Quando uno si imbatte, di prima mattina, su un articolo il cui titolo è “Agenzie Ue, un esercito di 10mila persone” (il Sole24Ore del 3 aprile), non può che iniziare la sua settimana di cattivo umore. Le Agenzie sono strutture che si occupano per lo più di supervisione sulle imprese che operano nei settori di loro competenza. All’aumentare delle dimensioni e della complessità della legislazione comunitaria, queste agenzie si sono moltiplicate, spuntando come i funghi nel sottobosco dopo la pioggia.
Ognuna, ovviamente, impiega centinaia o migliaia di persone. Secondo la loro Rete di coordinamento (mica vorrete lasciarle prive di coordinamento?!) si parla in tutto di circa 10mila persone, per un costo complessivo di 1,2 miliardi annui. Per cercare di far apparire marginale il costo di queste agenzie, la Rete di coordinamento precisa che quegli 1,2 miliardi rappresentano lo 0,8 per cento del bilancio comunitario, pari a soli 2,35 euro annui per cittadino europeo.
Quello di far apparire qualcosa poco costoso è un espediente spesso utilizzato da coloro che pubblicizzano l’acquisto a rate di un bene di consumo. Qui però c’è una differenza significativa: l’acquisto di quei beni resta volontario, mentre nessuno dei cittadini europei pagatori netti di tasse può fare a meno di mantenere quell’esercito (in continua crescita) di 10mila persone.
Quando si sente dire che “serve più Europa”, si deve mettere in conto che “più Europa” significa anche, se non principalmente, un ulteriore aumento delle dimensioni di quell’esercito. Ovviamente mettere in dubbio che pagare tutte quelle persone, anche volendo prescindere dall’aspetto coercitivo della transazione, rechi un beneficio tangibile ai pagatori, fa guadagnare la patente di “populista”.
Il che può andare bene per un dibattito da talk show o per un editoriale da giornale mainstream, ma non toglie il dubbio ai suddetti pagatori. I quali, poi, non ci si stupisca se non sono convinti dall’idea che serva più Europa.
L’unione europea è nata storta.
E’ controproducente.