Intervistato dal Sole 24 Ore, Massimo Rostagno, direttore generale per la politica monetaria alla BCE, ha così respinto le critiche di coloro che ritengono che la politica monetaria sia troppo accomodante:
- “Per testare l’impatto di quello che è stato fatto sull’economia, bisogna utilizzare modelli macro-econometrici che permettono di rispondere alla seguente domanda: cosa sarebbe successo al Pil, all’occupazione, all’inflazione se la Bce non avesse attivato questi strumenti come ha fatto, con varia intensità, dal 2014? Si immagina un mondo in cui la Bce non avesse messo in atto le misure e si osserva il percorso del Pil e di altre macro-variabili in questo mondo “controfattuale” generato dai modelli. Questi esercizi indicano che il percorso del Pil sarebbe stato più piatto e l’occupazione e l’inflazione molto più basse di quelle osservate in realtà. Un nuovo studio che verrà pubblicato a breve, per esempio, stima che le misure abbiano fatto sì che il Pil sia quasi il 3% più alto alla fine del 2018 di quanto sarebbe stato in assenza delle misure. Tradotto in numeri di occupati, ciò vuol dire che quasi tre milioni di persone (o quasi 4 milioni di persone secondo altre stime) hanno trovato un lavoro grazie alle misure della Bce dal 2014. Molto probabilmente questa stima pecca per difetto”.
Considerando che il Pil è misurato in termini monetari non credo ci sia da gridare al miracolo se, inondando il sistema di liquidità, si registri una sua crescita. I problemi non mancano, però. Da un lato, per ogni euro di Pil se ne sono generati un multiplo di nuovo debito, per di più senza produrre effetti permanenti sulla crescita del Pil medesimo; per non parlare delle pesanti distorsioni nella formazione dei prezzi, con conseguenti possibili malinvestimenti e generazione di un ciclo di boom e bust.
Ciò premesso, che sia l’oste a condurre studi per dimostrare che il vino da lui servito è ottimo dovrebbe quanto meno indurre alla prudenza nel prendere per oro colato i risultati. Anche se pare sia dato per scontato che i conflitti di interessi siano del tutto estranei agli economisti che lavorano alle banche centrali.
Per non parlare dell’attendibilità stessa dei modelli econometrici, che simulano un percorso del Pil ipotizzando determinati trend di una molteplicità di variabili. All’aumentare delle quali non può che aumentare l’arbitrarietà di alcune assunzioni, oltre a diminuire l’attendibilità dei risultati. Il tutto perché, piaccia o meno, il futuro non è prevedibile.
Se opportunamente “massaggiati”, i dati finiscono per restituire i risultati che chi conduce lo studio si aspetta di ottenere. Per questo, pur non stupendomi le parole di Rostagno, non le trovo per nulla rassicuranti. Né trovo rassicurante che chi conduce queste interviste sollevi qualche dubbio nel sentire certe risposte. Anche questo non mi stupisce, però.
Questo meccanismo di autoreferenzialità mi fa tornare alla mente le valutazioni già fatte da lorsignori a proposito di bitcoin
Semplicemente grottesco pretendere di usare come argomento “controfattuale” i loro stessi modelli, che di “fattuale” non hanno proprio niente.
Cosa dicevano i modelli econometrici delle banche centrali prima dei crolli del ’98 e ’00?
Prima del caos del 2008?
Modelli che, oltre a fallire clamorosamente (questo è empiricamente dimostrato, mentre questo loro mondo “controfattuale” non lo è) ignorano totalmente le dinamiche di lungo periodo.
Il Giappone sarebbe finito in questa situazione, secondo i modelli delle banche centrali?
C’è da spaventarsi veramente a leggere certe cose.