pensa che, una volta evocata la terra promessa, quando questa si presenterà davanti ai nostri occhi i miraggi potranno ancora essere usati per soddisfare il desiderio di potere presso la corte dello stato italiano. Il popolo veneto l’indipendenza la vuole da tempo: gli indipendentisti veneti dimostrano da tempo di non saper che fare per procurargliela. Ma la realtà, prima o poi, si impone, i miraggi svaniscono, si deve prendere la decisione difficile; che nel nostro caso significa: indipendenza o sottomissione.

Per il Partito dei Veneti questa scelta è lacerante. Non è solo una questione di competizione tra ambiziosi personaggi dediti esclusivamente a soddisfare il proprio insano desiderio di avere potere sugli altri e guadagnarci. C’è sicuramente anche questo: il tentativo di posticipare a tempo indeterminato la scelta fondamentale e nel frattempo vivere con lo stipendio dello stato italiano. E’ una questione di nobiltà o ignobiltà d’animo, certo, ma anche di meccanismi sociali: non tutti gli esponenti del Partito dei Veneti sono persone degne di biasimo.

Si può concedere ad un partito veramente indipendentista, che ripete, ripete e ripete Indipendenza, che suda Indipendenza, che cammina visibile con il dito sempre puntato sull’Indipendenza, competizione nelle elezioni italiane (e questo partito c’era già, si chiamava Indipendenza Veneta ed era guidato dall’eccellente Morosin). Si può individuare in un siffatto partito una ragione per così dire pubblicitaria; ma sul piano concreto un partito non può che accompagnare, far da stampella, coadiuvare discretamente la lotta che, unica soluzione nei paesi che affacciano sul mediterraneo, conduce all’indipendenza. Un partito dell’indipendentismo veneto era un problema nella misura in cui non ammetteva di dovere alla minaccia del conflitto secessionista (popolare, non-violento, ma determinatissimo e capace di difendere il territorio) la sua forza. Un nuovo partito che disconosce l’indipendenza come unico traguardo a breve termine, che confonde, annacqua, diluisce, che costringe l’indipendentismo, ancora una volta, non diversamente da prima, alle perverse dinamiche della lotta per il potere in seno al partito stesso (dinamiche che certo fanno parte della politica ma della politica ordinaria), può essere considerato in tutto e per tutto una chiara espressione di servitù volontaria del Veneto rispetto allo stato italiano.

Se il partito, per come è venuto alla luce, proseguirà unito, l’unica strada che riuscirà a battere non sarà quella per l’indipendenza, ma quella che in poco tempo lo condurrà tra le fauci del gigante leghista, giusto per non commettere sempre i soliti errori.

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