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Putin, il nazionalbolscevismo e la democratura

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putindi SERGIO SALVI

Abbiamo visto, in un articolo precedente (pubblicato su MiglioVerde il 12 gennaio di quest’anno), Putin consolidarsi al vertice del potere. La sua saldatura operativa con l’estrema destra “patriottica” russa avviene durante la seconda guerra cecena (1999-2006). Putin la vince con la brutale repressione militare affidata all’esercito, combinata però con la sua raffinata astuzia politica. Riesce infatti a rompere il fronte indipendentista ceceno, già di per sé variegato e diviso tra nazionalisti laici, islamisti radicali e i soliti clan tribali, alleandosi con uno di questi, quello potentissimo dei Kadirov, cui offre il potere locale sia pure sotto l’egida e la regia di Mosca. I leader della resistenza, come Žochar Dudaev e Šamil Basaev, vengono eliminati e ai Kadirov è lasciata una libertà di azione presso che sconfinata. Saranno da allora fedelissimi a Putin, al punto da inviare, oggi, nel Donbas, reparti di “volontari” per combattere l’esercito ucraino al fianco dei russofili secessionisti. D’altronde, al fianco degli ucraini, combattono, sempre nel Donbas, reparti di ceceni indipendentisti che si rifanno all’esempio di Dudaev, memori dell’aiuto che alcuni volontari ucraini hanno fornito loro nelle guerre cecene contro l’invasione russa. Tutte le occasioni sembra vadano bene ai ceceni per combattere tra di loro.

Una parte cospicua dell’opinione pubblica russa si galvanizza per il successo ottenuto nel Caucaso. Forte del consenso, anche elettorale, che sta conseguendo, Putin riorganizza la macchina burocratica dello Stato, incrementa sfacciatamente le proprie prerogative costituzionali, si arroga poteri di controllo sulle regioni e le repubbliche federate, addomestica la magistratura, si impossessa dei principali media, limita i diritti civili dei cittadini e perseguita sempre più duramente gli oppositori.

Si tratta di ciò che i politologi indicano col termine “democratura”, incrocio lessicale tra “democrazia” e “dittatura”: un regime formalmente costituzionale ma di fatto oligarchico, che altri studiosi chiamano “democrazia illiberale” riferendosi soprattutto a Putin, senza tralasciare altri esempi che purtroppo allignano sul pianeta. Chi scrive queste note, preferisce in proposito la parola “dittocrazia”.

La galassia “patriottica” russa si è intanto riorganizzata. Il vecchio Pamjat (Memoria) dà vita a un Fronte Nazionale Patriottico il cui programma si enuclea attorno a “quattro pilastri”: cristianità ortodossa; centralismo statale; nazionalismo russo; socialismo non marxista.

putin rielettoNel 2003, Rodina (Patria), l’altro polo della destra estrema, si trasforma in capofila di una federazione di trenta gruppi “patriottici”, con i quali si presenta alle elezioni politiche dello stesso anno, raccogliendo il 10% dei voti. Putin ne teme la concorrenza ed è preoccupato. La fa escludere allora da ogni tornata elettorale futura facendola condannare «per istigazione all’odio razziale»: ha accettato a malincuore il ruolo di carnefice in Cecenia (sostenendo che si trattava di una esclusiva questione interna alla Russia) ma non vuole sputtanarsi del tutto  con l’opinione pubblica internazionale.

Due intellettuali russi, giovani ma rampanti, si erano intanto affacciati alla ribalta politica. Hanno fondato, nel 1993, un nuovo partito dal nome, tanto significativo quanto ancora anticonformista e provocatorio, di Partito Nazionalbolscevico Russo, che viene regolarmente registrato e ammesso fra i partiti legali. Si tratta di Edvard Limonov e di Aleksandr Dugin.

Limonov, poeta e scrittore di un certo talento, aveva esordito come supporter di Žirinovskij, il sedicente “liberaldemocratico”; Dugin, filosofo irrequieto, aveva collaborato con Zjuganov alla stesura del programma del nuovo Partito Comunista della Federazione Russa. Sono entrambi figli di funzionari del KGB e hanno respirato l’aria di famiglia, radicalizzando sempre di più le loro opinioni fino a passare, armi e bagagli, tra i gruppi “patriottici” più estremisti con l’intento di riorganizzarli.

Limonov è affascinato dall’azione. Ha allestito un gruppo di volontari armati con i quali si reca in Bosnia, dove combatte a fianco di Karadžić, il carnefice dei musulmani di Srebrenica (1995). Le pretese serbe sulla Bosnia sono appoggiate diplomaticamente dalla Russia e Putin, in privato, non vede di malocchio l’impegno personale di Limonov. Non vuole, però, darlo troppo a vedere e cerca di cautelarsi. Limonov, rientrato a Mosca, esagera, da parte sua, con l’appoggio “tecnico” offerto a tutti i separatisti filorussi dell’ex-URSS (Ossezia del Sud, Abcasia, Transnistria) pilotati, sia pure in sordina, da Mosca. Putin si stanca presto di questo “aiuto” che diventa sempre più imbarazzante. Lo fa allora arrestare, nel 2001, con le accuse di cospirazione, terrorismo e traffico d’armi. Limonov verrà condannato a 4 anni per il solo traffico d’armi, ma sarà rilasciato per buona condotta dopo 2 anni di detenzione. Si riavvicinerà progressivamente a Putin.

Putin, dal canto suo, è sospettato dall’opinione pubblica internazionale di essere il mandante di una serie infinita di delitti politici: l’antefatto è l’uccisione su commissione, avvenuta a S. Pietroburgo nel 1998 (Putin è stato appena nominato capo del FSB, l’erede del KGB), dell’antropologa sociale Galina Starovojtova, impegnata del campo dei diritti civili. Segue l’assassinio eclatante a Londra, nel 2006, di Aleksandr Litvinenko, ex-colonnello del KGB, fuggito in Occidente con più di una valigia di documenti compromettenti, che prima di morire avvelenato accuserà Putin, con un nastro registrato, di averlo condannato a morte. Sempre nel 2006, verrà assassinata a Mosca la giornalista Ana Politkovskaja, che denunciava quotidianamente il comportamento criminale dei russi in Cecenia. Putin è in quel momento capo del governo.

Nel gennaio del 2009 venivano uccisi per strada, sempre a Mosca, altri due giornalisti oppositori di Putin, Stanislav Markelov e Anastasia Buburova, seguiti all’obitorio, appena sei mesi dopo, da una collega della Politkovskaja, Natalja Estemirova, anch’essa impegnata nella denuncia della “democratura” putiniana. Non si può tralasciare il misterioso “suicidio” avvenuto nei dintorni di Londra, nel 2013, dell’oligarca Boris Berezovskij, divenuto pugnace oppositore politico di Putin, appena “emigrato” in Occidente. Dulcis in fundo, rammenteremo la recentissima esecuzione stradale dell’oppositore Boris Nemcov, imputato direttamente a Putin dal combattivo blogger Navalnij. Colpevole o no, certo è che Putin ha fatto e fa di tutto per essere sospettato di queste esecuzioni efferate, e, purtroppo, ricorrenti: ha creato un clima politico, come si dice, “favorevole” a questo tipo di prassi politica. È un clima favorevole a un patriottismo russo sempre più esaltato.

Per prudenza, nel 2007, Putin ordina la messa al bando del Partito Nazionalbolscevico. Vuole fare un po’ di antifascismo pubblico e scacciare qualcuno dei sospetti che gli ronzano intorno.

Rispetto a quella di Limonov, la figura di Dugin appare assai più rilevante. Non usa le armi ma la penna e lo fa in un modo delirante che tuttavia affascina molti russi, Putin compreso. Dugin, che legge molto, compie un’opera di intarsio e di sintesi di ciò che è ormai noto come “nazionalbolscevismo”. Ha rotto con Limonov ed è uscito quasi subito dal partito che con lui ha fondato. Ne fonda in continuazione di propri, tutti dalla vita effimera. Ma si agita e scrive molto. E viene letto con interesse crescente.

Il suo ispiratore principale è Ernst Niekisch, il nazista di sinistra di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente, ma non disdegna gli esponenti (di maggiore rilievo europeo) di quella che nella Germania degli anni venti era chiamata “rivoluzione conservatrice”, tra i quali il giurista Carl Schmitt e lo scrittore Ernst Jünger. Bazzica con disinvoltura anche la destra “esoterica” e i testi di René Guenon e di Julius Evola. Ma l’incontro decisivo è quello con le teorie del generale tedesco Karl Haushofer, uno dei padri fondatori della geopolitica come “scienza” (ovviamente presunta). Haushofer aveva ripreso dal britannico Halford Mackinder la nozione di Hearthland (il “cuore della terra”), che corrisponde alla massa continentale formata dall’Europa e dall’Asia. La vede accerchiata dai “paesi del mare” (Regno Unito, Stati Uniti, Giappone), che cercano di condizionarla e di imporle il loro dominio economico, commerciale, ideologico. Secondo lui, l’Eurasia si potrà salvare soltanto con l’alleanza organica delle sue due maggiori potenze, la Germania e la Russia, spesso purtroppo divise da incomprensioni storiche, e potrà così acquisire la guida del mondo.

Haushofer valutava con favore l’appoggio tedesco alla Russia durante la guerra contro il Giappone (1904-05), la pace di Brest-Litovsk (1918), il trattato di Rapallo (1922) e il patto Ribbentrop-Molotov (1939). Si stavano, per lui, realizzando le condizioni per un accordo globale grazie al quale sarebbe stato finalmente abbattuto il monopolio marittimo e coloniale delle potenze anglosassoni e l’ideologia di cui erano portatrici. Auspicava, a questo scopo, l’incontro sollecito tra le due rivoluzioni “antiborghesi” appena avvenute in Eurasia, quella fascista e quella comunista. Rimase comprensibilmente sconcertato dalle decisione di Hitler di attaccare l’URSS nel 1941.

Hitler prediligeva il “sangue” e non il “suolo”: le stirpi germaniche erano, per lui, geneticamente e culturalmente superiori a quelle slave ed era preferibile un accordo con gli inglesi, che erano germanici come i tedeschi (anche se andavano liberati dall’influenza demo-pluto-giudaico-massonica così perniciosa) che con i russi, inguaribilmente slavi. I territori abitati degli slavi erano d’altronde preziosi per i popoli germanici, che avevano bisogno di uno “spazio vitale” sempre più esteso.

Secondo Dugin, l’invasione nazista della Russia fu un tragico errore al quale era necessario ed impellente porre rimedio. Per lui, il fascismo-nazismo, nei suoi contenuti sociali, e il bolscevismo, nei suoi comportamenti patriottici, erano destinati a fondersi in una sintesi virtuosa al fine di sconfiggere il nemico comune: il liberalismo, il capitalismo, il cosmopolitismo, i “cosiddetti diritti dell’uomo”, l’interferenza planetaria statunitense e l’allegata retorica della democrazia formale valida ovunque. Tutto ciò in favore della «comunità organica dei popoli» che implicava la supremazia del collettivo sull’individuale e dell’Assoluto sul particolare: in nome di una «comunità di destino» imposta da Dio a tutti gli uomini per la loro salvezza sulla Terra. Siamo in pieno misticismo.

Privilegiando il termine “fascismo”, Dugin auspica, per la Russia, già nel 1997, «l’avvento di un fascismo genuino, vero, radicalmente rivoluzionario e coerente». Lo definisce, superando nettamente i limiti clinici del delirio, «proletario, operaio, eroico, combattivo e creatore, nemico dei sussidi di stato ai mercanti e dell’assistenza ai parassiti sociali e agli intellettuali» (e qui, il suo antiliberalismo assume toni libertari).

Si rapporta politicamente con esponenti europei dello stesso indirizzo, come il belga Jean Thiriart, fondatore del movimento Jeune Europe, un sostenitore della colonizzazione del Congo da parte del suo paese, che era passato disinvoltamente a una sorta di terzomondismo in chiave antisionista e antiamericana, fino a inviare volontari europei a combattere Israele dalla parte della resistenza palestinese. O come il francese Alain de Benoist, teorico della Nouvelle Droite che postula una Europa federale e unita che lotti contro il liberalismo, il globalismo, l’imperialismo e… l’America (e ha scritto un libro insieme a Dugin).

Dugin non è anti-musulmano. La sua Eurasia comprende molti popoli islamici che non possono venire ignorati e sono oggettivamente utili e culturalmente coerenti nella lotta contro l’ideologia e la prassi “euramericana”. Esprime, in proposito, un apprezzamento particolare nei confronti dell’Iran.

Dugin si impegna alacremente nella creazione di un movimento “eurasiatista” e nella sua diffusione anche oltre i confini della Federazione Russa. In Italia esiste una rivista, Eurasia, impegnata su questo fronte geopolitico-ideologico, fatta piuttosto bene (idee a parte).

Le idee di Dugin, nonostante la loro follia sistematica, sono apprezzate negli ambienti ufficiali russi e gli viene perfino assegnata una cattedra presso l’ Università statale Lomonosov di Mosca. Si dice, forse azzardando un po’, che sia il filosofo di Putin, anch’esso fautore convinto del concetto di Eurasia.

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3 COMMENTS

  1. L’articolo di Sergio Salvi è un gran bel pesce d’Aprile e certamente così andrebbe considerato dagli affezionati ed informati lettori di MiglioVerde, anche perché laddove fosse preso seriamente in considerazione avrebbe gravi problemi di coerenza interna.
    Dalla sua lettura emerge un quadro assai confuso e contraddittorio circa la tesi di fondo promossa con esso. Ad un’analisi che vada aldilà della sua dimensione connaturata di pasquinata, l’articolo è una farraginosa accozzaglia di informazioni rabberciate e decontestualizzate che nulla aggiungono né al suo precedente articolo né rispetto alla propaganda russofobica neoconservatrice contro il Cremlino promossa dalle élite europeiste e di Washington DC quale “giustificazione” per la crisi da loro causata in Ucraina.
    L’articolo fin dal titolo cosa vorrebbe dimostrare? Che Putin sarebbe un dittatore solo perché è più popolare di Poroshenko o di Obama?. Solo perché è stato eletto democraticamente benché agli ex comunisti (riconversi sulla strada di Bruxelles o di Maidan alla promozione della “democrazia” in giro per il mondo) lo detestino perché non allineato a certi loro interessi e potentati mondiali?.
    Esiste una democrazia che non sia di fatto una dittatura o una democratura? Ha qualche senso parlare di democrazia come qualcosa che non sia la dittatura della maggioranza?. Gli Stati Uniti, che avranno con ogni probabilità tra i Democratici e i Repubblicani come principali frontrunner presidenziali nel 2016 Hillary Clinton e Jeb Bush, che cosa sarebbero? Dubito che Salvi conosca i costi del fare politica negli Stati Uniti o come viene eletto il presidente, né quali sono i gruppi e le lobby che finanziano i due partiti e i loro principali esponenti.
    L’accusa a Putin di nazionalbolscevismo è semplicemente ridicola dato che Putin è chiaramente un leader politico antifascista e antinazista, il quale al contempo non è nostalgico dell’Urss.
    Il nazionalbolscevismo è una corrente politica interna alla Russia che non fa riferimento né rappresenta Vladimir Putin (il quale è leader del partito Russia Unita) ma semmai costituisce l’opposizione al capo del Cremlino.
    Tant’è che lo stesso Salvi scrive che nel 2007 Putin ha ordinato la messa al bando del Partito Nazional-Bolscevico. Dunque come può egli essere un nazionalbolscevico?. E la condotta del Cremlino dal 2007 ad oggi non è cambiata ma è stata coerente e lineare con tale decisione in tutte le sedi (siano esse domestiche che internazionali).
    Questo comportamente di Mosca però contraddice la tesi di fondo che emerge nel titolo e nei contenuti dell’articolo di Salvi.
    Se Putin fosse un nazionalbolscevico allora perché mettere al bando, anziché promuovere e foraggiare, il partito che fa riferimento a tale ideologia? Sicuramente il bando del Partito Nazional-Bolscevico non rende Putin più simpatico o elettoralmente più sostenibile da parte degli esponenti, militanti politici ed elettori riconducibili a quel partito.
    Perché non allearsi politicamente con esso beneficiando in coalizione di voti certi? Come mai tale Partito Nazional-Bolscevico è così critico nei confronti di Putin, tanto da scendere in piazza con Navalny o altri oppositori russi per contestare il Cremlino, se Putin è uno di loro e se la Russia fosse incamminata verso il nazionalbolscevismo?.
    Appare evidente che il discorso di Salvi è ben lungi dall’essere realistico. L’intero impianto accusatorio dell’articolo è nulla più che gossip politicante chiaramente distorto e viziato da un pregiudizio (mentale, culturale o di altro tipo) verso Putin e da cliché chiaramente desunti dalla propaganda neocon, europeista, liberal ed euro(nazi)Maidan.
    Procedendo nella lettura dell’articolo si legge che vi sarebbero dei ceceni indipendentisti in Ucraina che ricambierebbero l’aiuto “volontario” nella guerra in Cecenia. All’articolista sfugge che, come il MiglioVerde ha già tradotto, scritto e pubblicato nelle settimane scorse, i “ceceni indipendentisti in Ucraina” altri non sono che i membri jihadisti del defunto Umarov, l’autoproclamato emiro del Caucaso vicino all’area di Al Qaeda (e ora all’Isis), i quali sono vicini al nazista Dmitri Jarosh di Pravy Sektor già ricercato dall’Interpol e fresco di nomina a funzionario del Ministero della Difesa di Kiev.
    Per quanto riguarda le figure assai discutibili di Limonov e Dugin, queste non hanno alcuna influenza su Putin e il Cremlino, sono due pensatori russi ultranazionalisti ma che, per l’appunto, fanno riferimento come matrice culturale ed ideologica ai partiti come quello di Zirinovsky e quello di Ziuganov, i due principali oppositori di Putin.
    Dato che in Russia non vige più il pensiero unico, e dato che in quel Paese esiste un sistema multipartitico e democratico, appare evidente come esistano anche altre idee e orientamenti politico-filosofici non necessariamente allineati o emanazione del Cremlino e del pensiero di Putin.
    Il fatto che ora tali due pensatori possano per convenienza d’immagine, per opportunismo di carriera, per consenso personale politico spacciarsi per dei fans o sostenitori di Putin è in sé un qualche cosa che non comporta necessariamente una reciprocità di giudizio.
    Ovvero non comporta che Putin ricambi o gradisca tali suoi estimatori né che Limonov o Dugin siano dei pensatori ascoltati dal presidente russo (è sufficiente vedere come Putin ha agito nella crisi ucraina per rendersi conto che Dugin e Limonov non hanno alcuna influenza sulle scelte del Cremlino, a differenza di quello che affermano i politologi della Beltway e gli incartapesce velinari americani (qui e qui) e italioti.
    Peraltro informandosi in rete persino su siti italioti e putinofobici si scopre che Alexandr Dugin, il sedicente guru geopolitico del Cremlino è stato licenziato dall’Università di Mosca nel Luglio del 2014.
    Ovviamente sono sicuro che perseverando nel proprio brodo preconcetto ci sarà chi sosterrà che il licenziamento di Dugin sia “in realtà” una qualche mossa del Cremlino per aggraziarsi i suoi servigi, proprio come per il bando dei nazibolscevichi.
    D’altronde negare l’evidenza dei fatti è il miglior modo per scrivere articoli complottisti e contro la Russia. Tuttavia tali azioni risultano essere assai illogiche se davvero Putin apprezzasse o fosse così estimatore di Dugin.
    Peraltro il fatto che Dugin avesse una cattedra presso l’università statale Lomonosov di Mosca cosa dimostrerebbe?. Forse all’articolista sfugge che l’assegnazione di cattedre universitarie, anche in Russia, non dipendono necessariamente da una nomina politica del presidente.
    D’altronde anche in Italia, in Lombardia, esistono illustri professori che insegnano nelle università (anche statali) italiane pur essendo sul piano personale coerenti secessionisti e fautori dell’antistatalismo.
    Sicché seguendo il “ragionamento” di Salvi dovremmo credere che costoro siano i maître à penser di Renzi? Dovremmo credere che sono le “quinte colonne” di Roma? Che addirittura Roma propugni la veicolazione di idee in favore della secessione di Lombardia, Veneto o della Padania nelle università? Questo implica che l’assegnazione della loro cattedra dipenda essenzialmente e solamente dalle loro idee politiche professate sul piano personale?. Ovviamente no, tali asserzioni sono semplicemente grottesche. Eppure Salvi crede a questo per quanto riguarda la Russia e la figura di Dugin.
    Nell’articolo si asserisce implicitamente che Putin avrebbe regalato una cattedra universitaria a Dugin, sicché seguendo la logica di Salvi come giustificare entro tale “mirabile” narrazione che Dugin sia stato rimosso da più di un anno, proprio quando c’è una crisi in atto tra Russia e Occidente? E’ stato anche in questo caso quel cattivone di Putin?. Seguendo la logica dell’autocratica democratura descritta da Salvi, non può che essere decisione presa dall’alto in tal senso.
    Ad ogni modo, in primo luogo non è detto che Dugin insegnasse pur avendo avuto una cattedra, molte cattedre anche in Russia sono prettamente simboliche o accademiche e a tempo, e nonostante i fusi orari dubito che Putin abbia il tempo a sufficienza per seguire ogni professore o cattedratico in Russia nelle sue attività di ricerca e insegnamento. Ne consegue che se Dugin lavorava in una università non poteva certo avere il tempo per seguire le decisioni prese al Cremlino e influenzarle.
    Dugin era un professore ed è un politologo al pari delle migliaia di professori, accademici e politologi presenti in Russia. Il fatto che egli insegnasse non significava che egli avesse chissà quale influenza su Putin.
    In Occidente c’è la curiosa tendenza nel voler attribuire a Dugin una influenza rasputiniana sul Cremlino e sulle scelte di Putin perché le tesi di Dugin (le quali curiosamente sono analoghe seppur antitetiche a quelle dei neocon americani benché glissino per ovvie ragioni dedicandosi a denunciarlo qui, qui, qui,) sono considerate estremiste e pittoresche, dunque ideali per poter tratteggiare di riflesso Putin come un “estremista e un pazzo”.
    Ma Putin non è né un estremista né un pazzo e non ascolta Dugin (se lo avesse fatto a Kiev ora non vi sarebbero più i golpisti di Maidan al potere e gran parte dell’est Europa sarebbe già stato invaso), e Dugin benché lo possa sognare, non poteva influenzare Putin dato che quest’ultimo non frequenta i suoi eventuali corsi universitari, e certamente il suo allontanamento è un segnale che contraddice tale feeling.
    In secondo luogo, ove l’attività universitaria di Dugin fosse stata di insegnamento, non è detto che la materia dell’eventuale insegnamento contempli ciò che egli predica nei suoi libri. Ciò che Dugin fa nel suo tempo libero nella sua attività di scrittore politico o polemista non è oggetto di studio in Russia. E il sistema educativo russo è improntato sullo studio di materie e temi non certo decisi arbitrariamente da Dugin.
    Ma anche ove avesse insegnato, e avesse predicato nelle ore di insegnamento universitario (all’interno della sua materia curricolare) idee eterodosse soggettive, basate sulle sue nozioni politico-ideologiche personali, il suo ruolo universitario lo pone in una dimensione prettamente intellettuale e speculativa e non in una politica e decisionale.
    Egli era uno dei tanti professori con studenti che potrebbe insegnare idee bislacche proprio come ve ne sono in Italia o in Occidente tra esponenti sessantottini più o meno post- o ancora comunisti e giacobini.
    Attribuire un potere occulto o superiore a Dugin sarebbe come se ogni professore italiano con tendenze comuniste o marxiste, insegnante in qualche liceo o università, dovesse essere annoverato come maître à penser di Renzi o di ogni primo ministro italiano degli ultimi 70 anni!.
    Tuttavia il fatto che l’università lo abbia licenziato è probabile che sia dovuto al fatto che egli predicasse più tesi sue personali che i contenuti decisi dal rettorato.
    La nozione di Eurasia esiste perché quella è la collocazione geografica della Russia, la Russia ben prima dei Dugin, di Limonov, o anche di Putin è storicamente un territorio tra Europa e Asia, il suo vasto territorio è dunque un dato geopolitico e culturale in sé storicamente non derivante dal pensiero di Dugin; dunque proprio come esistono riviste che parlano di territori come la Padania, esistono riviste che parlano di territori come l’Eurasia.
    Nonostante la propaganda Nato-Ue contro Putin quale mostro sanguinario e novello Stalin o Mussolini, egli è sempre più popolare.
    Eppure i russi hanno libero accesso ai media occidentali, come mai? Forse perché i russi non sono così stupidi come chi crede alla propaganda di Bruxelles e Washington DC, riuscendo a valutare ciò che è la realtà russa molto più di chi vive a migliaia di chilometri da Mosca.
    Salvi dovrebbe dimostrare che Putin è il mandante di una serie infinita di delitti politici, accusarlo senza fornire delle prove è in sé ridicolo e parecchio giustizialista. Il caso Litvinenko è più una resa dei conti interna al gruppo di oligarchi in esilio che un omicidio voluto dal Cremlino.
    Su alcuni aspetti controversi della vicenda bisognerebbe chiedere alla “vedova” Marina Litvinenko, la quale nel libro Death of a Dissident addirittura afferma che il marito non sarebbe nemmeno morto, e che il funerale sarebbe tutta una messa in scena.
    Per quanto riguarda la Politkovskaja, i giudici di Mosca hanno condannato quello che è stato il gruppo di fuoco che ha eliminato la Politkovskaja, nell’ascensore di casa, il 7 ottobre del 2006. Due ergastoli per chi ha sparato (Rustam Makhmudov, a lungo latitante) e all’organizzatore del gruppo (Lom-Ali Gaitukayev, zio di Rustam). Pene dai 12-14 anni per gli altri della banda (due fratelli del killer ceceno Ibragim e Dzhabrai, che erano stati assolti per insufficienze di prove in un processo poi annullato) e un poliziotto, Sergei Khadzhikurbanov, che avrebbe aiutato il gruppo. Un altro agente russo ­ Dmitri Pavliuchenkov era stato condannato a 11 anni di carcere in un processo parallelo, per aver collaborato con gli assassini.
    Il mandante dell’omicidio non è noto, tuttavia come per il caso Nemtsov bisognerebbe chiedersi a chi è veramente giovato l’uccisione della giornalista, la quale da viva non era politicamente una minaccia per Putin, dato che peraltro non scriveva articoli sulla “democratura” quanto piuttosto sulla Cecenia.
    Nell’omicidio Nemtsov (nel quale potrebbero esservi dei mandanti ucraini e nel quale la manovalanza arrestata è cecena) è morto un esponente politico di secondo piano e neppure popolare nei sondaggi come invece è il leader del Cremlino (come dimostra questo autorevole sondaggio pubblicato proprio nel giorno della morte dei Nemtsov).
    Appare evidente come tale dinamica di esecuzioni sia tutto fuorché utile per Putin, risultando invece assai indicativa di come sia in atto da lungo tempo, dietro alla narrazione del “Putin assassino di pericolosi suoi nemici”, una destabilizzazione di lungo periodo del sistema russo, tale destabilizzazione potrebbe paradossalmente essere promossa da quegli ambienti che mirano al regime change al Cremlino, proprio come avvenuto a Kiev con l’omicidio di esponenti politici pro-Yanukovich dopo Maidan (per non parlare poi dei famosi cecchini che secondo il ministro degli esteri estone sono riconducibili a Pravy Sektor e alle altre formazioni neonaziste ucraine golpiste di Maidan).
    Se fosse vero ciò che scrive Salvi, dato che a suo dire è chiaro ed evidente la sua colpevolezza, come mai i russi hanno continuato a votare e a sostenere il loro presidente nonostante i “crimini” da lui commessi? Ah si c’è la “democratura”, la quale è una democrazia che premia chi non è gradito elettoralmente da Washington DC o ai non eletti a Bruxelles.
    La Russia di Putin è antagonista al nazifascismo nonostante in Occidente parecchi esponenti della cosiddetta “estrema destra” (anche italica) sfugga tale aspetto, forse a causa della loro scarsa conoscenza della politica russa o forse perché danno troppo peso a contenuti analoghi a quelli riportati pedissequamente da Salvi nel suo articolo.
    La Russia ha messo al bando i simboli neonazisti e fascisti e sta conducendo una campagna contro l’estremismo politico nazifascista.
    A differenza di Canada, Stati Uniti e Ucraina (Paesi che l’hanno bocciata, con tanti saluti alla narrazione dei valori libbbberali e democratici ) la Russia ha votato in sede Onu una risoluzione in cui denuncia e condanna l’avanzata del nazi-fascismo in Occidente.
    Dunque la bislacca tesi di Salvi in questo articolo è chiaramente del tutto fallace sul piano geopolitico e politologico, tuttavia gli va dato atto che è una divertente piece d’Aprile sul piano della satira.

    • Caro Fusari, che la politica statunitense abbia aspetti discutibili nulla toglie al fatto che Putin abbia ridato voce a una Russia profonda che vede l’Occidente quale nemico mortale, disprezza la mollezza di costumi del mondo liberale, vive nella mistica della Nazione e nel culto dell’Uomo Forte, ritiene che la Russia abbia una missione universale (la Terza Roma, alla faccia delle simpatie di Salvini, scusi se banalizzo la faccenda). Questa o quella accusa possono essere false (non sono in grado di giudicarlo) ma che la Russia di Putin sia una “democrazia” con tendenze fortemente autoritarie mi sembra evidente. Non è d’altronde un caso che la destra radicale europea straveda per Putin, in quanto condivide gli stessi “valori” della Russia profonda. Non è un caso che la Lega di Salvini, pesantemente infiltrata da elementi di destra radicale (latina, perché quella anglosassone è cosa ben diversa), straveda per Putin. Putin, Lucashenko, Ahmadinejad, Chavez, Mugabe, Castro, Nazarbayev, Milosevic, non a caso, sono gli idoli del blocco “nazionalbolscevico” e rossobruno che silenziosamente si è formato in Europa. Per carità, si tratta di tendenze minoritarie e che hanno tutto il diritto di esprimersi ed agire, finchè non ledono la libertà altrui. Quello che mi preoccupa è però la saldatura tra tali tendenze e la destra (o pseudo-sinistra) antiliberale e antioccidentale perché trafficona e beceramente populista, quella di Andreotti, Craxi o Berlusconi. Chavez, non a caso, riteneva di avere più amici nella destra populista che nella sinistra. Io cerco sempre di guardare all’antropologia dei Popoli, perché, come ci insegna Putnam, è dalla mentalità che scaturiscono gli aspetti strutturali della stessa economia. L’antropologia della Russia profonda (e lo dico per conoscenza diretta) ha moltissime affinità con quella dell’Italia mediterranea, che una volta la Lega combatteva. I Russi (molti Russi) adorano Funicculì Funicculà, l’Italia dove fa sempre caldo e si è sempre allegri, le donne italiane con i capelli neri e la pelle olivastra. Scusi se banalizzo. Non voglio ricondurre tutto a ciò che succede in Padania ma non posso nemmeno far finta di ignorare le conseguenze che certi innamoramenti hanno sulla mia (e nostra) quotidianità. Per un anglosassone seguire Putin può implicare la critica a un sistema che, indubbiamente, ha aspetti del tutto criticabili. Per l’Europa continentale, specialmente quella mediterranea (inclusa, in questo caso, la Padania) significa invece accentuare quelle tendenze che gli stessi libertari giustamente criticano. Dopodiché la stessa logica aristotelica insegna che nulla vieta che da premesse sbagliate possano derivare conclusioni giuste. Fuor di metafora, Putin, operativamente, ha ragione in molte questioni di politica internazionale. Ma non perché abbia nobili valori (quasi nessuno li ha, ma nel da lei vituperato Occidente esiste un’opinione pubblica che, magari in maniera contraddittoria ed emozionale, spesso anche eterodiretta, certo, si indigna ed espone le malefatte del Potere), semplicemente perché un regime non si fa molti problemi nel sostenere altri regimi. Detto ciò, è anche vero che, in una prospettiva libertaria o anche solo liberal-conservatrice, il regime politico adottato da un Popolo è affare del Popolo stesso e non nostro. In questo concordo con lei e con i libertari (ai quali credo di appartenere, anche se in maniera critica ed in un’accezione molto più a “destra” su questioni etniche ed identitarie, irrilevanti per i libertari “classici”). Ma, per quanto sostenga il principio di non interferenza (perché l’interferenza è alla fine controproducente), da libertario ho simpatia per chiunque veda repressa la propria libertà. Per questo i regimi (anche mascherati) non hanno e non possono avere la mia simpatia. So cosa replicherà (essendo stato, in gioventù, un sinistro idealista, conosco bene le critiche all’Occidente) ma Chomski se la gode al MIT, non è finito all’obitorio. So che per voi anche la Svizzera è un diabolico regime statalista ma io continuo a pensare che la democrazia occidentale (almeno per noi Occidentali, che poi siamo quelli che hanno prodotto quasi tutta l’arte, la scienza, la filosofia, la tecnologia, il benessere materiale e spirituale, e non sarà un caso, e lo dico ai miei amici di quella destra radicale che si professa “razzista” e poi disprezza l’Occidente) sia un sistema fortemente imperfetto ma il meno imperfetto che si possa concepire. E non posso non notare che i miei amici che tanto odiano il mondo anglosassone poi adorano Tolkien o Pound. Molto opportunamente Sergio Salvi ci ricorda che il Nazismo “di sinistra” era filorusso ed eurasiatico mentre quello “di destra” guardava al mondo anglosassone, nei suoi aspetti più profondi e (giustamente) non nelle sue radici vetero-testamentarie, presenti in una certa America e, in forma diversa e più accettabile, in una certa Inghilterra. Ma non condivido l’entusiasmo per il Cattolicesimo che hanno certi libertari e non posso non simpatizzare per il Lutero antiromano e per lo spirito libertario presente in un certo Protestantesimo o, viceversa, avversare la mentalità trafficona, familista, fatalista, cinica e codarda di un certo Cattolicesimo alla Totò o Sordi. Come avverso il rigido moralismo di un certo Protestantesimo, quando esagera però, perché lo preferisco comunque al “chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scordammoce o’passato, simm’e Napule paisà”. Per concludere, dato che preferisco muovermi sempre sul piano della concretezza, voglio citare una mia esperienza riguardo alla differenza tra Inglesi e Russi. Ma il discorso è più profondo, si tratta della differenza tra culture pragmatiche (che poi hanno radici nel passato celto-germanico e medievale dell’Occidente, checchè ne pensino i fascio-italico-padani) e culture “spirituali”, laddove le prime (con i grandi limiti che tutti conosciamo) hanno saputo elaborare la modernità e le seconde vivono invece sospese tra spiritualismo assoluto e (spesso nelle stesse persone) cinismo e materialismo assoluto, criticano la modernità e il capitalismo ma poi lo praticano nei suoi aspetti peggiori, ritengono di possedere una cultura superiore ma poi (spesso nelle stesse persone) praticano un materialismo volgare e arraffone e disprezzano qualunque aspetto della vita che possa ricondursi alla cultura. Il discorso riguarda anche il tipico Italiano e, mi spiace dirlo, una parte non trascurabile degli stessi Padani. Il discorso ci porterebbe lontano e ho già scritto troppo ma non posso non citare la mia concreta esperienza. Sia io sia mia sorella avevamo l’ambizione di seguire un corso di dottorato ed entrambi avevamo desiderio di seguirlo in un Paese estero. Mia sorella, laureata in Letteratura Russa, ci provò con alcune università moscovite. Il risultato? Le dissero che poteva ottenere il dottorato in qualunque disciplina e anche in poco tempo, senza neppur dover essere presente, purchè pagasse una cospicua somma, ovviamente in dollari (non vi ricorda il Trota e la sua laurea albanese?). Il sottoscritto, laureato in Fisica e ben contento di essere vissuto per anni nella Perfida Albione, alla faccia dei fascio-nazi-social-padano-italici che prosperano anche nel nostro ambiente, ricevette invece una mail da University College London, che pubblicizzava una borsa di studio per un Ph.D., a cui rispose inviando immediatamente il CV. Risultato? Risposta di UCL in pochi minuti e invito ad un’intervista la settimana seguente. Colloquio informale e costruttivo, senza concorsi statali, spese di viaggio, vitto e alloggio rimborsati immediatamente. Esito (positivo) del colloquio comunicato dopo due o tre giorni, borsa di studio doppia di quella italiana (e senza passare per i “nostri” concorsi statali più o meno addomesticati). Certo, eravamo ai tempi di Eltsin o so cosa mi sarà obiettato, ma anche al tempo di Putin mia sorella fu trattenuta (anzi sequestrata) in aeroporto con la scusa di avere un passaporto irregolare e con la minaccia di arresto. Minaccia che, ovviamente, si sarebbe potuta evitare pagando una dovuta cifra (in dollari) a chi di dovere. Poi, siccome siamo tutti italiani, mia sorella riuscì a contattare un russo di un certo livello con cui aveva rapporti di businness, il quale a sua volta aveva contatti ad alo livello, e la cosa si risolse. Io, dunque, so chi preferire.

      • @Spagocci
        Ribadendo come questo articolo di Salvi sia buono solo per il 1° Aprile, ribadisco anche come Putin non ha dato voce ad alcuna Russia profonda che vede nell’Occidente il nemico mortale, che disprezza la mollezza di costumi del mondo liberale o che vive nella mistica della Nazione o nel culto dell’uomo forte o che ritiene che la Russia abbia una missione universale.
        Tali tendenze non sono promosse né politicamente né economicamente dalla Russia di Putin e dal suo partito Russia Unita. Tali tendenze esistono e preesistono o sono instillate nella politica russa e sono connotanti e caratterizzanti altri partiti politici che non fanno riferimento a Putin e che sovente sono invece elogiati a torto dall’Occidente.
        Le sanzioni sono state inflitte dall’Occidente contro la Russia, l’isolamento è stato causato dall’Occidente contro la Russia con il golpe di Maidan e di fatto l’Occidente non è più liberale.
        La Russia è una democrazia elettorale esattamente come lo è quelle d’Europa o nel Nordamerica.
        Anzi, al netto dei difetti burocratici o di corruzione comuni a tutti i Paesi, le dirò che sul piano fiscale la Russia è molto meno oppressiva di molte socialdemocrazie welfariste occidentali le quali hanno una pressione fiscale e debito pubblico ben superiore ai russi.
        La cosiddetta “estrema destra” (Salvini compreso) non capisce un tubo di politica russa e della visione di Putin, e di fatto si abbevera dalla propaganda neocon credendo veramente che Putin sia il nuovo Hitler o un nuovo Stalin a cui baciare la pantofola.
        Si tratta di un problema di proiezione distorta per riflesso di ciò a cui si aspira, ma di questo Putin non è responsabile se la propaganda occidentale lo descrive così.
        Questo l’ho già scritto in vari altri articoli sia sul MV che sul ML sicché considero recepita a memoria tale valutazione. MiglioVerde ha riportato le parole di Putin di Valdai 2014 proprio per far capire questo ai lettori, cosa che evidentemente ancora sfugge.
        Io non faccio analisi antropologiche sui popoli, faccio valutazioni di tipo geopolitiche sull’ordine politico perseguito dalle élite degli Stati, e le assicuro che quelle anglosassoni stanno chiaramente portando alla distruzione della civiltà occidentale negando anche il loro stesso passato, le loro tradizioni e la loro storia.
        Ricordo che sono gli anglosassoni a premere per una escalation del conflitto in Ucraina, a finanziare i movimenti jihadisti in Medioriente e i golpisti neonazisti a Kiev, non i padani o i russi.
        Putin pensa a casa sua e non ha ambizione di governare il mondo, il fatto che pensi a casa propria senza dipendere o far riferimento ad altri poteri, lo rende di per sé geopoliticamente un soggetto in minoranza rispetto al blocco d’interesse Ue-Nato-Usa.
        A meno che lei non sia un amante della prospettiva di un governo mondiale con capitale Washington DC, la Russia è l’unico baluardo assieme alla Cina contro tale deriva yankee mondialista in atto.
        Putin e i suoi alleati minori sono funzionali ad impedire tale disegno, questo indubbiamente anche come conseguenza più o meno inintenzionale della loro politica estera e domestica. Questa è una osservazione non una valutazione o un endorsement a tali loro politiche specifiche.
        E’ chiaro che la partita in atto sul piano geopolitico ha ben poco a che fare con i principi e col libertarismo, ma questo è evidente dato che gli Stati mica sono governati dai libertari.
        Tuttavia alcuni Stati sono più pericolosi di altri a causa della loro sfera d’influenza planetaria, provocano e causano guerre e destabilizzazioni internazionali più degli altri, e come tali questi Stati vanno messi alla berlina.
        Dunque francamente io non vedo in Cameron, nei Bush, nei Clinton o in Obama degli alfieri di nessun valore occidentale né tantomeno dei loro popoli. Sono dei criminali, che amano giocare coi burattini, interpretano i burattinai intenti a portare caos in tutto il mondo per difendere il loro impero, per far contenti i loro finanziatori, il complesso militare-industriale, i banchieri e quei Paesi e lobby che considerano più affini.
        Putin è un presunto assassino? Che dire di Obama, o del suo impero a stelle e strisce, con le sue manifeste guerre democide compiute negli ultimi 100 anni?.
        Sicché Putin, pur essendo anch’egli un politico è obbiettivamente il male minore dato che egli non si fa portatore di alcun altro interesse che possa affermarsi al di fuori dell’ambito russo.
        La sua è una politica di difesa nazionale della Russia, non esporta idealismo o pseudo-valori astratti e statalisti giuspositivi (come la non discriminazione, l’accoglienza, l’egualitarismo o la democrazia) in giro per il mondo, né intende imporli ad altre nazioni.
        La Russia pensa ad esistere e a resistere, gli Usa pensano all’impero e ad interferire/aggredire le case degli altri, orientando il mondo come se fossimo ancora al tempo dell’impero romano o del colonialismo.
        Le autorità della Russia non si ammantano di ipocrisia perché agiscono con raziocinio e con realismo, ergo sono meno biasimabili dei proxy statunitensi (quali sono gli eurocrati).
        Questa lucidità manca del tutto all’Occidente e agli intellettuali di corte che reggono le fila della propaganda neocon e liberal e del loro finto bipolarismo-bipartitismo.
        Sicché non stupiamoci se l’Occidente attraverso le sue élite preferisce suicidarsi economicamente piuttosto che ammettere di aver torto in Ucraina, o se tali élite preferiscono una guerra termonucleare, invasioni di immigrati o iperinflazioni piuttosto che accettare di aver portato l’Occidente in un vicolo cieco e a fine corsa.
        In Occidente l’opinione pubblica si indigna per le cazzate propugnate dai media di regime più o meno strumentalmente per un fuorigioco in un campo di calcio trasmesso in tv o per casi di tv del dolore e non quando è lo Stato a violare i diritti naturali e i presupposti della nostra civilizzazione occidentale.
        Quanta gente pubblicamente fa disobbedienza civile, uno sciopero fiscale o rifiuta di pagare le tasse o l’autorità del governo? Dove sono queste coscienze critiche occidentali? Ma di cosa stiamo parlando?! Qui in pochi predicano e ancor meno agiscono in questa terra desolata, quasi tutti si abbeverano attorno al politico in cerca di un posto pubblico o di una raccomandazione oppure fanno le pecore tosate e mute!.
        La gente si beve le balle dei tg e dei giornali sussidiati dallo Stato e poi va a votare per vecchi e nuovi leader che li pigliano per il culo e che nella sostanza in svariati decenni non hanno combinato nulla.
        Questo è l’Occidente democratico: narcotizzazione ed infantilizzazione della massa, quale addomesticamento con panem e circenses.
        Il Potere dell’élite in Occidente dorme sonni tranquilli perché sa di aver a che fare con dei sudditi lobotomizzati che non potranno mai scalfire il loro monopolio e lo status quo.
        Il Potere dell’élite in Occidente teme invece dei soggetti competitori o dissidenti esterni: la Russia e la Cina, perché si tratta di Paesi immensi e non sono inclini ad allinearsi a tali logiche di vassallaggio esterno.
        Putin dà fastidio al Potere dell’élite occidentale, è temuto perché sa che sa gestire la situazione e lo può battere, governa un Paese in ascesa e con fondamenta strutturali sane.
        Sanno che non possono sfruttare la Russia e usare le sue risorse interne, per redistribuirle alle loro clientele.
        E davvero crediamo alle balle dei Salvi o dei Salvini che Putin sarebbe un nazicomunista o un nuovo Duce?. Il fascismo lo abbiamo a Roma e il comunismo a Washington DC e a Bruxelles. Ma chiaramente finché si pasteggia di soldi pubblici o di vecchi stereotipi l’opinione pubblica e i parassiti saranno condizionati da ciò che dichiarano gli esportatori di pseudo-ideali.
        E’ chiaro che non c’è futuro per nazioni e popoli con cortigiani, ominicchi e quaquaraqua velinari pronti ad allinearsi alle idee funzionali al loro parassitismo attorno a interessi sovranazionali, svendendo la propria indipendenza o rinunciando alla propria autodeterminazione.
        Il sistema occidentale è destinato a cadere con o senza Putin per ragioni economiche, culturali e strutturali, ma sicuramente è meglio un ordine policentrico a uno monocentrico e imperialista.
        Dunque meglio una Russia sovrana che suddita di un monopolio assoluto planetario Usa.
        Le questioni di geopolitica sono questioni di interessi molto concreti che sfuggono alla vista e all’opinione o al comune sentire.
        Il MV lo ha più volte spiegato e fatto capire sul piano finanziario e politico, e gli ultimi decenni post-Guerra Fredda sono emblematici di tali questioni che si stanno sempre più evidenziando.
        Non esistono più blocchi contrapposti o logiche coerenti e uniformi nell’analisi e valutazione delle crisi. Ergo gli Usa e l’Ue non hanno più alcuna superiorità etica o morale rispetto alla Russia.
        Un governo anglosassone può farsi promotore di idee non anglosassoni, può persino finanziare i nazisti o i fondamentalisti islamici se ciò conviene per raggiungere un suo obbiettivo regionale.
        Viceversa un governo russo può farsi portavoce di logiche anglosassoni se questo gli consente di sopravvivere e di fronteggiare la minaccia alle sue porte.
        Sono questioni di tattiche e di strategie in funzione dell’obbietivo perseguito, tuttavia appare evidente che la Russia sia circondata e non stia invadendo nessuno se non la propria sfera di influenza basata sul consenso (dunque non certo una invasione aggressiva o coercitiva).
        Dinnanzi a tali questioni alquanto complesse, con tutto il rispetto, una valutazione strutturale geopolitica degli interessi dei vari attori in campo non può essere estrapolate da esperienze personali o dalle simpatie personali ma basarsi su dei solidi fondamentali alla base delle nazioni da giudicare.

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