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Processo tanko 2, quando il nulla e’ nulla

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da SERENISSIMA NEWS

Associarsi per rivendicare l’indipendenza del Veneto, organizzarsi per diffondere idee indipendentiste, non costituisce reato. La Corte d’appello di Venezia ha confermato ieri 8 gennaio 2021 il prosciogliemento di 48 indipendentisti veneti e lombardi dalla grave accusa di associazione sovversiva nell’inchiesta che ruotava attorno al famoso “Tanko 2” costruito utilizzando una vecchia ruspa modificata artigianalmente a Casale di Scodosia, con la quale alcuni militanti intendevano rinverdire l’impresa dei Serenissimi del 1997.

Il procuratore capo di Rovigo, Carmelo Ruberto, aveva impugnato la sentenza di proscioglimento pronunciata nel 2018 dal gip Alessandra Martinelli. Si è dovuti così arrivare alla Corte d’Appello, che ieri 8 gennaio 2021 ha respinto l’impugnazione e confermato il proscioglimento di tutti gli imputati.

L’avv. Morosin: è stato accanimento giudiziario

La sentenza della Corte d’Appello di Venezia mette finalmente la parola fine a quello che l’avvocato Alessio Morosin, difensore di vari militanti, tra i quali anche Flavio e Severino Contin,  ha definito nell’arringa “accanimento giudiziario e processo politico” in quanto “mancavano atti idonei a sovvertire violentemente l’ordine costituito”.

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Non si può non notare che anche nel 1997 i Serenissimi, dopo l’impresa del Campanile, si videro contestare la pesantissima accusa di associazione eversiva, benché a fosse a tutti evidente la mostruosità di una simile imputazione, che infatti è crollata nel corso del processo per i fatti del Campanile. Ma la lezione, evidentemente, non è servita, perché anche nell’inchiesta sul Tanko2, non solo è stata sollevata la stessa accusa, ma la Procura di Rovigo ha addirittura impugnato la sentenza di proscioglimento, obbligando la Corte d’Appello a pronunciarsi e prolungando di quasi tre anni la sofferenza degli indagati.

Tanko2, una storia giudiziaria pazzesca

Quella del processo al “Tanko 2” è infatti una storia giudiziaria pazzesca. Cominciò ai primi d’aprile del 2014, tra poco faranno sette anni. Fu di notte, un vero blitz, neanche si trattasse della mafia. Ventitrè persone arrestate, 49 indagate. Tra i coinvolti, nomi di cui è difficile credere il coinvolgimento in attività che non siano la pacifica espressione di idee indipendentiste, come Franco Rocchetta, fondatore della Liga Veneta, parlamentare e sottosegretario nel primo governo Berlusconi, o come il giornalista Gianluca Marchi, già direttore della Padania. L’accusa è monumentale: associazione eversiva finalizzata nientepopodimeno che al “terrorismo internazionale”.

Passano un paio di settimane e gli arrestati – elementi pericolosissimi, stando alle accuse della Procura – sono tutti a piede libero. E si scopre che Brescia, la cui Procura sta procedendo, non è neppure competente perché la vecchia ruspa denominata Tanko2 fu trovata in un capannone polesano, quindi la sede competente è Rovigo. Ma i magistrati di Brescia non mollano: per loro la costruzione materiale del Tanko2, l’unica cosiddetta arma trovata a carico degli indagati, è niente a fronte dell’associazione sovversiva terroristica internazionale, reato ben più grave, che sarebbe maturato in qualche riunione in Lombardia, e quindi la competenza sarebbe di Brescia.

2018, crollano le monumentali accuse di eversione

La faccenda, dopo balletti estenuanti di competenze, finisce a Brescia, addirittura in Corte d’Assise, per via della gravità del reato invocato dalla Procura. La Corte d’Assise di Brescia dà ragione a Rovigo. E a Rovigo si ricomincia daccapo. Nel 2018, quattro anni dopo il blitz e gli arresti, si arriva finalmente all’udienza preliminare, nella quale la monumentale accusa di associazione eversiva terroristica internazionale si scioglie come neve al sole, su richiesta della stessa procura di Rovigo.

Resta in piedi – per una dozzina di indagati – soltanto il reato della partecipazione diretta alla costruzione o alla pianificazione dell’uso della presunta arma, la ruspa Tanko2, per il quale verranno successivamente processati e condannati in sette. Per tutti gli altri, la Procura di Rovigo chiede e ottiene il “non doversi procedere“.

I ricorsi alla Corte “sbagliata” e la bocciatura finale

Ma al Procuratore capo di Rovigo il proscioglimento dal reato di associazione eversiva non sta bene. E ricorre in Cassazione. La Suprema Corte manco entra nel merito e bacchetta il Procuratore: il ricorso non va presentato alla Cassazione, ma alla Corte d’Appello di Venezia. Il procuratore capo di Rovigo obbedisce e spedisce il ricorso alla Corte d’Assise d’Appello di Venezia. La quale lo bacchetta nuovamente: non devi inviarlo alla Corte d’Assise d’Appello, ma alla Corte d’Appello “semplice”. E così il procuratore capo di Rovigo firma per la terza volta il suo ricorso, stavolta alla Corte giusta. Che ieri lo respinge, confermando il proscioglimento dalle accuse di eversione.

Alla fine abbiamo perso il conto di quante udienze, tra Brescia Rovigo Venezia e Roma, ha richiesto questo “accanimento giudiziario” per dirla con le parole dell’avvocato Alessio Morosin. Quanto sono costate al contribuente, e agli indagati, queste attività di Giustizia, finalizzate al perseguimento di reati gravissimi, “associazione eversiva con fini di terrorismo internazionale”, che sette anni dopo accertiamo non esserci mai stata?

 

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