di MATTEO CORSINI
Le notizie sul fisco italiano non sono mai avare di spunti di riflessione sul rapporto (inevitabilmente) malato tra Stato (nelle sue diverse articolazioni) e privati.
Nell’ormai lontano 1988 il primo governo De Mita introdusse la possibilità per le province di imporre delle addizionali alle accise sull’energia elettrica. Tali addizionali furono poi abrogate nel 2012, non per via di un ravvedimento da parte dello Stato, bensì perché incompatibili con una direttiva Ue del 2008.
Nel 2019, poi, quell’addizionale fu giudicata illegittima dalla Corte di Cassazione. Peccato che buona parte del malloppo sia ormai irrecuperabile a causa dell’intervenuta prescrizione.
Per le somme pagate da non più di 10 anni è tuttavia ancora possibile tentare il recupero. Dato, però, che chiedere i soldi direttamente all’ente impositore rischierebbe di far finire tutto in prescrizione, dati i tempi dei procedimenti ordinari, la soluzione pare essere quella del “procedimento monitorio”, mediante il quale il ricorrente punta a ottenere un decreto ingiuntivo che obbliga l’impresa fornitrice di energia elettrica a restituire l’importo, rivalendosi poi sullo Stato.
Ben venga qualsiasi mezzo per recuperare imposte non dovute, ma il metodo mi pare discutibile. Sarà pur vero che nella maggior parte dei casi il fornitore è a sua volta un soggetto a controllo pubblico, ma l’inserimento dell’addizionale in bolletta era un servizio di intermediazione pura e semplice e quella somma era prontamente riversata all’ente impositore.
Mi sembra poi appena il caso di ricordare che lo Stato si è ben guardato, sia a seguito dell’abrogazione, sia a seguito della pronuncia della Cassazione, di restituire spontaneamente il maltolto. Evidentemente quello che viene eufemisticamente definito “ravvedimento operoso” vale solo per i pagatori di tasse.