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Perchè non sorteggiare la classe dirigente?

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di ENZO TRENTIN

Da tempo ci siamo assumenti il ruolo di agitatori di idee, ed in questo spirito questa volta esploreremo il fatto che da noi, erroneamente, la democrazia è uguale a elezioni. Tuttavia gli antichi [VEDI QUI] non la pensavano così. La ragione che con il sorteggio tutti (quindi anche l’incapace, l’inadatto, l’impreparato) hanno uguali probabilità di ricoprire una carica pubblica o di partecipare a un organismo decisionale, lascia perplessi una moltitudine di individui.

Nondimeno l’esperienza  delle elezioni – specialmente con la più recente legge – ha dimostrato che esse non servono a selezionare una classe dirigente. L’argomento lo abbiamo già trattato qui. [VEDI QUI] Teoricamente potrebbero servire per selezionare gli aristocratici nel senso di migliori, coloro che meritano di rappresentarci perché hanno qualche caratteristica che noi non abbiamo. Ma l’esperienza degli ultimi decenni, sotto questo aspetto, è assai deludente.

La selezione di una classe dirigente attraverso il sorteggio è avvenuta nell’antichità e anche nella Repubblica di Venezia a partire dal 1268, fino alla sua caduta nel 1797. Dal XIII secolo si riforma definitivamente l’elezione  [VEDI QUI ] ducale con un complesso sistema di nomine e ballottaggi, e si istituisce un Collegio di Promissori incaricati di redigere una formula di giuramento personalizzata per ciascun doge (in modo da cucirgli su misura una promessa, e contrastare più nello specifico gli interessi di ciascun principe) e di verificarne il rispetto. Epperò non è facile definire con precisione il numero [VEDI QUI] delle famiglie patrizie. S. Chojnacki ne ha individuate 244 per la prima metà del 1300, il diarista Marin Sanudo compilò quattro liste delle “caxade dil mazor conseio” nel periodo 1493-1527, elencandone 150 nel 1493, 149 nel 1512, 154 nel 1522, e 144 cinque anni più tardi, mentre un suo contemporaneo, l’anonimo trattatista francese autore del “Traité du governement de Venise”, fissò a 125 il numero delle famiglie patrizie, riferendosi sempre ai primi decenni del 1500. Due secoli più tardi, nel 1714, dopo numerose aggregazioni, il loro numero era salito a circa 216. Insomma, a parte ciò, il sorteggio avveniva tra un ristretto numero – circa 2.000 – di N.H. (Nobil Homini).

Prima di arrivare ad individuare una possibile via d’uscita democratica, sono necessarie due citazioni. La prima del Prof. Giovanni Sartori: «Partecipazione” è prendere parte attivamente e volontariamente di persona. “Volontariamente” è una specificazione importante, perché, se la gente viene costretta a partecipare a forza, questa è mobilitazione dall’alto e non partecipazione dal basso. Insisto: partecipazione è mettersi in moto “da sé”, non essere messo in moto da altri e mobilitato dall’alto.» Qualcosa, quindi, di molto diverso dal ricatto morale del diritto-dovere di partecipare alle elezioni. La seconda citazione, è quella di Buckminster Fuller [VEDI QUI ] che sosteneva: «Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta.» Ed infine non si trascuri che anche il mondo accademico sta cominciando ad argomentare per un ritorno all’antecedente per proiettarsi nel futuro con il sorteggio. Si veda il proposito la posizione del Prof. Michele Ainis qui. [VEDI QUI ]

Una riforma potrebbe esserci partendo dal rispetto della Carta Europea dell’Autonomia Locale. [VEDI QUI] Ma si deve tener presente che ogni legge è costituita dal un dettato e da uno spirito. E tenuto conto di ciò, sorprende alquanto che i sedicenti autonomisti, federalisti e indipendentisti non abbiano mai approfondito lo spirito di tale documento.

Se si guardasse con arguzia allo spirito di questa legge – “proposta” dall’UE – si scoprirebbe che a livello comunale si può avanzare una “moderna” e “rivoluzionaria” iniziativa puntando sull’utilizzo della struttura dell’ufficio elettorale comunale, al quale tutti per diritto sono iscritti. Per sottoporre a sorteggio l’equivalente degli “aristocratici” (i migliori) o dei Nobil Homini, la riforma contemporanea potrebbe consistere nell’iscrizione a un preciso comparto su base volontaria i candidati. In tal modo le persone che non hanno tempo o voglia da dedicare alla cosa pubblica o si sentono inadeguate al ruolo di pubblico amministratore, verrebbero auto-escluse preventivamente. Mentre (e questo è determinante) le persone da includere nel sorteggio esprimerebbero così un preciso impegno. Infine per constatare la rispondenza all’incarico eventualmente loro assegnato, dovrebbero superare aprioristicamente un apposito esame.

Proviamo ad elencare alcuni dei vantaggi ottenibili con questa riforma:

  1. Lo Statuto di un Ente Locale (come una costituzione democratica) è buono se per prima cosa realizza tra i cittadini uno stato di equilibrio, e soltanto in seguito fa in modo che le volontà del popolo siano eseguite.
  2. Le lotte tra fazioni ideologico-partitocratiche non avrebbero più senso. Il fatto che esistano i partiti non è in alcun modo un motivo per conservarli. Soltanto il bene è un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi.
  3. Non sarebbero più necessarie costose campagne elettorali in radio-TV, Internet, manifesti, volantini o “santini” promozionali.
  4. Inadatti diverrebbero i sondaggi; quasi sempre eterodiretti.
  5. Inutili i finanziamenti sia pubblici che privati. Questi ultimi troppo spesso illegittimi e “interessati”.
  6. Inservibili i condizionamenti posti in essere da parte dei mass-media; quasi sempre in mano al potere economico-politico.
  7. Non sarebbero più necessarie le promesse elettorali, che puntualmente sono eluse.
  8. Verrebbe meno tutto quell’esercizio circense e indecoroso delle campagne elettorali, che hanno oramai allontanato oltre il 50% degli aventi diritto al voto.

Al sorteggio dei “rappresentanti” va però affiancata – sempre in ossequio alla Carta Europea dell’Autonomia Locale -, la “deterrenza”, non l’uso compulsivo, degli istituti di partecipazione popolare che genericamente sono:

  • Proposte d’iniziativa popolare di delibera per gli enti locali.
  • i referendum, senza quorum, confermativi o abrogativi o d’iniziativa (quelli “consultivi” sono solo una truffa. Un furto di democrazia). Si veda in proposito quanto suggerisce un parere della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa [http://www.coe.int/venice ] su quorum di partecipazione, e soglia delle firme da raccogliere. Sulla soglia delle firme da raccogliere, e il quorum di partecipazione, la predetta Commissione, che svolge una funzione di consulenza su questioni costituzionali nei confronti dei paesi europei, ha redatto una precisa raccomandazione nel suo parere 797/2014. In questo parere si consiglia di non prevedere un quorum di partecipazione né uno di assenso, in quanto avrebbero effetti non desiderabili sotto il punto di vista democratico. Le raccomandazioni ritengono “consigliabile” non prevedere un quorum di affluenza del 50%+1 come previsto dalla normativa vigente, o un quorum per l’approvazione. I quorum di affluenza hanno almeno due effetti indesiderati: primo, le astensioni sono assimilabili ai non-voti, e secondo, i voti espressi per una proposta che alla fine non raggiunge il quorum saranno inutili. Gli avversari saranno tentati di incoraggiare l’astensione, che non è salutare per la democrazia. I quorum di approvazione rischiano di “coinvolgere una situazione politica difficile, se il progetto è adottato a maggioranza semplice inferiore alla soglia necessaria”. Per quanto, infine, riguarda il numero di firme necessarie per proporre un referendum, il numero di riferimento chiave sembra essere quello relativo alla soglia di 1/50 (2%) degli elettori. Un elevato numero di firme può indicare un ampio sostegno popolare. Tuttavia, esso non garantisce il supporto, perché le persone possono firmare perché sono convinte che la questione sia controversa e che dovrebbe essere decisa dal popolo (in qualsiasi senso). Parole chiare, dunque, da parte di un autorevole organismo internazionale di alta competenza.
  • la revoca o recall di politici e burocrati. Vedasi qui [VEDI QUI], ma ci sono molti altri siti che approfondiscono il tema.

La latitanza su un progetto politico-istituzionale riformista dei cosiddetti autonomisti, federalisti, indipendentisti non è funzionale alla loro esistenza. Se vogliono prendere il controllo della nostra economia e della nostra democrazia, debbono agire adesso. Ogni giorno che tardano sempre più potere si accumula contro di noi cittadini. Per esempio, è devastante il rapporto di estrema povertà: 7 milioni di italiani poveri secondo l’Istat [VEDI QUI]. In pratica, sono aumentati i poveri assoluti, e questo a prescindere dall’area geografica di riferimento. Mentre i diritti umani sono una chimera dopo otto anni di uno dei più radicali programmi di austerità tra le economie avanzate del G20 adottato in risposta al crollo finanziario del 2008, e alla conseguente recessione globale.

Il sorteggio, infine, ben si concilia con il pensiero di Noam Chomsky (filosofo, e teorico della comunicazione), che acutamente sostiene: «Penso che la vera democrazia sarebbe molto più efficace senza quelli che chiamiamo partiti politici, che funzionano solo come macchine per la produzione di candidati. […] La gente si radunerebbe pubblicamente o per via telematica, e deciderebbe quale politica preferisce, e direbbe ai candidati: “Questa è la politica che desideriamo; se sei in grado di portarla avanti bene, altrimenti vai a casa”. Questa sarebbe una democrazia effettiva».

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