«Come sei fallito? Prima piano piano, poi di colpo» (da: Fiesta di Ernest Hemingway). E’ la situazione dei sistemi pensionistici pubblici di molti paesi avanzati, europei in particolare. Tre sono i motivi.
1) Il modello previdenziale universale o welfare non ha fondamenti economici.
2) Il calo demografico: per la prima volta nella storia moderna la generazione anziana (i baby boomers nati nel 1947-49) è più numerosa della nuova (gli Echo boomers nati nel 1980) che deve pagare le pensioni alla prima.
3) Con un debito cresciuto oltre ogni ragionevole limite non è più possibile sostenere la spesa sociale derivante da un sistema che ridistribuisce risorse correntemente prodotte dalla popolazione attiva a quella che non lo è più. Se si dovesse tenere conto delle unfunded liabilities cioè di tutta la «sicurezza sociale» senza coperture finanziarie, il debito reale in media non raddoppia, triplica.
In Italia, il processo fallimentare alla Hemingway è in fase avanzata. Il governo italiano ne è da tempo consapevole e le riforme del sistema negli anni passati lo attestano. Il guaio è che il sistema è irriformabile. È sempre stato un guazzabuglio di previdenza, sicurezza sociale, assistenza, solidarietà ecc., «legiferato» e messo in conto alla collettività. Che recentemente sia dovuta intervenire addirittura la Corte Costituzionale con una sentenza contro il blocco delle perequazioni scattato con la riforma Fornero è solo un sintomo della degenerazione in atto. Molti hanno stigmatizzato questa invasione di campo che non ha tenuto conto, sia dell’esistenza o meno di fondi per pagare l’adeguamento, sia delle sanzioni europee che ne sarebbero derivate. Ma la Corte non deve affatto tenerne conto ma solo preoccuparsi che i diritti acquisiti, anche se originano da un sistema perverso, non vengano calpestati aprendo la strada al banditismo statale e europeo. Chissà perché per le pensioni i soldi non si trovano mai e per altre colossali dissipazioni che beneficiano solo minoranze si trovano sempre. I sistemi perversi si cambiano, prevedendo però un periodo di transizione per non danneggiare chi, in precedenza, ha riposto fiducia nelle istituzioni, anche se malandate. E qui casca l’asino: quando i governi sono considerati lo strumento previdenziale e provvidenziale assoluto, il cambiamento vero è impossibile. Per i governi è facile dare ma è difficile togliere. Fra non molto, però, non saranno neppure nella condizione di promettere.
Un edificio senza fondamenta crolla
La sicurezza sociale è un pilastro del welfare state, il piano di protezione attuato dallo Stato che si crede sia stato ideato dal Cancelliere tedesco Otto von Bismarck nella seconda metà dell’800. Lo stato sociale fu invece un’invenzione dello stato romano attuata con rapine sistematiche. Quando lo sviluppo economico era attività di conquista, i sussidi al popolo non potevano che provenire dalla razzia delle province sottomesse. A trasformare i sussidi in pensioni fu Ottaviano Augusto formalizzando un piano per i militari che avessero compiuto 20 anni di servizio. Il piano fu finanziato sempre tramite rapina: l’Egitto di Cleopatra fu completamente spoliato. La rovina dell’Impero manifestatasi nel III secolo non avvenne per motivi esterni, ma per la degenerazione di questo sistema: i militari, autoproclamatisi imperatori, per pagarsi pensioni e gratifiche imposero anche alle popolazioni libere, un’opprimente tassazione che accompagnatasi al deprezzamento monetario e all’emigrazione del denaro verso le province ellenistiche, ridusse l’Italia in completa povertà (ricorda qualcosa?). La riorganizzazione dell’Impero da parte di Diocleziano sprofondò l’Europa nel Medioevo e i piani di assistenza rividero la luce nel 16° secolo nella forma di fiscalità generale.
Il modello previdenziale universale, copiato poi dagli stati moderni, fu creato da Otto von Bismark. Il cancelliere tedesco non era un uomo dal cuore tenero e temeva che il comunismo radicale e la lotta di classe facessero a pezzi l’ossatura della società tedesca. Nel 1889, fondando i principi della sicurezza sociale trasformò il socialismo rivoluzionario in riformista. Fu, al tempo stesso grande mossa politica e innovazione sociale. Tuttavia l’uomo della realpolitik trascurò il fatto che il riformismo, per non diventare arbitraria redistribuzione deve autofinanziarsi cioè avere una base economica indipendente. E pensare che uno dei pilastri della società, il principio di capitalizzazione, che trasforma la ricchezza in reddito e ne aumenta la base, ai suoi tempi, era efficacemente operante. La prova indiretta dell’importanza di questo principio è che il sistema di redistribuzione regge solo se l’economia prospera riassorbendo gli sperperi della redistribuzione di cui quasi non ci si accorge. Purtroppo l’economia è ciclica. Se poi il ciclo economico e demografico sono negativi e se la speranza di vita aumenta, la base economica si assottiglia e le prospettive diventano terrificanti. Il sistema fallisce piano piano e poi di colpo. Il problema delle pensioni, come quello dei posti di lavoro, è un problema che solo l’economia può risolvere.
Il patto intergenerazionale sarà un conflitto generazionale
Quando viene il momento dell’erogazione della pensione i contributi versati a suo tempo sono già stati spesi e il denaro che si riceve deve essere prelevato dalla tassazione dei lavoratori attuali e futuri. E’ il sistema di ripartizione della maggior parte dei sistemi previdenziali. E’ lecito legare ad un «patto» sociale persone che non hanno ancora l’età per votare o che addirittura non sono ancora nati? Perché dovrebbero accollarsi il peso di un contratto non stipulato? I diritti di proprietà, pensioni incluse (anche se il pagamento è differito), non possono essere assicurati dall’adesione obbligatoria a un sistema coercitivo che fra l’altro elimina il nesso tra responsabilità e diritti, tra lavoro e ricompense. Il risparmio di individui attivi, la base della ricchezza futura, è consumato dalla generazione pensionata. E ciò perché il risparmio in forma contributiva non è capitalizzato fin dal momento della riscossione ma dissipato senza essere ricostituito.
Verrà il momento in cui i piani contributivi saranno respinti dai lavoratori futuri e le pensioni diventeranno un campo di battaglia tra vecchie, nuove generazioni e classi sociali per accaparrarsi risorse sempre più scarse. Senza capitalizzazione il sistema collasserà come nel III secolo. Le pensioni sono una promessa di pagamento che dipende non solo dal rapporto tra lavoratori attivi e pensionati, tra monte salari e montante contributivo, ma anche dalla produttività dell’economia e dal rendimento della ricchezza accumulata. Ma se la produttività decresce e i tassi di interesse sono forzatamente a zero o negativi, il valore delle promesse è nullo e non resta altra scelta che camuffare l’espropriazione da solidarietà generale, tuttavia incapace di dare pensioni decenti. Senza ricostituire la redditività prosciugata dal dirigismo statale e monetario, il sistema pensionistico resterà una bomba sociale ad orologeria. Troppo spesso ci si dimentica che è il sistema industriale a dirigere l’economia e a pagare, all’intera collettività, salari e pensioni. Se scomparisse, prima di ricostituirlo, dovremmo ritornare a coltivare la terra. Altro che pensioni.
Si parla di riqualificare le pensioni, già, ma come è possibile far finta di niente davanti alla immensa sperequazione pensionistica ! Riqualificare una pensioncina da 800 euro, non è la stessa cosa di riqualificare quella da 3000. Sappiamo come il debito pubblico sia nato nel 1980 e formatosi nei dieci anni succssivi. In quella epoca furono assunti per raccomanadazione milioni di persone. Ora vengono premiate per tutta la vita. Chi mantiene tutto sono i piccoli lavoratori, i giovan, chi possiede due immobili. Il bancomat di uno stato plurifallito. Che consuma e distrugge il lavoro delle generazioni precedenti, a favore dei raccomandati e dei furbi. Il seme della discordia sociale. Il trionfo delle ingiustizie.
Che il problema delle pensioni sia ben noto ai vari governanti italiani e che sia attestato dalle varie riforme è pacifico. Se non erro la riforma Dini è del 1992.
MI ricordo di aver letto studi risalenti agli inizi degli anni 90 sulla convenienza tra sistema retributivo e contributivo, ovviamente gli economisti di sinistra erano per il retributivo, il sistema attuale che ha generato il modello fallimentare delle pensioni. Ebbene gli economisti di sinistra e liberisti pur partendo dagli stessi dati arrivavano a conclusioni opposte. La convenienza tra un sistema e l’altro è dato da alcuni fattori, tasso di crescita della popolazione, dell’economia e tassi di interesse praticati sul mercato. Gli economisti di sinistra utilizzano percentuali di crescita che erano già irrealistiche agli inizi degli anni 90.
L’unica soluzione del problema delle pensioni è chiudere l’Inps. L’Inps vende tutti gli investimenti che ha e restituisce i soldi versati ai cittadini che si creano una pensione privata (oppure no) come avviene in Svizzera o negli Stati Uniti. Una tale soluzione ovviamente è osteggiata dai vari governi in quanto si tratterebbe di colpire i privilegi di alcune categorie, tutte con diritto di voto e forti di milioni di persone (non dimentichiamoci che il PD è stato votato da 8 milioni di persone e si vanta di avere il 40% dei voti…).
Queste categorie di privilegiati sono: le pensioni d’oro, che a parte alcuni casi di di dirigenti privati, non corrispondono a quanto versato. Le pensioni sociali, per cui non è stato versato nulla e spesso sono concesse ad extracomunitari già tornati al loro paese, le pensioni pubbliche, lo Stato non versava i contributi e alcune gestioni come quelle dei ferrovieri o dei postini sono in passivo di miliardi all’anno, le pensioni d’invalidità (quelle false), la cassa integrazione.
Dall’altro chi lavora oggi oppure è in pensione e ha versato i contributi il passaggio immediato al contributivo (con la chiusura dell’Inps) porterebbe solo il vantaggio della certezza di avere una pensione, di poter decidere autonomamente quando andare in pensione (alla faccia della Fornero) e con quanti soldi (più versi durante il periodo lavorativo e più tardi vai in pensione, più alta sarà la pensione).
Ovvio che chiudere l’Inps ed immettere i suoi immobili sul mercato, in questo periodo di crisi, non è una passeggiata. Tra l’altro si colpirebbero parecchi alti papaveri (politici ed amici vari) che spesso affittano immobili di pregio dell’Inps a canoni irrisori.
Non conosco a fondo la questione pensionistica.
Ma alcune cose mi sono chiare.
Non avrò la pensione pubblica, anche perché penso di aver versato a inps o altri istituti una volta esistenti pochi milioni di lire attorno al 1978-1980. Poi stop per partito preso.
Non avrò pensione privata, perché quando iniziai piani di accumulo mi accorsi che la grandissima parte degli interessi che venivano ricavati erano tosati come “spese di caricamento” dagli istituti.
Lavorerò fino a che potrò.
Farò buon uso degli immobili che possiedo per non ridurmi alla miseria da vecchio.
In Cile , pare, che il problema pensionistico sia in qualche modo stato affrontato con discreto successo.
In italia potrebbero, o dovrebbero copiarlo di sana pianta senza metterci idee autoctone.
Chi mette mani e idee in questo settore in italia fa solo confusione e danno.