Sul Sole 24Ore del 22 luglio c’era un doppio paginone di intervista a Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni. Il quale, in merito all’andamento del prezzo del petrolio, ha affermato: “Non sono ottimista. La commodity petrolio è entrata in una crisi difficile. C’è meno fiducia anche da parte degli investitori istituzionali, che di solito hanno posizioni lunghe. Anche gli investitori a lungo sono diventati shortisti. È stato così dato spazio agli hedge fund agli speculatori. Probabilmente non credono che l’Opec sia capace di prendere iniziative radicali come ha fatto in passato. Lo scorso dicembre ha deliberato un taglio produttivo di 1,2 milioni di barili al giorno (mbg). Grazie alla Russia, che ha deciso di ridurre la produzione di altri 650mila barili/giorno, il taglio produttivo complessivo è stato di 1,8 milioni di barili. Ma ricordo che nel 2008-2009, sono stati tagliati più di 4 milioni di barili. Una decisione che ha fatto salire il prezzo da 27 a 90 dollari in sei mesi. Dopo tre anni di prezzi ai livelli attuali, la fiducia si è indebolita. Il contesto in seno all’Opec, invece, è cambiato. Diversi paesi dell’Africa sub-sahariana si trovano in gravi difficoltà. Sono paesi che hanno concentrato tutto su petrolio e gas senza diversificare l’economia”.
Se ci sono Paesi produttori che dipendono dai proventi derivanti da petrolio e gas lo si deve in primo luogo a ciò che Descalzi rimpiange, ossia alla restrizione all’offerta che l’Opec ha (con sempre meno successo) operato nel corso del tempo. Ciò detto, che la speculazione vada bene quando il prezzo sale e invece sia deleteria quando il prezzo scende è una visione comprensibile se espressa dal CEO di una oil company, ma pur sempre abbastanza puerile.
Ancora Descalzi: “Il momento è difficile, la speculazione è forte. Per esempio, se il prezzo del greggio sale a 52 dollari, e questo a prescindere dal livello delle scorte, allora tutti vendono subito perché non si fidano di cosa succede. Se il prezzo torna a 46 dollari, lo ricomprano. In questo modo vi sono speculatori che stanno realizzando centinaia di milioni, forse miliardi di dollari. È un mercato senza regole, che sta distruggendo l’industria primaria e nel settore energetico ha bruciato 470mila posti di lavoro in questi tre anni. In tutto milioni di persone. Se non arriveremo a una situazione di anomalia, intendo con una domanda nettamente superiore all’offerta, sarà difficile spazzare via la speculazione. L’Africa è in grande difficoltà anche per questo. La mancanza di diversificazione delle economie e l’assenza di una distribuzione della ricchezza, contribuiscono alla povertà ed ai flussi migratori.”
Descalzi non considera che una parte più o meno consistente dei posti di lavoro persi negli ultimi anni erano dovuti a una bolla sui prezzi delle materie prime energetiche. Ipotizzare un controllo centralizzato del prezzo (come fa in un altro punto Descalzi) per evitare forti oscillazioni beneficerebbe azionisti e dipendenti delle oil company, ma il conto sarebbe pagato da tutti gli altri, come in ogni forma di interventismo volto a proteggere o semplificare la vita a qualche gruppo di soggetti.
Non ci sono pasti gratis.