C’è chi pensa che parteggiando per la libertà dei popoli ed il loro diritto all’autodeterminazione ci si trovi di fronte, alla fine, ad un unico problema: quale partito votare tra i tanti che promettono l’indipendenza. Quella del voto, anche se sembra l’unica opportunità, è invece la scelta meno importante.
Errori nella definizione delle opportunità
La definizione delle opportunità dipende, com’è noto, dalle credenze, che possono essere più o meno vere, più o meno razionali. Qui da noi si è sviluppata, nel corso dei decenni, una notevole esperienza in fatto di partiti politici, indipendenza e stato italiano: siamo tutti nella condizione di rilevare quanto sia imprevidente affidare le proprie speranze di indipendenza a questo o quest’altro partito politico. Ma non sempre l’accesso alle informazioni consente alle persone di fare esperienza, maturare credenze razionali e, con ciò, riconoscere vere opportunità: tutti gli individui vogliono avere una buona ragione per fare ciò che fanno, ma non sono pochi i meccanismi psicologici e sociali che determinano fallimenti della razionalità. E’ possibile, per esempio, insistere nel considerare la secessione dallo stato italiano un normale processo democratico il cui successo dipende dai consensi elettorali, anche dopo che la Corte costituzionale ha riaffermato, con tutta la potenza che le compete, il principio di unità nazionale su cui si fonda lo stato italiano. Ed è possibile immaginare che con l’ostinazione e la perseveranza possano crescere i consensi elettorali, senza considerare l’importanza numerica del voto moderato, che per definizione non ama le avventure.
Dal movimento al partito indipendentista
L’ostinazione dei politici che continuano a chiedere voti per l’indipendenza del Veneto o della Padania denuncia un corto circuito tipico: i desideri di gloria, di fama, di denaro (facile), possono impedire al capo di un partito indipendentista ed ai militanti di ripensare e di avvertire le opportunità che si affacciano lungo il cammino per l’indipendenza. All’inizio, quando il partito è ancora un movimento, questi desideri non influenzano troppo le decisioni prese perché i partecipanti sono spinti da motivazioni prevalentemente altruistiche e perché sono orientati da credenze razionali, maturate in ambienti dove l’intelligenza è diffusa. In un partito invece il ripensamento può essere, per tutti, individualmente molto costoso e collettivamente ostacolato dalla convergenza di interessi comuni a militanti e capi. Per poter ripensare le opportunità i membri di un partito devono poter criticare alcune importanti credenze, come la convinzione che il capo sia infallibile (ed i capi spendono molte risorse per apparire tali) o la credenza che ci sia un organismo superiore infinitamente giusto a cui appellarsi. Di solito quanto più radicali e destabilizzanti sono le critiche, tanto più le persone che le propongono, le persone più intelligenti, vengono isolate ed infine escluse.
Il partito indipendentista ed il rapporto con lo stato straniero
Si consideri il funzionamento di un partito politico. Inizialmente, quando il partito è ancora un movimento d’opinione, il suo scopo è quello di produrre e diffondere buone argomentazioni circa l’idea, per esempio, di indipendenza del Veneto o della Padania. Quando il movimento si trasforma in un partito politico si continuano a sviluppare nuove argomentazioni efficaci nell’avvalorare, giustificare, procurare il desiderio di indipendenza tra i cittadini. Ora però si presenta un nuovo problema ed un nuovo scopo si aggiunge: si tratta di chiedere una delega in bianco agli elettori. Capi e militanti di partito, chiedendo il voto, promettono di portare cambiamenti nella società rispetto al modo in cui gli individui interagirebbero se nessuna istituzione politica potesse vantare il monopolio della violenza legale. Per realizzare parte dei cambiamenti promessi, per dimostrare di riuscire a farlo, il partito aderisce al sistema di regole che concede ad un’unica agenzia l’ultima parola sulle sanzioni e sui premi formali ed espliciti di cui gli individui potranno beneficiare e patire. Quella agenzia è lo stato, la cui sovranità spetta ad un popolo diverso da quello che il partito indipendentista si propone di liberare. La contraddizione di ogni partito indipendentista sta proprio qui: si propone di annullare la sovranità di un popolo usando le regole dello stato che afferma la sovranità di quel popolo medesimo.
I militanti e la contraddizione dei partiti indipendentisti
E’ una contraddizione che, anche se conosciuta, difficilmente determinerà, per il partito, l’abbandono, la non cooperazione con il nemico. Perché dal punto di vista di molti militanti, certamente dei più influenti che hanno fatto carriera raggiungendo posizioni di rilievo, l’indipendenza diventa, nel tempo, un argomento strumentale alla soddisfazione di altri desideri: da scopo si trasforma in mezzo. Chi non ha molto da perdere e se ne accorge se ne va perché capisce che la strada è sbagliata; ma chi ha molto da perdere (in vario modo, non solo materialmente) resta e può provare a cambiare gradualmente l’argomentazione conservando alcuni aspetti e abbandonandone altri, può ostinarsi fino a quando del partito non resta che l’ombra, può giustificare gli insuccessi cercando di trasformare l’indipendenza in una quasi-credenza consolatoria. Se si esaminano i discorsi dei militanti e dei capi di un partito, ci si accorge facilmente come cambino nel corso del tempo. Dal modo in cui cambiano i discorsi si può capire se siamo di fronte ad un militante o ad una persona che pensa liberamente.
Nel popolo qualcuno avverte la contraddizione, qualcuno cerca consolazione
La sopravvivenza del partito dipende, ormai, dagli interessi comuni degli individui che ne fanno parte; i quali individui possono continuare a beneficiare dei vantaggi della partecipazione perché la dimensione raggiunta ed i piccoli cambiamenti prodotti nella società qualificano, agli occhi dei semplici elettori, il voto al partito come l’unica opportunità di compiere un’azione dal contenuto politico; azione che in realtà è determinata dall’urgenza delle emozioni provocate dalle campagne elettorali e più in generale dalla propaganda. Chi ama il suo territorio e desidera l’indipendenza del suo popolo può continuare a votare per il partito indipendentista, ma senza troppa convinzione e per altri svariati motivi. La possibilità di raggiungere l’indipendenza è diventata una quasi-credenza consolatoria.
Chi invece avverte la posizione crescentemente contradditoria del partito, conserva le originarie motivazioni altruistiche e colloca l’indipendenza in cima alla gerarchia delle preferenze di solito abbandona il partito, non lo vota più e si predispone alla scoperta di nuove soluzioni più efficaci e razionali.
Capi e partiti: cambiare la società usando la forza dello stato
Ma prima di diventare il motore delle istituzioni politiche dello stato i partiti, o più precisamente i loro capi, devono, come si è visto, convincere le persone, militanti e votanti, argomentando. Non si tratta mai di argomentazioni raffinate ed approfondite. Si tratta sempre di semplificazioni. Quando i capi dei partiti si rivolgono ai militanti, l’argomentazione appare addirittura un banale allegato che ha come scopo quello di giustificare delle parole d’ordine. I capi sanno che i militanti si aspettano, dal partito, anche cose diverse rispetto a ciò che si aspettano i semplici elettori. I mezzi con cui si raggiungono i potenziali elettori sono diversi dai mezzi con cui si raggiungono i militanti. Oggi nei partiti i “leader” contano molto perché è grazie a loro che il partito prende i voti. I successi e gli insuccessi elettorali della Lega Nord, del Pd, di Forza Italia sono dovuti in grande misura all’immagine che i leader riescono a veicolare di loro stessi, in televisione. Deve essere l’immagine, appunto, di un capo, di uno che riesce ad imporre le sue regole a tutti gli altri e ad imporre le regole che il partito propone per far funzionare la società. Non ci sono partiti che veramente vogliano ridurre la presenza dello stato sulla società. Ci si riunisce in un partito perché si desidera obbligare tutti a rispettare certe regole, mediante l’uso della violenza legale.
Desideri inconciliabili
Perciò è molto difficile che un partito indipendentista renda un popolo indipendente; potrà solo usare il nome di un popolo per aumentare il proprio potere negoziale. Chi è animato sia dal desiderio di indipendenza del popolo di cui è parte, sia dal desiderio di ordinare la società obbligando tutti ad obbedire a regole decise da istituzioni politiche centralizzatrici, cerca di far apparire convergenti questi due desideri. E’ uno sforzo che richiede enormi abilità retoriche, perché si tratta di desideri inconciliabili. La cultura italiana, in effetti, ha una importante tradizione retorica: Alessandro Manzoni ha dipinto uno dei caratteri più interessanti del suo celebre romanzo impersonando questa tradizione nel dott. Azzecagarbugli, un avvocato che alla fine, dopo tante parole, comunque prende una decisione: sta dalla parte del potere che gli concede i privilegi di cui gode.
La Scozia e la regina Elisabetta
Bisogna, a questo punto, ritornare all’attualità: essa ci presenta un caso, interessante e notissimo, che dovrebbe smentire quanto scritto fin qui. Il recente referendum celebratosi in Gran Bretagna non ci dice, forse, che proprio grazie alle istanze promosse dal partito indipendentista scozzese si è avuta l’opportunità di realizzare l’indipendenza della Scozia? Bisogna riflettere su questo caso, perché chiarisce ciò che implicitamente si sottolineava: un partito indipendentista può raggiungere il suo scopo solo se precedentemente viene disconosciuta la sovranità del popolo o del monarca dominante. Il disconoscimento può concretizzarsi in azioni di disobbedienza civile o militare da parte del popolo non ancora sovrano ma già sostanzialmente indipendente; ma può concretizzarsi grazie ad una sospensione effettuata dal popolo o dal monarca sovrano e dominante. La regina Elisabetta non opponendosi alla consultazione referendaria e dichiarando di accettarne i risultati ha temporaneamente ed idealmente interrotto la sovranità della sua dinastia, chiedendo agli Scozzesi di confermarla o disconfermarla. Si tratta di un evento rivoluzionario, dell’esercizio del “diritto di voto”, della nascita di quella che chiamiamo, usando termini inadeguati, una “nazione per consenso”. Questo evento rivoluzionario non è dipeso dal consenso del partito scozzese, ma dall’intelligenza, dall’indipendenza o meglio dall’intraprendenza della regina Elisabetta.
La libertà individuale e la libertà di un popolo
Riletto brevemente questo tratto esemplare della storia contemporanea europea, si può tornare a ragionare di libertà e di indipendenza. Il secondo concetto è una intensione del primo. L’idea di indipendenza è, cioè, un aspetto dell’idea di libertà. L’idea di libertà può trovare un suo referente concreto nell’individuo (che ovviamente può comportarsi con maggiore o minore dignità, ovvero può tentare di realizzare o meno la propria potenziale libertà). E’ dal comportamento degli individui che desumiamo il grado di libertà di un determinato contesto sociale. Se pensiamo ad un popolo non possiamo assumerlo come necessariamente libero in virtù della sua identità. Un popolo può avere una forte identità, ed essere contemporaneamente schiavo. Ma schiavo di chi? Un popolo può essere schiavo di un altro popolo (razzismo), ma anche schiavo della propria classe politica (autoritarismo).
L’identità di un popolo ed il nazionalismo di stato
Un popolo è la sua identità; ma l’identità di un popolo non può essere la banale conseguenza di un’operazione politica finalizzata ad incrementare il potere dello stato sulla società (foss’anche lo stato veneto o lo stato padano). Quasi sempre queste operazioni rendono i popoli schiavi di una classe politica. L’identità di un popolo, invece, è l’insieme degli aspetti che lo qualificano in quanto popolo; tutto ciò rispetto a cui sono identici gli individui che abitano un territorio verso il quale nutrono affetto e senso dell’abitare. Un popolo reso identico dalla cultura alimentata a suon di tasse ed implementata a suon di elargizioni a fin di voto e di fedeltà allo stato è un misero popolo e finto, terrorizzato da ogni anelito di libertà secessionista che ne provocherebbe la scomparsa. Si tratta, cioè, di non confondere il nazionalismo di stato, l’identità di un popolo e la sua sostanziale indipendenza.
L’indipendenza e la sovranità
Un popolo è tanto più indipendente quanto più gli individui che ne fanno parte sono abituati ad interagire senza l’intervento di decisioni centralizzate e sostenute da un offerta monopolistica della violenza. L’indipendenza di un popolo non si raggiunge semplicemente con la sovranità di una nazione. L’indipendenza dei popoli contribuisce al progresso della civiltà. I popoli indipendenti cooperano più facilmente tra di loro, perché cooperano per un comune obiettivo: lo sviluppo delle libertà individuali. Nel mondo contemporaneo la lotta per la sovranità di una nazione provoca più spesso, ma non sempre, un accrescimento della sostanziale indipendenza ed intraprendenza del popolo che combatte; ma nel passato, come dimostra l’Italia, non è sempre stato così. Una volta fatta l’Italia si è tentato di fare gli Italiani: un popolo presso il quale vivere alle spalle degli altri usando la furbizia o la forza costituisce una nota di merito; un popolo tradizionalmente avverso ai valori morali promossi dal libero mercato.
L’indipendenza dei popoli padani
Termino questo lungo articolo con sei postulati che sono sintesi o conseguenze di quanto scritto.
1) L’identità culturale è una condizione indispensabile ma non sufficiente per l’indipendenza di un popolo.
2) L’identità culturale dei popoli padani è ancora oggi molto diversa da quella dei popoli meridionali; in particolare per la tradizione civile ed alcune importanti norme sociali. Qui da noi, ancora oggi, tante persone avvertono lo stato italiano come un problema e vorrebbero vivere in una società dove l’intervento della mano (armata) pubblica è minimo; percepire lo stato come un problema, un limite alla libertà non significa essere preparati a combatterlo, ma è un indice di potenziale indipendenza. Sono ancora molto poche le persone che nel Mezzogiorno desiderano meno stato.
3) I partiti non sono, attualmente, un’opportunità di liberazione dallo stato; gli italiani sono schiavi, elemosinanti alla mensa di politici razzisti che mai ammetteranno il “diritto di voto”. Non si possono attendere decisioni coraggiose da parte degli Italiani, si può solo sperare nell’indipendenza, nella civiltà, nella determinazione dei popoli padani, ovvero degli individui più indipendenti, più civili, più coraggiosi.
4) Il desiderio di indipendenza ed il desiderio di potere sugli altri provocano, nell’individuo, la necessità di scelte alternative: sono desideri in contraddizione l’uno rispetto all’altro. Indipendenza del popolo e libertà individuale, invece, sono complementari. La sovranità di una nazione non equivale necessariamente all’indipendenza sostanziale del popolo che si identifica in quella nazione.
5) Un progetto istituzionale liberale è ciò che si deve, oggi, offrire ai popoli padani. Libertà ed emancipazione sono concetti che appartengono alla storia ed alla memoria dei popoli padani, così come sottomissione ed asservimento sono concetti che appartengono alla storia ed alla memoria del popolo italiano.
6) Un movimento d’opinione e d’azione i cui individui siano liberi da smanie elettorali, mossi da motivazioni altruistiche, dal desiderio indipendentista e da una cognizione libertaria per la quale non ci si propone di cambiare la società ma di ridurre il potere di ogni stato sugli individui e quindi sui popoli è l’unica opportunità per liberare i popoli padani dalla sovranità dell’Italia.
Analisi molto lucida e veritiera delle dinamiche di partito, ma ritengo che il passaggio magistrale dell’articolo stia nell’aver indicato come l’accettazione delle regole dello stato che afferma la sovranità del popolo che si vuole annullare. Non è un caso che questa condizione fornisca un’utile abili a certi presunti indipendentisti che spesso ripetono “la secessione non si può fare perchè la costituzione non lo permette”. Risposta di un bergamasco schietto: “me ‘l séra po’ a prima!”
Credo che sia totalmente inutile pensare al voto per l’indipendenza. Mi spiego con un esempio: supponiamo che la Chiesa valdese decida di votare se restare tra le chiese protestanti oppure aderire al Cattolicesimo. Mi pare evidente che al voto potrebbero partecipare solo i valdesi, se il voto fosse aperto a tutti i cattolici quale valore avrebbe per i valdesi? Non rappresenterebbe la loro volontà.
Analogamente se si deve votare per l’indipendenza della Padania non ha senso far votare anche chi non è padano, i coloni e gli immigrati italiani residenti in Padania, loro sono solo ospiti, imposti e non graditi. Come far votare solo i padani? Ovviamente la cosa implica lo ius sanguinis e non lo ius soli, altrimenti tanto vale far votare gli occupanti che ovviamente non hanno alcun interesse a far cessare l’occupazione.
Ma come far votare solo con lo ius sanguinis? La cosa presupporrebbe la nazionalità padana, avere accesso agli archivi anagrafici e concessa dallo Stato occupante, l’Italia, sappiamo bene che non avverrà mai.
Allora occorrerebbe una notevole organizzazione, trovare uno Stato che appoggi la nostra indipendenza e sia disposto a stampare per noi passaporti. A quel punto la nazionalità padana si potrebbe avere per domanda, facendo ben presente che occorre per il voto ed organizzando un ufficio anagrafe telematico che accolga, valuti ed inoltri le richieste per la stampa del passaporto.
Ma se saranno in pochi a richiederlo, per timori di ritorsioni da parte dell’occupante, per scarsa o distorta informazione, la cosa rischia di essere controproducente.
Credo che l’unica via sia avere un governo provvisorio che annunci l’indipendenza e richieda il riconoscimento internazionale, ovvio che occorre prima muoversi in sordina, contattando alcuni governi e sentendo cosa ne pensino.
Con il riconoscimento internazionale da parte di alcuni paesi ed il boicottaggio del governo italiano, niente più tasse, la cosa sia fattibile. Mi pare che a questo punto si possa solo sperare in nuove elezioni in Piemonte per le firme false, avere di nuovo un Presidente della Lega insieme a quelli di Lombardia e Veneto e Liguria (che non è leghista ma è controllato dalla Lega) e sperare che la Lega ritorni ai vecchi piani.
i “coloni” posso essere assimilati, inoltre possono essere allettati, perchè c’è quello che vive di stato e non sarà mai dei nostri, ma c’è quello che non vive di stato e che potrebbe trovare interessante anche lui avere a disposizione 5.500/6.000 euro in più all’anno come ogni altro residente in Lombardia.