“Vi ricordate quella meravigliosa parentesi rosa del Def, la differenza tra 2,5 e 2,6% di deficit che voi giudicavate inesistente? C’era ma la utilizziamo per le pensioni per un totale di 2 miliardi e 180 milioni che andranno a 3,7 milioni di pensionati”. Così parlò Renzi. Come è arcinoto, una recente sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco temporaneo della rivalutazione delle pensioni oltre i 1400 euro lordi al mese previsto dal decreto cosiddetto “Salva Italia” con cui esordì il governo tecnico di Mario Monti a fine 2011.
Una bella grana per il governo, già alle prese con problemi di reperimento di risorse per disinnescare l’aumento di Iva e accise nel 2016. Come sempre in questi casi, le cifre ballano, ma l’importo massimo pare arriverebbe a 18 miliardi.
Dato che annunciare tagli di spesa (peraltro mai concretizzati) o aumenti di tasse (che generalmente poi arrivano anche quando non annunciati) a pochi giorni dalle elezioni regionali sarebbe stato un suicidio, Renzi ha pensato di barcamenarsi inventandosi un rimborso medio di 500 euro da attribuire a meno di 4 milioni di pensionati sui circa 6 che subirono il blocco della rivalutazione. Ha anche tirato fuori la formula magica “flessibilità in uscita” in riferimento all’età pensionabile, per ammorbidire le reazioni alla sua sinistra. Di quella, però, si parlerà nella prossima legge di stabilità.
Per finanziare il rimborso (che si aggirerà tra l’11 e il 12 per cento del totale), Renzi ha ripescato il famoso “tesoretto” che era previsto nel Def. In realtà null’altro che maggiore deficit rispetto a quello tendenziale.
In questi giorni i dibattiti, spesso urlati, vedono contrapposti coloro che ritengono ingiusta la sentenza e coloro che vorrebbero una sua applicazione fino all’ultimo centesimo. I primi, generalmente appartenenti alla maggioranza di governo, nascondono il vero motivo (ossia dove trovare i soldi) con questioni di equità tra generazioni. I secondi, spesso motivati dal voler aumentare il consenso a scapito della maggioranza, dicono che le sentenze vanno applicate per come sono. In ciò avendo anche gioco facile, dato che chi sta in maggioranza ha sempre sostenuto tale posizione. Contando forse sulla scarsa memoria degli italiani, dato che all’epoca molti di coloro che oggi invocano l’applicazione integrale della sentenza votarono sì al provvedimento Monti-Fornero sul blocco della rivalutazione delle pensioni.
Io non condivido nessuna delle due posizioni, e cercherò di spiegare perché. Fare rimborsi parziali e solo a pensioni fino a un certo importo mensile è coerente con l’impostazione del sistema fiscale italiano, che già in Costituzione prevede la progressività in funzione della cosiddetta capacità contributiva. Un principio che sancisce costituzionalmente una vera e propria discriminazione operata dallo Stato sui cittadini. A peggiorare le cose, nel caso in questione, è il fatto che la quasi totalità dei pensionati oggetto del provvedimento Monti-Fornero percepisce una pensione calcolata con il metodo retributivo, che sovente non è coperta dai contributi versati.
Con il decreto presentato da Renzi ci si troverà pertanto ad avere casi nei quali il pensionato ottiene un rimborso a fronte di una pensione non interamente coperta da contributi, e altri nei quali il rimborso non viene ottenuto pur a fronte di una pensione coperta da contributi (e questi individui sarebbero gli unici, a mio parere, ad avere diritto a un rimborso totale). Anche nel caso in cui il rimborso fosse totale molti pensionati finirebbero per ottenere denari non coperti da contributi, e certamente il problema delle risorse da reperire sarebbe maggiore.
La vera riforma delle pensioni consisterebbe nel ricalcolo di tutte le pensioni con il sistema contributivo, e nel passaggio dal sistema a ripartizione (in cui a pagare le pensioni sono coloro che oggi versano contributi) a un sistema a capitalizzazione (in cui i contributi versati non vanno a finanziare la spesa previdenziale corrente, ma costituiscono patrimonio di chi versa quei contributi). Anche il metodo contributivo, rimanendo finanziato con un sistema a ripartizione, resta infatti fortemente dipendente dalla dinamica demografica; una sorta di schema Ponzi.
Solo passando per tutti a un sistema contributivo a capitalizzazione si potrebbe parlare di equità, sia tra individui della stessa generazione, sia tra individui di generazioni diverse. Se, poi, si volesse completare l’opera, si dovrebbe dare a ognuno la libertà e la responsabilità di pensare al proprio futuro, togliendo di mezzo il sistema pensionistico pubblico.
Il bistrattamento fiscale recentemente riservato ai fondi pensione privati rende peraltro evidente che la direzione di marcia è quella opposta. E difatti credo non ci sia da stupirsi se sulle pensioni si sentono tante urla, quasi tutte a sproposito.
Sono proprio bravi , perchè convinti di riuscire a fare la “moltiplicazione dei soldi “.
Sto qui anch’io per imparare!